Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13581 del 30/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13581 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 4725-2008 proposto da:
TANZI LETIZIA, domiciliata in ROMA, VIA MONTE PERTICA
39, presso lo studio dell’avvocato SALADINO FABRIZIO,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
DANIELE DONATO, giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
834

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
80078750587, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA
FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

Data pubblicazione: 30/05/2013

rappresentato e difeso dagli avvocati MITTONI ENRICO,
MERCANTI VALERIO, LANZETTA ELISABETTA, giusta delega
in atti;

avverso la sentenza n.

controricorrente

8827/2006 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

06/03/2013

dal Consigliere Dott. UMBERTO

BERRINO;
udito l’Avvocato CIRIELLO CHERUBINA per delega
LANZETTA ELISABETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di ROMA, depositata il 05/02/2007 r.g.n. 363/05;

Svolgimento del processo
Con sentenza del 13/12/06 — 5/2/07 la Corte d’appello di Roma ha rigettato
l’impugnazione proposta da Letizia Tanzi, ex dipendente dell’Inps, avverso la
sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che le aveva respinto la

non economici relativo al triennio 1998-2001, per la riassunzione presso l’ente
previdenziale nella stessa posizione e qualifica rivestite all’atto del suo
collocamento a riposo a far data dalli/5/1999.
Nel pervenire a tale convincimento la Corte ha spiegato che dal contesto della
disposizione collettiva invocata, da interpretare alla luce dei principi generali in
tema di pubblico impiego, si evinceva che quello preteso dalla ricorrente non era
un diritto perfetto, essendo subordinato alla valutazione discrezionale sulla
corrispondenza della riassunzione all’interesse pubblico dell’ente, decisione,
questa, che nella fattispecie risultava essere stata eseguita dall’istituto
previdenziale in base ai principi di correttezza e buona fede, vale a dire nell’ambito
dei criteri generali prefissati per l’esercizio di un tale potere, criteri che tenevano
conto della necessità dell’ente di non subire un eccessivo invecchiamento della
forza lavoro. Secondo la Corte non era nemmeno ravvisabile la violazione dei
termini procedimentali stabiliti dalla suddetta disposizione collettiva, in quanto la
richiesta della ex dipendente era stata avanzata in maniera inammissibile ancor
prima dell’entrata in vigore della disposizione stessa.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso Letizia Tanzi, la quale affida
l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso l’Inps.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente deduce l’erronea applicazione di una
determinazione amministrativa emanata successivamente alla presentazione della
domanda ed alla scadenza del termine perentorio entro il quale la pubblica

domanda formulata, ai sensi dell’art. 4 del ccnI del personale degli enti pubblici

amministrazione doveva provvedere, assumendo che l’art. 4 della “preintesa” al
contratto collettivo per il triennio 1998/2001 prevedeva solo i seguenti limiti
all’accoglimento di domande come la sua: 1)11 decorso, dalla data di collocamento
a riposo, di un arco di tempo non superiore a cinque anni; 2) la disponibilità, nella

perentorio di giorni sessanta per l’adozione, da parte dell’amministrazione, delle
relative determinazioni in merito; 4) la mancata subordinazione dell’esecutorietà di
quanto stabilito a livello di intese all’emanazione di norme di attuazione.
Tanto premesso, la ricorrente precisa che era in possesso dei predetti requisiti, in
quanto alla data di scadenza del termine entro il quale l’amministrazione avrebbe
dovuto provvedere lei risultava essere stata già collocata a riposo da meno di
cinque anni e nella pianta organica c’era disponibilità di posti del tipo di quello che
lei avrebbe potuto ricoprire, per cui, in base a quella normativa allora in vigore,
l’amministrazione avrebbe dovuto decidere, potendo riassumerla, a nulla valendo
la circostanza che un Dirigente avesse nel frattempo introdotto norme di
attuazione in contrasto con quelle dell’art. 4 della citata preintesa collettiva.
La ricorrente chiede, quindi, di accertare quanto segue: se la norma collettiva di
cui all’art. 4 era applicabile anche in difetto di norme di attuazione; se la verifica
dei requisiti per la riammissione in servizio doveva essere effettuata sulla base
delle sole disposizioni vigenti nel momento in cui avrebbe dovuto essere adottata
la determinazione; se le norme di attuazione emanate da autorità di rango inferiore
potevano avere efficacia retroattiva; se l’amministrazione poteva omettere di
provvedere in attesa delle norme di attuazione.
2. Col secondo motivo la Tanzi si duole della illegittimità della determinazione del
Vice-Direttore Generale e della sua mancata disapplicazione da parte del giudice
ordinario, per cui chiede di accertare se la norma collettiva di cui all’art. 4 aveva
demandato alle amministrazioni interessate la predisposizione delle norme di
attuazione, se tale norma collettiva era di rango superiore rispetto alle disposizioni

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2

pianta organica, di un posto corrispondente a quello reclamato; 3) un termine

di attuazione e se nell’emanarle il Vice-Direttore generale aveva agito in carenza
di potere, per cui tali disposizioni attuative finivano per apportare deroghe alla
norma collettiva.
Preliminarmente va disattesa l’eccezione con la quale la difesa dell’istituto intimato

della notifica del ricorso sulla scorta del rilievo che la stessa era stata indirizzata al
legale rappresentante dell’ente anziché al suo difensore costituito, posto che
l’avvenuta costituzione in giudizio dell’ente esplica efficacia sanante rispetto alla
mancata notifica del ricorso al suo procuratore, il tutto a conferma del
raggiungimento dello scopo della corretta instaurazione del contraddittorio.
Tanto premesso, può procedersi alla disamina congiunta di entrambi i motivi del
ricorso tra loro connessi.
Orbene, il ricorso è infondato in quanto l’interpretazione della disposizione
collettiva in esame da parte dei giudici di merito non merita le censure che le sono
state mosse, atteso che i giudici d’appello hanno fatto leva, con motivazione
esente da vizi di tipo logico-giuridico, sui canoni ermeneutici dell’interpretazione
letterale e sistematica nel momento in cui hanno evidenziato che il potere
discrezionale dell’amministrazione di non riammettere la dipendente congedata in
servizio, non configurando la disposizione invocata un diritto alla riassunzione, era
stato validamente esercitato sulla base di criteri predeterminati che tenevano
conto della necessità dell’ente di non subire un eccessivo invecchiamento della
forza lavoro, per cui una tale interpretazione sfugge ad ogni sindacato di
legittimità.
Né ha pregio il tentativo della ricorrente di porre in dubbio la validità del criterio
adottato dall’amministrazione attraverso il richiamo alla gerarchia delle fonti ed alla
supposta natura modificativa della determinazione amministrativa attuativa della
disposizione della preintesa del cm’ 1998-01 degli enti pubblici non economici.
Invero, una tale critica è inconferente in quanto non supera la “ratio” della

ha posto all’attenzione della Corte una eventuale questione di inesistenza o nullità

decisione impugnata che è correttamente incentrata sul rilievo che la disposizione
della preintesa non prevedeva affatto un diritto automatico della ex dipendente alla
riammissione in servizio, in quanto lo stesso era subordinato alle esigenze
dell’amministrazione pubblica e che queste erano state vagliate in ossequio ai

Egualmente esente da rilievi di carattere logico-giuridico è la parte della decisione
impugnata in cui si afferma che non era nemmeno ravvisabile la violazione dei
termini procedimentali stabiliti dalla suddetta disposizione collettiva, in quanto la
richiesta della ex dipendente era stata avanzata in maniera inammissibile ancor
prima dell’entrata in vigore della disposizione stessa.
A tal riguardo è bene ricordare che l’interpretazione delle disposizioni collettive di
diritto comune è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione e
violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, per cui le censure basate
sulle suddette violazioni devono essere specifiche, con indicazione dei singoli
canoni ermeneutici violati e delle ragioni della asserita violazione, mentre le
censure riguardanti la motivazione devono riguardare l’obiettiva insufficienza di
essa o la contraddittorietà del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione
accolta, non potendosi perciò ritenere idonea ad integrare valido motivo di ricorso
per cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di
merito che si risolva, come nella fattispecie, solamente nella contrapposizione di
una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte. (in tal senso v. ad es.
Cass. Sez. lav. n 23484 del 12/11/2007).
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

principi di correttezza e buona fede.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio
nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 50,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 6 marzo 2013

Il Consigliere estensore

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