Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13588 del 04/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/06/2010, (ud. 26/03/2010, dep. 04/06/2010), n.13588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso rgn 31700/2007 proposto da:

signor C.L., di seguito anche “Contribuente”,

rappresentato e difeso dall’avv. Cantelli Antonio, presso il quale è

elettivamente domiciliato in Roma, Via Federico Cesi 21;

– ricorrente –

contro

il Ministero dell’economia e delle finanze, di seguito “Ministero”,

in persona del Ministro in carica, e dall’Agenzia delle entrate, di

seguito “Agenzia”, in persona del Direttore in carica, rappresentati

e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale sono

domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi 12;

– intimati e controricorrenti –

e contro

l’Equitalia Ravenna spa, di seguito anche “Società”, già Sorit

Ravenna spa, Agente per la riscossione della Provincia di Ravenna, in

persona del legale rappresentante in carica, signor Z.

A., rappresentata e difesa dall’avv. Bellini Luca ed

elettivamente domiciliata presso l’avv. Camilla Bovelacci in Roma,

Via Quintino Sella 41;

– intimata e controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di

Bologna 15 marzo 2005, n. 89/12/06, depositata il 30 ottobre 2006;

udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica del 26

marzo 2010 dal Cons. Dr. Achille Meloncelli;

udito l’avv. Antonio Cantelli per il ricorrente;

udito l’avv. Gianni De Bellis per le resistenti autorità tributarie;

udito l’avv. Luca Bellini per la Società resistente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale LECCISI

Giampaolo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Il 13-14 dicembre 2007 è notificato alle intimate autorità tributarie e all’intimata Società un ricorso del signor C. L., di seguito anche “Contribuente”, per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha respinto il suo appello contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Ravenna n. 62/02/2004, che aveva rigettato il suo ricorso contro la comunicazione informativa di affissione di intimazione di pagamento dell’IVA 1994.

1.2.1. Il 22 gennaio 2008 è notificato al Contribuente e alla Società intimata il controricorso delle intimate autorità tributarie.

1.2.2. Il 18 e il 21 gennaio 2008 è notificato al Contribuente e alle intimate autorità tributarie il controricorso della Società.

2. I fatti di causa.

I fatti di causa sono i seguenti:

a) il 21 dicembre 1999 l’Ufficio IVA di Ravenna adotta l’avviso di rettifica parziale n. (OMISSIS) dell’IVA 1994, con il quale si accerta una maggior imposta di L. 129.200.000, oltre a sanzioni e a interessi, per un importo complessivo di L. 322.773,000;

b) l’avviso di rettifica è notificato mediante affissione all’albo pretorio del Comune di (OMISSIS), ai sensi dell’art. 140 c.p.c.;

c) il 20 febbraio 2002 è notificata mediante affissione allo stesso albo pretorio la relativa cartella di pagamento emessa dalla Sorit Ravenna spa;

d) il 28 luglio 2003 è notificato mediante affissione allo stesso albo pretorio il conseguente atto di intimazione di pagamento;

e) il 28 luglio 2003 la Sorit Ravenna spa invia al Contribuente, presso la residenza di (OMISSIS), con raccomandata con avviso di ricevimento, la comunicazione informativa a soggetti non residenti nel territorio dello Stato di affissione di intimazioni di pagamento;

f) contro tale comunicazione il Contribuente ricorre alla CTP di Ravenna, che rigetta il suo ricorso;

g) l’appello del Contribuente è, poi, respinto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per cassazione.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è, limitatamente ai capi impugnati in sede di legittimità, così motivata: a) è infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso introduttivo sollevata dall’Ufficio appellato, perchè “il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3 prevede che possono essere impugnati anche atti diversi da quelli espressamente elencati nello stesso articolo, anche se non sono autonomamente impugnabili. Ma l’impugnazione di un atto può estendersi anche ad altri atti precedenti che, pur autonomamente impugnabili, non siano stati impugnati per difetto di notifica”;

b) quanto alla validità della notifica dell’avviso di rettifica, “risulta dagli atti che l’Ufficio IVA di Ravenna in data 22 dicembre 1999, con foglio protocollo n. (OMISSIS), ha chiesto al Comune di (OMISSIS) di notificare l’avviso di rettifica in questione al Sig. C.L. in (OMISSIS).

L’indirizzo è quello indicato nella dichiarazione IVA, oggetto di rettifica, relativa all’anno 1994 e presentata nei termini nel 1995.

In proposito a nulla rileva che il Sig. C. fin dal (OMISSIS) abbia acquisito la residenza nel (OMISSIS), come si evince dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, sottoscritta dall’interessato presso il Comune di (OMISSIS). Infatti non risulta che l’Ufficio IVA di Ravenna abbia avuto notizia di tale circostanza.

Neppure la procura notarile conferita dal Sig. C. il (OMISSIS) al dott. Ca.Fl. di (OMISSIS) può essere ritenuta valida ai fini che interessano. Infatti, tale atto conferisce soltanto la procura al dott. Ca. di assistere, rappresentare e difendere il sig. C. e neppure l’elezione di domicilio presso lo studio del predetto professionista. Inoltre tale atto è stato acquisito dal Comando Nucleo Tributario di Ravenna che ha inviato all’Ufficio IVA di Ravenna con foglio del 24 dicembre 1999, giunto e assunto a protocollo dal predetto Ufficio IVA soltanto in data 5 gennaio 2000. Pertanto la notifica dell’avviso di rettifica non poteva che essere eseguita con le formalità proprie valide per i cittadini italiani residenti nel territorio dello Stato”;

c) “in ordine agli aspetti procedurali, la notifica è stata correttamente eseguita nel rispetto della normativa vigente. Infatti, dalla documentazione versata in atti risulta che l’Ufficiale giudiziario, non avendo potuto eseguire la consegna dell’avviso in questione, ha eseguito puntualmente quanto previsto dall’art. 140 del c.p.c.: deposito della copia nella casa comunale, affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione e comunicazione di ciò per raccomandata con avviso di ricevimento. La predetta notifica risulta pertanto eseguita nel pieno rispetto delle norme contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 e di quelle stabilite dall’art. 140 del codice di procedura civile. Il fatto poi che nella relata di notifica, riportata sull’avviso di rettifica in questione, l’Ufficiale giudiziario oltre a riferire di aver notificato l’atto mediante deposito nella casa comunale abbia anche dichiarato di aver proceduto alla pubblicazione dell’atto stesso nell’albo pretorio del Comune, nulla toglie alla regolarità della notifica. Trattasi di un adempimento aggiuntivo, ancorchè eseguito a mente dell’art. 143 c.p.c., che può significare la presenza di un ulteriore motivo di garanzia a favore del contribuente per portargli a conoscenza l’atto impositivo e che, di certo, non può essere riguardato quale pregiudizio per gli adempimenti posti in essere in precedenza”;

d) “in questi termini la notifica risulta regolarmente eseguita e, di conseguenza, l’avviso di rettifica è divenuto definitivo per mancata impugnazione. Ne consegue che, esclusa ogni valutazione di merito, risulta legittima la pretesa fiscale derivante da tale avviso di rettifica. Al riguardo tale assunto comporta il superamento di ogni altra eccezione e qualsiasi doglianza comunque formulate. In particolare non risultano avere pregio i gravami riferiti alla violazione dell’effettivo esercizio del diritto di difesa e alla mancata instaurazione del contraddittorio tra le parti, in violazione dei precetti costituzionali sanciti dall’art. 24 e dal novellato art. 111 Carta costituzionale trattandosi di una norma che si inquadra a pieno titolo nel sistema processuale”;

e) “nè trova fondamento, in tale contesto, l’eccepita tardività in ordine alla iscrizione a ruolo essendo stata preceduta da regolare avviso di rettifica ed eseguita nei termini. E nemmeno risultano avere pregio le doglianze poste per vizi propri nei confronti delle notifiche della cartella di pagamento e del conseguente atto di intimazione di pagamento atteso che risultano eseguite nei rispetto delle norme vigenti in materia”.

4. Il ricorso per cassazione del Contribuente, integrato con memoria, è sostenuto con sette motivi d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa in Euro 211.666,37, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione e con vittoria di spese processuali.

5. I controricorsi delle autorità tributarie e della Società concludono per il rigetto del ricorso e per l’adozione di ogni statuizione consequenziale, anche in ordine alle spese di giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Il primo motivo d’impugnazione.

6.1.1. Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in virtù del richiamo di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61 – Violazione art. 112 c.p.c. in virtù del richiamo generale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 -Violazione artt. 24 e 111 Cost. – Violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Nullità per omessa motivazione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, comma 2, n. 4 e omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

6.1.2. Il ricorrente ritiene che la sentenza abbia violato il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2 perchè essa non avrebbe rilevato che l’avviso di rettifica sarebbe stato notificato ex art. 143 c.p.c. non avrebbe indicato l’attività istruttoria compiuta dal ricorrente e non avrebbe tenuto conto dell’eccezione dell’appellante relativa al luogo della notifica dell’atto.

6.1.3. A conclusione del primo motivo d’impugnazione sono formulati i seguenti quesiti di diritto:

a) “se l’aver omesso di rilevare in sentenza, nell’ambito dell’esposizione dello svolgimento del processo, i seguenti elementi, l’avviso di rettifica IVA n. (OMISSIS) relativo all’anno 1994 risultava notificato (come da relata di notifica apposta sullo stesso atto di rettifica allegato dall’Ufficio alle proprie controdeduzioni tardive) ai sensi dell’art. 143 c.p.c. (il cui utilizzo è espressamente escluso dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60), nonchè la ricevuta della raccomandata A/R è solo quella di ritorno e non di spedizione ed è in fotocopia e risulta indirizzata sempre all’ultimo indirizzo in (OMISSIS) del C. e non risulta firmata nè dal messo comunale notificatore, nè da alcun destinatario; la contestazione da parte del contribuente dei documenti allegati dall’Ufficio di primo grado, perchè prodotti in fotocopia e la richiesta di produzione in originale degli stessi (si veda pag. 32, ultime 3 righe, della memoria difensiva depositata in primo grado dal ricorrente ric. S 1553/04 e pag. 16, terzo capoverso dell’atto di appello del contribuente); la mancata indicazione che il ricorrente avendo avuto notizia della tardiva costituzione nel giudizio di primo grado dell’Ufficio di Faenza ed avendo ritirato le controdeduzioni con allegato l’atto di rettifica IVA, solo in data 27 maggio 2004 (data in cui la Segreteria della CTP di Ravenna aveva inviato la predetta documentazione a questo difensore, al riguardo si veda doc. n. 7 allegato all’appello del ricorrente), approfondiva le sue difese avverso l’atto di rettifica, impugnato assieme al primo atto di riscossione di cui era venuto a conoscenza, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29, comma 3, attraverso una corposa memoria difensiva (Ric. S 1553/04), facendo presente, peraltro, l’avvenuto annullamento dell’accertamento Irpef per lo stesso anno 1994 da parte della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna; istanza espressa (si veda pag. 52, rigo dal 5 al 8, della memoria difensiva del C. in CTP Ravenna – ric. S – 1553/2004) prima della trattazione in pubblica udienza, al Collegio di primo grado adito di rinvio dell’udienza già fissata per il 29 giugno 2004, ove avesse ravvisato “motivi nuovi”, per permettere alla difesa la notifica di memoria integrativa alle controparti ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, commi 2, 3 e 4; che all’udienza del 29 giugno 2004, la Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna riteneva non sussistere la necessità di un rinvio, dando luogo alla trattazione della causa;

costituisca violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 2) e violazione dell’art. 2697 c.c. per mancata prova della notifica della pretesa erariale, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

b) “se la mancata indicazione nelle richieste delle parti, con omessa specifica elencazione di tutti i motivi per i quali si chiedeva, in riforma della sentenza di primo grado, l’annullamento della iscrizione a ruolo, costituisce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 3) nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c. e artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”.

6.2. La domanda sub 6.1.3.a) è inammissibile per mancanza di autosufficienza, perchè la denuncia non è accompagnata e sostenuta dalla riproduzione testuali delle parti di quegli atti preprocessuali e di quegli atti processuali, ai quali la Corte non può accedere, che siano ritenute rilevanti per la valutazione dell'(in)fondatezza della censura proposta.

La domanda sub 6.1.3.b) è inammissibile per irrilevanza, perchè si sostanzia in una critica alla tecnica redazionale della sentenza, che non influisce sulla decisione della controversia.

7. Il secondo motivo d’impugnazione.

7.1.1. Il secondo motivo d’impugnazione è preannunciato dalla seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 degli artt. 140 e 148 c.p.c. della L. n. 212 del 2000, art. 6 nonchè degli artt. 3, 24 e 111 Cost., tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale 24/10-07/11/2007 n. 366, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Eventuale questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 per violazione degli artt. 3, 24, 53, 97 e 111 Cost.. Violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20. Violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 160 c.p.c.. Nullità della sentenza per il principio di invalidità derivata e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”.

7.1.2. Il Contribuente afferma di aver ricevuto, per la prima volta il 11 agosto 2003, notizia dei ruoli emessi nei suoi confronti, attraverso la raccomandata contenente la comunicazione informativa a soggetti non residenti nel territorio dello Stato italiano di affissione di intimazione di pagamento n. (OMISSIS). Nessuna conoscenza egli avrebbe avuto degli atti precedenti: avviso di rettifica, ruolo, cartella di pagamento, comunicazione dell’intimazione di pagamento. In sede di giudizio di primo grado, aperto con il ricorso contro la comunicazione, egli avrebbe potuto prendere visione dell’avviso di rettifica, nella cui relazione di notificazione si leggerebbe: “Io sottoscritto F.O. messo di (OMISSIS) ho notificato il presente a C.L. mediante deposito Casa Comunale per pubblicazione Albo pretorio ai sensi dell’art. 143 c.p.c.”.

Il Contribuente sostiene che, “a prescindere dall’obbligo di indicare nella relata di notifica, ex art. 148 c.p.c. i tentativi, le ricerche effettuata ed i motivi della mancata consegna, presupposti necessari per poter procedere ai sensi dell’art. 140 c.p.c., nel caso di specie si certificava di aver notificato con il rito degli irreperibili ai sensi dell’art. 143 c.p.c., espressamente escluso per le notificazioni in materia tributaria”, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60. Egli conduce, poi, una serie di considerazioni molto ampie, attraverso le quali s’invoca l’applicazione della sentenza della Corte costituzionale 7 novembre 2007, n. 366, per i cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE. 7.1.3. A conclusione del secondo motivo d’impugnazione sono formulati i seguenti quesiti di diritto:

a) “se incorra in violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, commi 1 e 2, art. 60, comma 1, lett. c) d) e) ed f) nonchè degli artt. 140 e 148 c.p.c., alla luce della sentenza della Corte costituzionale 24/10-07/11/2007 n. 366, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, tanto da determinare la nullità della sentenza, il Giudice di Seconde cure che abbia ritenuto legittima la notifica dell’avviso di rettifica IVA per l’anno 1994 al Sig. C.L., trasferitosi all’estero sin dal (OMISSIS) ed iscritto all’AIRE, con indirizzo estero già in possesso dell’Amministrazione finanziaria e già risultante al Comune di ultima residenza “(OMISSIS)”, nonchè con elezione di domicilio presso un consulente in Italia per la notifica degli atti tributari conseguenti ad un p.v.c della Guardia di Finanza, effettuata a dicembre del 1999 (quasi cinque anni dopo il trasferimento) all’ultimo indirizzo di residenza in (OMISSIS) “con le formalità proprie valide per i cittadini italiani nel territorio dello Stato” mediante deposito presso la Casa comunale e comunicazione con raccomandata A/R sempre all’indirizzo di ultima residenza in (OMISSIS), ai sensi dell’art. 140 c.p.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e con pubblicazione all’albo pretorio ai sensi dell’art. 143 c.p.c, senza peraltro, specificare nella relata di notifica, in calce all’avviso di rettifica, in violazione dell’art. 148 c.p.c., i tentativi, le ricerche effettuate ed i motivi della mancata consegna, presupposti necessari per poter procedere ai sensi dell’art. 140 c.p.c., ma limitandosi a certificare di aver notificato con il rito degli irreperibili ai sensi dell’art. 143 c.p.c., espressamente escluso, invece per le notificazioni in materia tributaria, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. f)”;

b)”se accertato il difetto di notifica dell’atto di rettifica presupposto, in applicazione del principio di invalidità derivata, non si sia determinata l’illegittimità di tutti gli atti derivati e non trattasi, oltre che di violazione e falsa applicazione di legge, anche di nullità della sentenza e nullità non sanate del procedimento (error in procedendo) che pertanto si riflettono sul procedimento conclusivo del giudizio, ricorribili in Cassazione ai seni dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4″;

c) “se accertata l’inesistenza o nullità assoluta della notifica dell’avviso di rettifica IVA per l’anno 1994, la stessa non sia stata sanata dalla proposizione del ricorso del contribuente avverso l’iscrizione a ruolo comunicatagli solo in data 11 agosto 2003, per l’intervenuta decadenza dal potere di contestare interessi e imposta D.P.R. n. 633 del 1972. ex art. 57 e dal potere di irrogare sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 20 nonchè per inapplicabilità della sanatoria prevista dagli artt. 156 e 160 c.p.c. alla notifica di atti che manifestando una pretesa tributaria hanno natura sostanziale”;

d)se sia fondata la questione di legittimità costituzionale “del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, commi 1 e 2, e art. 60, comma 1, lett. c) d) e) e f) per violazione degli artt. 3, 24, 53, 97 e 111 Cost. con specifico riferimento alla presente fattispecie”.

7.2. La formulazione dei quesiti di diritto può essere più sinteticamente espressa nei modi che seguono.

a) con il primo quesito di diritto si domanda se sia nulla la sentenza che abbia ritenuto legittima la notifica dell’avviso di rettifica dell’IVA a un cittadino italiano residente all’estero, iscritto all’AIRE ed elettivamente domiciliato presso un consulente fiscale in (OMISSIS) effettuata con le formalità proprie valide per i cittadini italiano nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 140 c.p.c. e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 e con pubblicazione all’albo pretorio ex art. 143 c.p.c. senza specificare i tentativi effettuati per eliminare l’irreperibilità;

b) con il secondo quesito di diritto si chiede se, accertato il difetto di notifica dell’avviso di rettifica presupposto, non siano viziati derivativamente tutti gli atti derivati;

c) con il terzo quesito di diritto si chiede se, accertata l’inesistenza o la nullità assoluta della notifica dell’avviso di rettifica dell’IVA 1994, essa sia stata sanata dalla proposizione del ricorso avverso l’iscrizione a ruolo solo in data 11 agosto 2003 per intervenuta decadenza dell’Ufficio dall’esercizio del potere di accertamento;

d) con il quarto quesito di diritto si chiede se sia fondata la questione di legittimità costituzionale della sopraindicata combinazione di disposizioni normative.

7.2.1. Il primo quesito di diritto, formulato così come lo si è testualmente riprodotto nel p.7.1.3.a) e così come lo si è sintetizzato nel p.7.2.a), è inammissibile per irrilevanza, perchè esso ipotizza l’applicazione della norma invocata ad una fattispecie diversa da quella effettivamente realizzatasi. Infatti, al giudice d’appello è stata sottoposta dal Contribuente una fattispecie caratterizzata dal trasferimento della sua residenza all’estero, dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà sottoscritta presso il Comune di (OMISSIS) e dalla dichiarazione IVA 1994, presentata nel 1995, nella quale l’indirizzo indicato dal Contribuente è quello di (OMISSIS) (pagina 4, righe 32-40, della sentenza d’appello), che è il luogo della notificazione dell’avviso di rettifica. L’ufficio, a prescindere dalla conoscenza che abbia avuto del trasferimento della residenza all’estero fin dal settembre 1994, si è attenuto alla volontà del Contribuente, manifestata nella dichiarazione IVA presentata nel 1995, di avere il domicilio fiscale nel Comune di (OMISSIS). La decisione della CTR di considerare valida la notificazione dell’avviso di rettifica è, perciò, immune da censure. Di contro alla fattispecie sottoposta alla CTR, quella che ora viene rappresentata a questa Corte è molto differente, perchè nel quesito di diritto scompare ogni riferimento alla dichiarazione IVA 1994 presentata nel 1995 e vi si aggiunge l’iscrizione del Contribuente nell’AIRE. Ne deriva che, a prescindere dall’esistenza della norma invocata, essa non potrebbe comunque essere applicata alla fattispecie oggetto della sentenza d’appello, che si è pronunciata su una fattispecie diversa da quella assunta come oggetto di controversia in questa sede attraverso la formulazione del primo quesito di diritto.

7.2.2. L’inammissibilità del primo quesito di diritto coinvolge nella stessa sorte il secondo e il terzo quesito di diritto, che ne sono immediate derivazioni.

7.2.3. Il quarto quesito di diritto è manifestamente infondato, perchè la questione di legittimità costituzionale, di cui si chiede la sollevazione, è già stata risolta con la sentenza della Corte costituzionale 7 novembre 2007, n. 366.

8. Il terzo motivo d’impugnazione.

8.1.1. Il terzo motivo d’impugnazione è preannunciato dalla seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 02 del 1973, art. 26 del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 degli artt. 140 e 148 c.p.c., della L. n. 212 del 2000, art. 6 nonchè degli artt. 3, 24 e 111 Cost., tenendo conto della sentenza della Corte Costituzionale 24/10-07/11/2007 n. 366, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Eventuale questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 per violazione degli artt. 3, 24, 53, 97 e 111 Cost.. Violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Nullità della sentenza per il principio di invalidità derivata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, u.c., artt. 24 e 25 all’epoca vigenti”.

8.1.2. Nella motivazione addotta a sostegno del terzo motivo d’impugnazione si contesta quella parte della sentenza d’appello, già riprodotta testualmente nella parte finale del p.3.e), si ricordano i fatti già descritti a proposito degli altri motivi d’impugnazione e sulla base di essi si sostiene che la cartella di pagamento e la comunicazione dell’avviso di deposito dell’intimazione di pagamento sarebbero state notificate tardivamente rispetto al termine D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 17, u.c., artt. 24 e 25.

8.1.3. A conclusione del terzo motivo d’impugnazione si formulano i seguenti quesiti di diritto:

a) “se incorra in violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, commi 1 e 2, art. 60, comma 1, lett. c) d) e) ed f) nonchè degli artt. 140 e 148 c.p.c. alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 24/10- 07/11/2007 n. 366, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, tanto da determinare la nullità della sentenza, il Giudice di Seconde cure che abbia ritenuto legittima la notifica della cartella di pagamento e dell’intimazione di pagamento al Sig. C.L. trasferitosi all’estero sin dal (OMISSIS) ed iscritto all’AIRE, con indirizzo estero già in possesso dell’Amministrazione finanziaria e già risultante al Comune di ultima residenza ” (OMISSIS)”, nonchè con elezione di domicilio presso un consulente in (OMISSIS) per la notifica degli atti tributali conseguenti ad un p.v.c. della Guardia di Finanza, effettuata (la cartella di pagamento nel febbraio 2001 e l’intimazione di pagamento nell’agosto del 2003) all’ultimo indirizzo di residenza in (OMISSIS) “nel rispetto delle norme vigenti in materia” mediante deposito presso la Casa comunale e comunicazione con raccomandata A/R (per la cartella ad un indirizzo errato e per l’intimazione di pagamento poi impugnata all’indirizzo errato corretto), senza, peraltro, specificare, in palese violazione dell’art. 148 c.p.c., i tentativi, le ricerche effettuate ed i motivi della mancata consegna, presupposti necessari per poter procedere ai sensi dell’art. 140 c.p.c.”;

b)”se accertato il difetto di notifica della cartella di pagamento presupposta, in applicazione del principio di invalidità derivata, non si sia determinata l’illegittimità di tutti gli atti derivati e non trattasi, oltre che di violazione e falsa applicazione di legge, anche di nullità della sentenza e nullità non sanate del procedimento (error in procedendo) che pertanto si riflettono sul provvedimento conclusivo del giudizio, ricorribili in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4″;

c) “se accertata l’inesistenza o nullità assoluta della notifica del ruolo e della cartella di pagamento, la stessa non sia stata sanata dalla proposizione del ricorso del contribuente avverso l’iscrizione a ruolo comunicatagli solo in data 11 agosto 2003, per l’intervenuta decadenza dal potere di contestare interessi e imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 57 e dal potere di irrogare sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 20 nonchè per inapplicabilità della sanatoria prevista dagli artt. 156 e 160 c.p.c. alla notifica di atti che manifestando una pretesa tributaria per la prima volta hanno natura sostanziale”;

d)”se il Giudice di appello abbia violato l’art. 112 c.p.c. e l’art. 2909 c.c. non pronunciandosi in relazione agli effetti dell’intervenuto giudicato su questione analoga con sentenza n. 63/02/05, della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna, Sez. 2^, che aveva annullato l’intimazione di pagamento (OMISSIS) con la quale erano stati illegittimamente notificati i ruoli la C. in materia di Irpef per gli anni dal 1995 al 1998″;

e) “se la comunicazione a soggetto non residente dell’avvenuto deposito presso la casa comunale, inviata all’effettivo indirizzo estero del C. ((OMISSIS)) solo in data 11 agosto 2003, quale primo atto ricevuto dal contribuente, non abbia determinato l’intervenuta decadenza dal potere di notificare il ruolo e la cartella di pagamento per violazione del combinato disposto dell’art. 17, u.c., artt. 24 e 25 all’epoca vigenti”;

f) se sia fondata la “questione di legittimità costituzionale, come sopra prospettata, del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, commi 1 e 2, e art. 60, comma 1, lett. c) d) e) ed f) anche in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 per violazione degli artt. 3, 24, 53, 97 e 111 Cost., con specifico riferimento alla presente fattispecie”.

8.2.1. Il primo quesito di diritto è identico, salvo il riferimento alla cartella di pagamento in luogo dell’avviso di rettifica, a quello proposto per primo a conclusione del motivo precedente.

Valgono per esso le stesse considerazioni e la stessa ragione d’inammissibilità per irrilevanza causata dal riferimento a fattispecie diversa da quella oggetto della sentenza d’appello.

8.2.2. Il secondo quesito di diritto è assorbito dall’inammissibilità rilevata nei riguardi del primo quesito di diritto, perchè è basato sul medesimo presupposto alterativo della struttura della fattispecie controversa.

8.2.3. Il terzo quesito di diritto è inammissibile, sia perchè esso è formulato in maniera tutt’altro che univoca, non risultando chiaro il riferimento alla fattispecie controversa, così com’essa sarebbe stata categorizzata dal giudice d’appello, sia perchè esso non rispetta il principio di diritto, secondo il quale “il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge” (Corte di cassazione 17 luglio 2008, n. 19769). Il principio è ribadito anche dalla sentenza della Corte di cassazione 30 settembre 2008, n. 24339, per la quale “il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile”. Inoltre, il quesito di diritto in esame è formulato anche senza che sia osservata la clausola d’inammissibilità, fissata dalla giurisprudenza della Corte e fondata sulla logica dell’interpretazione normativa, secondo cui “è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 “bis” cod. proc. civ., il ricorso per cassazione in cui l’espressione “quesito giuridico” sia seguita da una mera elencazione di norme, asseritamente violate, senza che – a conclusione o nel corpo del mezzo impugnatorio – risulti formulato il quesito in ordine al quale si chiede alla Corte l’enunciazione del correlativo principio di diritto” (Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 18 luglio 2008, n. 19811). In sostanza, non basta elencare una serie di disposizioni normative, ma occorre anche indicare la norma giuridica che si ritiene sia stata violata, così come, del resto, già prevedeva e prevede ancora, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Nel quesito in esame, oltre alla non chiara indicazione della fattispecie controversa, manca sia l’indicazione della norma invalidamente applicata dalla CTR sia di quella indicata dal ricorrente come idonea a sussumere la fattispecie controversa, non bastando che, in sostituzione della norma invocata si rediga un elenco di disposizioni normative, le quali forniscono solo frammenti di norma, di per sè variamente componibili e, quindi, da utilizzare, da parte del ricorrente a pena d’inammissibilità, per comporre la norma secondo l’ipotesi d’impugnazione da lui formulata.

8.2.4. Il quarto quesito di diritto formulato a conclusione del terzo motivo d’impugnazione è inammissibile per mancanza di autosufficienza. Infatti, è principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello, secondo il quale, “se con il ricorso per cassazione si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. ipotizzando l’esistenza di un error in procedendo non rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, che, in quanto giudice anche del “fatto processuale”, ha il potere di esaminare direttamente gli atti processuali, non è vincolata a ricercare autonomamente gli atti rilevanti per la questione proposta, incombendo, invece, sul ricorrente l’onere di indicarli specificamente e autosufficientemente (Corte di cassazione 17 gennaio 2007, n. 978)”.

11 principio di diritto alla stregua del quale si deve decidere sul motivo è, dunque, il seguente: “il ricorrente per cassazione che denunci la violazione dell’art. 112 c.p.c. ipotizzando l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado su un motivo d’impugnazione da lui proposto con l’atto d’appello, relativo ad una questione non rilevabile d’ufficio, deve formulare il motivo osservando, a pena d’inammissibilità, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione”.

8.2.5. Il quinto quesito di diritto formulato a conclusione del terzo motivo d’impugnazione è assorbito dalla decisione d’inammissibilità del terzo quesito di diritto, relativo alla validità della notificazione della cartella di pagamento, perchè la vai citazione della decadenza del rispetto del termine di decadenza dell’atto di riscossione dev’essere effettuata con riguardo alla sua notificazione e non relativamente ad ulteriori comunicazioni.

8.2.6. Il sesto quesito di diritto formulato a conclusione del terzo motivo d’impugnazione è manifestamente infondato, perchè riguarda una questione di legittimità costituzionale che è già stata affrontata e risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza 7 novembre 2007, n. 366.

9. Il quarto motivo d’impugnazione.

9.1.1. Il quarto motivo d’impugnazione è posto sotto la seguente rubrica: “Insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè omessa motivazione su altri fatti altrettanto controversi e decisivi, violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5; violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, (in virtù del richiamo operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.

9.1.2. Segue una motivazione relativamente diffusa (pagine 54-63 del ricorso).

9.2. Il motivo è inammissibile, perchè a conclusione di esso e della sua motivazione non è formulato il quesito motivazionale omologo di quello di diritto, richiesto appunto a pena d’inammissibilità, dall’art. 366-bis c.p.c.. In tal senso si è espressa questa Corte, Sezioni unite civili, con la sentenza 1 ottobre 2007, n. 20603, secondo la quale “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità”. Il principio è stato, poi, applicato, dalle Sezioni semplici, per esempio dall’ordinanza 7 aprile 2008, n. 8897, secondo cui, “allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso”.

10. Il quinto motivo d’impugnazione.

10.1.1. Il quinto motivo d’impugnazione è annunciato dalla seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16 del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa pronuncia sul punto con violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”.

10.1.2. Il ricorrente sostiene che nell’atto di appello avrebbe ribadito il difetto di motivazione dell’intimazione di pagamento, anche perchè in esso non sarebbero stati indicati nè l’aliquota applicata per il calcolo del compenso di riscossione nè il tasso praticato per gli interessi dimora, cosicchè egli sarebbe stato privato della possibilità di verificare la correttezza degli importi indicati.

1.0.1.3. A conclusione del motivo d’impugnazione si formula il seguente quesito di diritto: “se incorra in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25 in relazione all’art 360 c.p.c., n. 3, nonchè in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, il Giudice di appello che ometta di pronunciarsi sulla illegittimità, per difetto di motivazione, di una intimazione di pagamento che si limiti ad indicare degli importi richiesti a titolo di imposta, sanzioni, interessi, compensi della riscossione ed interessi di mora, semplicemente richiamando una iscrizione a ruolo e cartella di pagamento senza allegarla e senza riprodurne il contenuto essenziale – soprattutto ove non sia stata fornita la prova, gravante sull’Amministrazione finanziaria, della corretta notifica degli stessi e della effettiva loro conoscenza da parte del contribuente ricorrente, nonchè senza che sia indicata la data di consegna del ruolo e quella in cui sia stato reso esecutivo, come pure senza indicazione dell’aliquota applicata per il calcolo del compenso di riscossione, ed il tasso praticato per gli interessi di mora, non dando la possibilità al ricorrente di verificarne la correttezza degli importi indicati”.

10.2. Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

Infatti, è principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello, secondo il quale, “se con il ricorso per cassazione si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. ipotizzando l’esistenza di un error in procedendo non rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, che, in quanto giudice anche del “fatto processuale”, ha il potere di esaminare direttamente gli atti processuali, non è vincolata a ricercare autonomamente gli atti rilevanti per la questione proposta, incombendo, invece, sul ricorrente l’onere di indicarli specificamente e autosufficientemente (Corte di cassazione 17 gennaio 2007, n. 978)”.

Il principio di diritto alla stregua del quale si deve decidere sul motivo è, dunque, il seguente: “il ricorrente per cassazione che denunci la violazione dell’art. 112 c.p.c. ipotizzando l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado su un motivo d’impugnazione da lui proposto con l’atto d’appello, relativo ad una questione non rilevabile d’ufficio, deve formulare il motivo osservando, a pena d’inammissibilità, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione”.

11. Il sesto motivo d’impugnazione.

11.1.1. Il sesto motivo d’impugnazione è prospettato sotto la seguente rubrica. “Violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 5 e 6 e art. 8, lett. c), della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a) artt. 3, 24, 97 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa pronuncia sul punto con violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”.

11.1.2. Il ricorrente afferma che “all’eccezione della mancata sottoscrizione degli atti impugnati e della mancata indicazione del responsabile del procedimento che, con la sottoscrizione, compie un preciso e formale atto di assunzione di responsabilità, proposta sin dal primo grado e ribadita in appello …, con violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 5 e 6 e art. 8, lett. c), L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a) il Giudice di merito omette di pronunciarsi, in palese violazione dell’art. 112 c.p.c.”.

11.1.3. A conclusione del sesto motivo d’impugnazione si formula il seguente quesito di diritto: “se non incorra in violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 5, 6 e art. 8, lett. c), della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 3, 24, 97 e 111 Cost. nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, il Giudice di appello che, a fronte della contestazione di mancata sottoscrizione dell’intimazione di pagamento e della cartella di pagamento e indicazione del responsabile del procedimento che, con la sottoscrizione, formalmente compie un preciso atto di assunzione di responsabilità per gli effetti che l’atto stesso produce nei confronti del destinatario, ometta di pronunciarsi e ritenga legittimo l’atto impugnato”.

11.2. Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

Infatti, è principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello, secondo il quale, “se con il ricorso per cassazione si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. ipotizzando l’esistenza di un errar in procedendo non rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, che, in quanto giudice anche de “fatto processuale”, ha il potere di esaminare direttamente gli atti processuali, non è vincolata a ricercare autonomamente gli atti rilevanti per la questione proposta, incombendo, invece, sul ricorrente l’onere di indicarli specificamente e autosufficientemente (Corte di cassazione 17 gennaio 2007, n. 978)”.

Il principio di diritto alla stregua del quale si deve decidere sul motivo è, dunque, il seguente: “il ricorrente per cassazione che denunci la violazione dell’art. 112 c.p.c. ipotizzando l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado su un motivo d’impugnazione da lui proposto con l’atto d’appello, relativo ad una questione non rilevabile d’ufficio, deve formulare il motivo osservando, a pena d’inammissibilità, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione”.

12. Il settimo motivo d’impugnazione.

12.1.1. Il settimo motivo d’impugnazione è posto sotto la seguente rubrica: “Violazione dell’art. 2909 c.c. violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 violazione dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa pronuncia sul punto con violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”.

12.1.2. Il ricorrente afferma che la CTP avrebbe omesso di pronunciarsi sulle eccezioni relative alla infondatezza nel merito della rettifica IVA. “Al riguardo si era prodotta in giudizio la sentenza n. 92/01/01 emessa dalla CTP di Ravenna, … che aveva annullato un avviso di accertamento ai fini delle II.DD. imposte dirette, sempre per l’anno 1994, perchè ritenuto illegittimo ed infondato … . Successivamente il ricorrente nell’atto di appello … eccepiva l’omessa pronuncia sul merito … . Il Giudice di appello ha invece escluso ogni valutazione sul merito”.

12.1.3. A conclusione del settimo motivo d’impugnazione il ricorrente formula il seguente quesito di diritto, “se non incorra in violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, il Giudice di appello che, a fronte della eccezione di intervenuto giudicato su una pretesa ai fini Irpef per lo stesso anno 1994 e nei confronti dello stesso contribuente, avente ad oggetto gli stessi presupposti di fatto della pretesa IVA su cui è chiamato a giudicare, ritenuti per la maggior parte infondati dalla sentenza passata in giudicato, ometta di pronunciarsi sul merito e sulla violazione della effettiva capacità contributiva del ricorrente, nonchè di rilevare gli effetti del giudicato esterno”.

12.2. Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

Infatti, è principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello, secondo il quale, “se con il ricorso per cassazione si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. ipotizzando l’esistenza di un error in procedendo non rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, che, in quanto giudice anche del “fatto processuale”, ha il potere di esaminare direttamente gli atti processuali, non è vincolata a ricercare autonomamente gli atti rilevanti per la questione proposta, incombendo, invece, sul ricorrente l’onere di indicarli specificamente e autosufficientemente (Corte di cassazione 17 gennaio 2007, a 978)”.

Il principio di diritto alla stregua del quale si deve decidere sul motivo è, dunque, il seguente: “il ricorrente per cassazione che denunci la violazione dell’art. 112 c.p.c. ipotizzando l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado su un motivo d’impugnazione da lui proposto con l’atto d’appello, relativo ad una questione non rilevabile d’ufficio, deve formulare il motivo osservando, a pena d’inammissibilità, il principio di autosufficienza del ricorso pei cassazione”.

13. Conclusioni.

13.1. Le precedenti considerazioni comportano il rigetto del ricorso.

13.2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al giudizio di cassazione per ciascuna delle controparti per Euro 5.100,00 (cinquemila e cento), di cui Euro 5.000,00 (cinquemila) per onorari, oltre al contributo unico e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2010

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