Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13581 del 02/07/2020
Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 02/07/2020), n.13581
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7512/2018 proposto da:
O.E., elettivamente domiciliato in Brescia, alla Via Solferino
n. 23, presso lo studio dell’avvocato Chiara Villante, che lo
rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente –
contro
Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione
Internazionale di Brescia, Ministero dell’interno, (OMISSIS);
– intimato –
e contro
Ministero dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,
alla Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello
Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA n. 76/2018, depositato il
17/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
22/11/2019 dal Consigliere Dottoressa Irene SCORDAMAGLIA
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. O.E., cittadino (OMISSIS) proveniente dall’Edo State città di (OMISSIS) – ricorre avverso il Decreto n. 76/2018, depositato il 17 gennaio 2018, con il quale il Tribunale di Brescia ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale.
2. Il ricorso per cassazione è affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3 e 14 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonchè l’erronea e contraddittoria motivazione e l’omessa valutazione di elementi di fatto e diritto. Al riguardo deduce che il Tribunale avrebbe errato nel non riconoscere l’invocata protezione sussidiaria, essendo fondato il rischio della propria esposizione a grave danno, in ipotesi di rimpatrio, stante l’attuale situazione dell’Edo State, interessato, come il resto della Nigeria, da alti livelli di criminalità e da una condizione di grave instabilità, suscettibile di degenerare in atti di terrorismo e in violente sommosse, integranti, quantomeno, gli estremi del “conflitto armato interno”. Si duole, altresì, dell’omesso esame di documentazione decisiva, allegata al ricorso ovvero officiosamente acquisita.
2.2 Con il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, l’omessa valutazione di fatto e di diritto e l’erronea o contraddittoria motivazione.
In proposito deduce che il Tribunale avrebbe erroneamente valutato la documentazione allegata al ricorso o acquisita d’ufficio, comprovante la sussistenza dei requisiti oggettivi legittimanti il rilascio del permesso per ragioni umanitarie, la instabilità socio politica della Nigeria e le ripetute violazioni dei diritti umani fondamentali ivi perpetrate integrando, invero, i seri motivi di carattere umanitario suscettibili di giustificare il riconoscimento, in suo favore, della misura di protezione residuale.
2. L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha svolto difese.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è inammissibile.
1.1. Il Tribunale ha evidenziato come, sulla base delle fonti qualificate officiosamente compulsate e specificamente richiamate, le violenze presenti nell’Edo State, quale regione di provenienza del ricorrente, fossero da ricondurre alla criminalità comune, che indirizzava i propri atti prevalentemente contro gli stranieri che prestavano la loro attività presso le compagnie petrolifere e come, per effetto di essi, non si fosse, comunque, determinata “una rilevante e stabile perdita di controllo da parte delle autorità governative”. Ha, oltretutto, precisato come nella regione di origine del ricorrente il rischio di attentati terroristici non differisse di molto dal rischio di analoghi attentati cui si trovano esposti molti paesi del mondo.
Ciò posto, è evidente che il Tribunale ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, che pone a carico dell’autorità decidente l’obbligo di informarsi, in modo adeguato e pertinente alla richiesta, in ordine alle condizioni generali del paese d’origine del richiedente (Sez. 6-1, n. 7333 del 10/04/2015, Rv. 634949; Sez. 6-1, n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728; Sez. 6-1, n. 10202 del 10/05/2011, Rv. 618021), essendovi riscontro, per quanto si è detto, dell’effettivo e compiuto esercizio dell’indicato dovere di implementazione istruttoria officiosa.
Nondimeno l’esistenza nell’Edo State di un grado di violenza indiscriminata, caratterizzante il “conflitto armato interno”, così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese lo possa esporre, in ragione della sua sola presenza sul relativo territorio, al rischio di subirne gli effetti (Sez. 6-1, Ordinanza n. 25083 del 23/10/2017), è stata motivatamente esclusa dal Tribunale con apprezzamento in fatto che sfugge al sindacato di legittimità.
Non ricorre, infine, il denunciato vizio motivazionale, poichè nell’art. 360 c.p.p., n. 5, non vi è alcun riferimento alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si traduce in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Vizio, questo, che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 cit.; Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054 cit.).
2. Il secondo motivo è del pari inammissibile.
I rilievi articolati in punto di diniego della protezione umanitaria risultano meramente enunciativi di proposizioni astratte, del tutto svincolate da qualsivoglia concreto riferimento alla specifica vicenda per cui è processo.
In particolare, essi non si misurano affatto con la ratio decidendi della statuizione censurata, che ha negato la protezione umanitaria osservando come non risultassero allegati, nè altrimenti comprovati, seri motivi umanitari connessi ad una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente, nè elementi attestanti una situazione della Nigeria tale da dar luogo, sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona ad una vera e propria ‘emergenza umanitarià.
In effetti, a fronte di tale argomentazione, il ricorrente si è limitato ad invocare genericamente le ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate in Nigeria, connesse alla situazione di instabilità socio-politica di questo Paese, senza alcuna correlazione alla sua vicenda personale. Deduzione, questa, del tutto inidonea a scalfire la tenuta del diniego della protezione minore opposto dal Tribunale, posto che, altrimenti: “si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine, in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6” (Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298, in motivazione).
Il profilo di censura che si riferisce al mancato esame da parte del Tribunale di documentazione allegata a corredo della richiesta è carente di specificità e, dunque, inammissibile per tale ragione.
3. Segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente, siccome soccombente, al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente. Non vi è luogo a provvedere sulla liquidazione dei compensi a spese dello Stato, richiesta dal difensore del ricorrente, atteso che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, nella disciplina di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, la competenza sulla liquidazione dei compensi al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. n. 25 del 2005, art. 3, al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione (Sez. 6-5, Ordinanza n. 13806 del 31/05/2018, Rv. 648695-01; Sez. 3, Ordinanza n. 11028 del 13/05/2009, Rv. 608343-01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. Non è dovuto il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020