Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13581 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 30/05/2017, (ud. 09/05/2017, dep.30/05/2017),  n. 13581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12452-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 11/2009 della COMM.TRIB.REG. di AOSTA,

depositata il 18/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PISANA che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di B.R., avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Valle d’Aosta che, rigettandone l’appello, ha concluso per la sussistenza delle condizioni per riconoscere al contribuente il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998, 1999, 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004, stante lo svolgimento dell’attività di medico convenzionato ASL, in assenza “di una autonoma organizzazione e con l’impiego di beni strumentali di modesto valore, di modo che il reddito è il frutto esclusivo del proprio lavoro intellettuale e personale”.

L’ intimato contribuente non ha volto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, giacchè la CTR ha violato il principio secondo cui grava sul contribuente l’onere di provare il fatto costitutivo della pretesa restitutoria e, segnatamente, l’assenza di autonoma organizzazione che rende ingiustificato il prelievo fiscale, avendo basato la impugnata decisione sulle mere allegazioni del professionista.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa un fatto controverso per il giudizio, giacchè la CTR, nel risolvere la res controversa inerente la sussistenza dei presupposti impositivi, si è limitata all’affermazione che dalla documentazione prodotta emerge che l’attività svolta dal medico convenzionato è priva di una autonoma organizzazione. I suesposti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, vanno disattesi.

La sentenza gravata richiama puntualmente gli elementi valutativi che assumono rilievo ai fini qui considerati, quali appunto “l’esistenza di rilevanti quote di ammortamento (non legate a beni di utilità promiscua), l’esistenza di personale dipendente, l’esistenza di un contratto di locazione appositamente per lo studio”, normalmente idonei a dimostrare una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella legata alla capacità individuale del professionista, quale esercente attività intellettuale intuitu personae, e passa poi all’esame delle risultanze probatorie acquisite evidenziando che “tutta la documentazione prodotta agli atti dalla parte (quadro RE) induce a ritenere che l’attività svolta è priva di un’autonoma organizzazione e con l’impiego di beni strumentali di modesto valore, di modo che il reddito è il frutto esclusivo del proprio lavoro intellettuale e personale”.

Si tratta, a ben vedere, di valutazioni meritali frutto di una compiuta indagine del giudicante, ancorchè compendiata in una sintetica motivazione, la cui correttezza non può dirsi superata dalle doglianze dell’Agenzia delle Entrate, vuoi perchè il giudicante non inverte l’onere della prova di chi richiede un rimborso (Cass. S.U. n. 12109/2009; Cass. n. 3676/2007), vuoi perchè l’accertamento dell’esistenza, sufficienza e rilevanza della prova implica una tipica indagine di fatto, istituzionalmente attribuita dalla legge al giudice del merito e sindacabile in sede di legittimità solo per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, ipotesi questa che qui all’evidenza non ricorre.

Nel giudizio di legittimità, infatti, qualora il ricorrente lamenti una omessa od insufficiente motivazione da parte del giudice di merito, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione, ha l’onere di indicare le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità e adeguatezza, cioè di indicare quale circostanza processuale (factum probans) il giudice di merito abbia trascurato, ovvero per quale motivo logico-giuridico la ricostruzione del fatto ignoto (factum probandum) data dal giudice di merito sia carente perchè, ove il ricorrente si limiti a fornire una diversa ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella sentenza impugnata, la censura si risolve inammissibilmente sulla richiesta di un riesame del merito (Cass. n. 17486/2002).

Ed invero, anche se l’Agenzia delle Entrate indica, nel ricorso per cassazione (pagg. 6 e 7), gli elementi risultanti dalla documentazione in atti che sarebbero – a suo avviso – decisivi, in quanto idonei a condurre ad una diversa decisione della causa, la sentenza impugnata, a ben vedere, non ne prescinde affatto, e contiene una valutazione degli stessi in linea con la sentenza n. 7719/2017 di questa Corte, in controversia interessante altro medico convenzionato, e con la sentenza n. 9451/2016 delle Sezioni Unite, pronunce alla luce delle quali si deve escludere l’autonomia organizzativa di un studio professionale dotato soltanto di un segretario e di beni strumentali minimi, secondo un concetto di “esercizio della professione” inteso in senso necessariamente dinamico e non statico (cfr. “l’id quod plerumque accidit” di cui alla sentenza n. 12109/2009 delle Sezioni Unite), in quanto il presupposto dell’imposta è la sussistenza di un’autonoma struttura organizzativa “esterna” che ricorre allorchè il professionista impieghi beni strumentali eccedenti, ben s’intende laddove si tratti di fattori suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato e “che non siano tutto sommato trascurabili, bensì capaci di fornire un effettivo qualcosa in più al lavoratore autonomo”.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e non v’è luogo a pronuncia sulle spese non avendo l’intimato contribuente svolto attività difensiva.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 1.700,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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