Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13587 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 02/07/2020), n.13587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27896/2018 proposto da:

G.J., considerato domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Chiara

Villante;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale Brescia;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato in data

6/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto n. 3263/2018 depositato il 6/08/2018 e comunicato il 7/08/2018 a mezzo pec, il Tribunale di Brescia ha rigettato il ricorso di G.J. – nigeriano, nato ad (OMISSIS) ed ivi vissuto sino al compimento dei venti anni, trasferitosi successivamente a (OMISSIS), da cui era fuggito il (OMISSIS) per andare a (OMISSIS) e poi in Niger e quindi in Libia ed infine imbarcatosi per l’Italia -, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento delle protezioni internazionali e, in via subordinata, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari sia in considerazione della situazione oggettiva della Nigeria, sia in considerazione della sua vulnerabilità, in quanto il rientro in patria gli avrebbe impedito di condurre una vita dignitosa, essendo privo di mezzi e del supporto della sua famiglia.

Il Tribunale ha ritenuto, confermando al riguardo la conclusione cui era pervenuta la Commissione Territoriale, il difetto dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, stante la carenza, nella narrazione dell’attuale ricorrente, dei motivi di persecuzione espressamente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, l’assoluta inattendibilità del racconto del predetto, con conseguente carenza di fondamento della domanda di riconoscimento di protezione sussidiaria formulata, in via subordinata, ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) del D.Lgs. citato e, in ogni caso, pur a voler diversamente opinare, l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, non essendo stato il richiedente oggetto di alcun atto di persecuzione.

Inoltre, quel Tribunale ha ritenuto infondata la domanda anche in relazione del citato art. 14, lett. c), in quanto lo stesso ricorrente non aveva nemmeno implicitamente allegato che, in caso di rimpatrio, avrebbe rischiato la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generalizzata ed indiscriminata violenza derivante da conflitto armato, evidenziando, altresì, che lo stato di (OMISSIS) era stato per il ricorrente un luogo di mero transito in cui aveva vissuto pochissimo (solo otto mesi), avendo trascorso il resto della sua vita ad (OMISSIS), zona per la quale, dagli ultimi report Easo, non erano stati segnalati scontri riconducibili a (OMISSIS) e che la situazione di tale stato era determinata da una criminalità sostanzialmente comune, prevalentemente indirizzata contro gli stranieri che lavorano per le compagnie petrolifere e comunque tale da non dar luogo ad una rilevante e stabile perdita di controllo del territorio da parte delle autorità governative, dato questo veramente indicativo dell’esistenza di un conflitto armato interno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il che trovava conforto nella copiosa rassegna dei rapporti di Amnesty International.

Il Tribunale ha pure ritenuto che non può essere riconosciuto al ricorrente il diritto alla residuale forma di protezione umanitaria. Al riguardo quel Giudice ha ritenuto che tale protezione vada riconosciuta in capo a soggetti che si trovino in particolari condizioni di vulnerabilità per cause dipendenti da fattori soggettivi (per es. motivi di salute e di età) oppure per ragioni di carattere oggettivo (ad es. una situazione di grave instabilità politica caratterizzata da generalizzata violenza, dalla perpetrazione di generalizzate, gravi violazioni dei diritti umani, vittime di carestie o disastri ambientali o naturali ecc.), laddove una situazione di instabilità socio-politica e/o economica del paese di provenienza del migrante sia tanto grave e generalizzata da recare un significativo vulnus agli interessi di rango primario di una qualsiasi persona collocata in quell’area geografica. E nella specie, il Tribunale ha ritenuto difettassero entrambi i presupposti, non avendo il ricorrente allegato, come era suo onere D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, fattori meritevoli di protezione diversi da quelli esaminati per il riconoscimento della protezione internazionale e per i quali quel Tribunale aveva già espresso un giudizio di infondatezza per inattendibilità del richiedente.

Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, basato su due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno e della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,14 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – erronea, contraddittoria motivazione e omessa valutazione di elementi di fatto (nn. 3 e 5)”.

Il ricorrente censura il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per la protezione sussidiaria, sostenendo che tale decreto sarebbe frutto di un’erronea valutazione di elementi di fatto nonchè di erronea applicazione di norme e principi di diritto e che egli avrebbe, invece, diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. b) e art. 14, lett. c), dovendo ritenersi fondato, in caso di rimpatrio, il rischio di subire un grave danno, stante l’attuale situazione generale del paese di provenienza e dovendosi riconoscere alla nozione di “conflitto armato interno” una portata più ampia, di violenza indiscriminata non fronteggiata adeguatamente dallo stato di appartenenza.

Per il corretto significato da attribuire a tale espressione occorrerebbe, ad avviso del ricorrente, far riferimento al diritto internazionale umanitario e in particolare all’art. 1 del protocollo II della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, in base al quale, per stabilire la sussistenza di un conflitto armato interno dovrebbero essere considerati quali requisiti sufficienti l’esistenza di chiare strutture di comando tra le parti in conflitto ed un controllo sul territorio tali da soddisfare quanto indicato nel detto protocollo.

Inoltre, assume il ricorrente che, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 14, lett. c) citato, non sarebbe necessaria la rappresentazione coerente di un quadro individuale di esposizione diretta al pericolo per la propria incolumità, essendo sufficiente tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa e indiscriminata non sia contrapposto alcun anticorpo concreto delle autorità statali; le eventuali condizioni soggettive non escluderebbero questo nesso causale più ampio, ferma la necessità di un’indagine officiosa sull’effettivo contrasto alla violenza svolto dalle autorità statuali del paese di provenienza e sul pericolo per l’incolumità cui sia esposto il cittadino straniero in caso di suo rientro nel paese d’origine, se pur non ricollegabile in via diretta e causale alla condizione soggettiva narrata. Pertanto, i richiamo alla situazione del paese di origine sarebbe di per sè sufficiente per l’accoglimento della richiesta di protezione sussidiaria anche se il richiedente non ha fornito la prova di una individuale esposizione al pericolo.

In particolare, il ricorrente rappresenta che: Edo State, zona della Nigeria da cui proviene, non è immune da un clima di violenza generalizzata, la situazione socio-politica è contraddistinta da situazioni di estremo pericolo per l’incolumità della persona, emergendo, da notizie diffuse su diversi siti internet, un’allarmante situazione di violenza indiscriminata.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la giurisprudenza di questa Corte ha affermato condivisibilmente che l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., ord., 12/12/2018, n. 32064; e Cass. 21/11/2018, n. 30105; Cass. 13712/2012, n. 32912/19).

Va pure evidenziato che questa Corte ha già precisato che “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass., ord., 8/07/2019, n. 18306) e un siffatto livello di violenza non risulta essere stato accertato dal Giudice del merito.

Inoltre, va osservato che il ricorrente non ha neppure assolto l’onere di allegazione circa l’applicabilità, con riferimento alla situazione concreta del suo Paese d’origine, dell’art. 1 del protocollo II della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, cui ha fatto riferimento.

Ritiene il Collegio che, peraltro, le censure proposte sono inammissibili anche laddove, pur dietro la formale prospettazione di un vizio di violazione di legge, prospettano in sostanza doglianze riferite al merito della decisione impugnata.

Le eccezioni difensive sono volte, in effetti, non a censurare l’applicazione della norma di legge, siccome compiuta dal Tribunale il quale, nell’accertare, in fatto, l’insussistenza di una situazione di pericolo nel paese d’origine, si è all’evidenza, come risulta dal tenore delle affermazioni contenute nel decreto impugnato, avvalso di fonti coeve alla redazione del provvedimento detto, peraltro autorevoli e specificamente richiamate – ma a proporre una valutazione alternativa della situazione esistente nell’Edo State rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, sulla base di fonti in parte diverse, e in tesi più affidabili, rispetto a quelle considerate dal giudice di merito.

In particolare, nel caso di specie il Giudice ha escluso, con motivazione coerente, esaustiva e non viziata da insanabili contraddizioni e con indicazione delle fonti di conoscenza, la sussistenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine. La situazione politica del paese di origine – la Nigeria – e della zona di provenienza del ricorrente – Edo State – è stata analizzata dal giudice territoriale, che ha escluso, motivatamente, l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata. Le censure proposte si risolvono, quindi, in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053).

2. Il secondo motivo è così rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – omessa valutazione di fatto e di diritto – Erronea e/o contraddittoria motivazione”.

Con tale mezzo il ricorrente censura il decreto impugnato anche nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il ricorrente sostiene che il decreto impugnato sia frutto di un’errata valutazione della documentazione da lui allegata e acquisita d’ufficio da cui emergerebbe la sussistenza, nel caso all’esame, di fattori oggettivi che legittimerebbero il riconoscimento della protezione umanitaria (in particolare la situazione socio economica della Nigeria).

2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Il ricorrente, con il mezzo all’esame, sollecita un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dai Giudici di merito, che, con motivazione adeguata e scevra da insanabili contraddizioni – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente hanno escluso, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, anche mediante ampia e dettagliata descrizione della situazione del Paese di origine del richiedente, ed in particolare della zona specifica di provenienza del ricorrente (Stato di Edo), con indicazione delle fonti.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

4. Non vi è luogo a provvedere per le spese del presente giudizio di legittimità non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20 settembre 2019, n. 23535; v. anche Cass. 5/04/2019, n. 9660; Cass., ord., 30/10/2019, n. 27867; Cass., ord., 14710/2019, n. 25862), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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