Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13580 del 21/05/2019

Cassazione civile sez. III, 21/05/2019, (ud. 12/10/2018, dep. 21/05/2019), n.13580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9472-2017 proposto da:

C.G., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALBERTO BONGIOVANNI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

SMAT SPA;

– intimata –

Nonchè da:

SMAT SPA, in persona dell’Amministratore Delegato Dott. Ing.

R.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PRINCIPESSA CLOTILDE 2,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO CLARIZIA, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati SIMONA ROSTAGNO, ENRICO MORELLO

giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 851/2016 del TRIBUNALE di IVREA, depositata il

10/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.G. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 851/16, del 10 ottobre 2016, del Tribunale di Ivrea, che – respingendo il gravame principale dallo stesso esperito contro la sentenza n. 34/14, del 25 febbraio 2014, del Giudice di pace di Chivasso (e, per quanto qui ancora di interesse, anche quello incidentale della società SMAT S.p.a., in relazione alla compensazione delle spese del primo grado di giudizio) – ha rigettato la domanda proposta dall’odierno ricorrente di condanna della società SMAT al rimborso della somma di Euro 1.673,60, oltre che al risarcimento dei danni conseguenti all’esazione di corrispettivi commerciali non dovuti, nonchè ad astenersi, per il futuro, dall’inserire nella bolletta relativa alla fornitura del “servizio idrico integrato” la quota relativa alla “tariffa” per “depurazione acque”.

2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di essersi rivolto alla società SMAT, quale fornitrice del servizio idrico integrato, per ottenere – sul presupposto di non essere allacciato ad un servizio di fognatura e, dunque, di provvedere, da sempre, al trattamento delle proprie acque reflue domestiche attraverso un “sistema individuale”, regolarmente autorizzato e conforme alla legge – il rimborso di quanto corrisposto ad essa, dal secondo semestre 2004 fino al primo semestre 2008, a titolo di tariffa di “depurazione acque”.

Rivelatisi infruttuosi tali tentativi, il C. riferisce di aver adito il Giudice di pace di Chivasso, assumendo che la società SMAT non gli aveva prestato alcun servizio di “depurazione”, ma solamente quello di “smaltimento fanghi” (o meglio, di smaltimento del “residuo fanghi”), come legislativamente definito, dapprima, dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 27,comma 4, e, poi, dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 110, comma 3, lett. b).

In particolare, il C. deduceva che l’Autorità d’ambito territorialmente competente ((OMISSIS)), diversamente da tutte quelle del circondario, anzichè stabilire, per tale operazione, un’apposita tariffa, risulta aver previsto – per coloro che trasportano con apposita autobotte il materiale “de quo” fino al depuratore – la “gratuità” dello smaltimento, a fronte, però, del pagamento della “tariffa depurazione acque”, calcolata sull’intero consumo idrico dell’utente. In questo modo, tuttavia, sarebbe stato eluso il d.m. ambiente 30 settembre 2009, secondo cui “i soggetti non allacciati alla pubblica fognatura che provvedono autonomamente alla depurazione dei propri scarichi non sono tenuti al pagamento della quota di tariffa riferita al servizio di fognatura e depurazione”.

Per effetto del suddetto provvedimento, dunque, la società SMAT era stata ingiustamente autorizzata – a suo dire – ad assoggettare gli utenti non allacciati alla fognatura, necessitanti del solo servizio di smaltimento del “residuo fanghi”, al medesimo regime tariffario previsto, invece, per quelli allacciati, onerandoli di pagare il servizio di “depurazione acque” come se tutto il loro refluo, e non il solo residuo fanghi, giungesse al depuratore tramite rete fognaria.

Su tali basi, pertanto l’odierno ricorrente rassegnava, innanzi al primo giudice, le conclusioni sopra meglio ricordate.

L’adito Giudice di pace, tuttavia, respingeva la domanda attorea, sicchè il C. si vedeva costretto a proporre gravame, essenzialmente basato sul rilievo che la “depurazione delle acque” e lo “smaltimento del residuo fanghi” costituiscono operazioni completamente differenti, richiamando il già citato decreto del Ministero dell’ambiente, emanato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008, che ha sancito la non debenza, per i soggetti non allacciati alla pubblica fognatura che provvedano autonomamente alla depurazione dei propri scarichi, della quota di tariffa del servizio idrico integrato riferita al “servizio di fognatura e depurazione”.

In particolare, il C. sollecitava, da parte del giudice di appello, l’esercizio del potere – previsto dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato e), art. 5 – di disapplicazione del provvedimento amministrativo illegittimo in forza del quale SMAT ha, sin qui, operato.

Il Tribunale di Ivrea, tuttavia, respingeva l’appello dell’odierno ricorrente.

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il C., sulla base di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – si deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, allegato e), artt. 4 e 5 nonchè omessa motivazione su una domanda proposta da una delle parti.

Si censura, in particolare, la sentenza impugnata laddove essa afferma che la deduzione dell’esistenza di un comportamento illegittimo di SMAT sarebbe stato “sconfessato dallo stesso appellante”, avendo esso riferito che la società convenuta ebbe ad operare “in applicazione” del provvedimento adottato dalla competente Autorità Territoriale d’Ambito.

Assume il ricorrente che la motivazione del giudice di appello sarebbe “talmente illogica ed intrinsecamente contraddittoria, da rendere impossibile ricostruirne il filo logico”, fermo restando, in ogni caso, che il Tribunale di Ivrea, al fine di dare una risposta concreta e non apparente alla domanda proposta, avrebbe dovuto verificare se l’atto amministrativo – costituente il presupposto della pretesa di pagamento della tariffa per la depurazione delle acque sulla base dell’intero consumo idrico – fosse legittimo o meno, disapplicandolo in caso di accertata illegittimità.

3.2. Con il secondo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) (quantunque detta norma non sia espressamente richiamata) – la violazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 27, comma 4 e art. 36, nonchè del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 110, commi 3), lett. b), e comma 6, art. 154, comma 1 e art. 155, commi 1 e 4.

Essendo incontestato che la SMAT abbia richiesto il pagamento della tariffa prevista per la depurazione delle acque reflue, a fronte di un servizio effettivamente prestato consistito nello smaltimento dei soli “residui fanghi”, il ricorrente sottolinea come le due attività siano completamente diverse, proprio alla luce delle norme testè richiamate, donde la loro violazione, per non avere il giudice di appello dato rilievo a tale differenza.

3.3. Il terzo motivo lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – “omessa motivazione su una domanda proposta da una delle parti, in violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa valutazione di un fatto decisivo per la controversia prospettato da una delle parti, in violazione dell’art. 115 c.p.c.”.

Si censura la sentenza impugnata laddove essa afferma che quello relativo alla legittimità del provvedimento adottato dalla Autorità territoriale d’ambito competente avrebbe costituito un nuovo tema di indagine, sottolineandosi che, se anche così fosse stato, il giudice di appello risulta, comunque, essersi illegittimamente spogliato dal dovere di verificare quale fosse il servizio effettivamente prestato da SMAT, al fine di stabilire se “la pretesa tariffaria – a prescindere dalla sua illegittimità “in diritto” – fosse congrua e giustificata in punto di fatto”.

In altri termini, a prescindere dalla questione relativa alla legittimità o meno dell’atto presupposto, vale a dire la determinazione tariffaria da parte della “(OMISSIS)”, sarebbe stato compito del giudice di appello, in quanto specificamente investito della questione, verificare se la sentenza del primo giudice fosse corretta sotto il profilo fattuale, laddove ha affermato che le sostanze inquinanti da depurare sono prodotte, in egual misura, sia nel caso in cui l’utente scarichi l’acqua utilizzata nella fognatura, sia che si avvalga invece di fosse biologiche.

Il giudice di appello, pertanto, avrebbe dovuto in ogni caso stabilire se la prestazione di depurazione erogata da SMAT fosse realmente identica nelle due fattispecie, tanto da giustificare l’applicazione della stessa tariffa.

3.4. Infine, il quarto motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – violazione e falsa applicazione degli artt. 100,101,112,115 e 345 c.p.c., nonchè della L. n. 2248 del 1865, allegato e), artt. 4 e 5.

Sulla base di considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nei precedenti motivi, si sottolinea come il giudice di appello abbia comunque errato nell’omettere di pronunciarsi sulla domanda attorea, e ciò sul presupposto che l’accertamento della illegittimità del provvedimento dei “(OMISSIS)” costituisse una modifica della “causa petendi” originaria, e ciò in quanto il potere di disapplicazione del provvedimento illegittimo può essere esercitato non solo su eccezione di parte ma anche d’ufficio, in primo come in secondo grado.

4. Ha resistito la SMAT, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza, e svolgendo anche ricorso incidentale condizionato, sulla base di un unico motivo.

4.1. Essa sottolinea, in particolare, la correttezza della decisione del Tribunale di Ivrea, uniformatosi al principio ricavabile dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui il ricorso al potere di disapplicare il provvedimento amministrativo illegittimo è consentito solo quando esso non assuma rilievo come causa della lesione del diritto del privato, ma si pone come mero antecedente logico necessario per risoluzione di altra questione, sicchè quella relativa alla legittimità del provvedimento amministrativo viene a prospettarsi come questione “pregiudiziale in senso tecnico” e non come questione principale oggetto del giudizio.

Nella specie, invece, il C. avrebbe contestato proprio la legittimità del provvedimento di “(OMISSIS)”, la quale, pertanto, avrebbe dovuto essere evocata in giudizio come contraddittore necessario.

4.2. Peraltro, nell’ipotesi in cui questa Corte ritenesse di accogliere l’avversario ricorso, la società SMAT – anche al fine di evitare che “si formi un giudicato implicito sulla giurisdizione” ribadisce, con ricorso incidentale condizionato, l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario ritenuta assorbita dal giudice di appello per effetto del rigetto della domanda attorea.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso principale va accolto, quantunque nei limiti di seguito precisati, ovvero in relazione al suo quarto motivo, che presenta carattere assorbente rispetto agli altri.

5.1. Pregiudiziale, peraltro, è la disamina del ricorso incidentale condizionato, che contesta l’esistenza stessa della “potestas iudicandi” in capo al giudice ordinario.

5.1.1. Orbene, la questione relativa al (supposto) difetto di giurisdizione del giudice ordinario non è fondata.

5.1.1.1. Al riguardo, deve osservarsi che essa va utilmente esaminata (con riflessi, come si dirà, anche sulle questioni oggetto del ricorso incidentale) alla stregua di quanto affermato in un arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, relativo ad una fattispecie affine alla presente, concernente l’erogazione – in quel caso direttamente da parte di un Comune, e non di una sua società – del servizio di distribuzione dell’acqua potabile.

Sul presupposto che “la giurisdizione si determina sulla base dell’oggetto della domanda (art. 386 c.p.c.) e, in particolare, in base al cosiddetto “petitum sostanziale”, il quale s’identifica non soltanto avuto riguardo alla concreta statuizione chiesta al giudice ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia dei fatti allegati a fondamento della pretesa fatta valere con l’atto introduttivo del giudizio” (criterio sul quale, da ultimo, si vedano, sebbene non con riferimento specifico al tema che qui interessa, Cass. Sez. Un., ord. 15 settembre 2017, n. 21522, Rv. 645315-01; nonchè Cass. Sez. Un., ord. 25 febbraio 2016, n. 3732, non massimata), si è affermato che, quando si controverta in ordine alla tariffa applicata per l’erogazione del servizio idrico, il giudizio investe “il corrispettivo pattuito in un rapporto contrattuale su basi paritetiche, nel quale vengono in evidenza il diritto soggettivo dell’ente di riscuotere un corrispettivo per la fornitura e quello dell’utente di pagare per la fornitura realmente ottenuta”, con conseguenza che la controversia, concernendo “l'”an” e il “quantum” di detto credito, senza investire scelte discrezionali dell’ente territoriale riguardanti l’organizzazione del servizio e la determinazione delle tariffe, spetta alla cognizione del giudice ordinario” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 10 settembre 2004, n. 18263, Rv. 576976-01).

Si tratta, peraltro, di conclusione – sulle cui implicazioni in relazione (anche) al tema oggetto del ricorso principale si dirà di qui a breve – in linea con quanto affermato, con specifico riferimento alle controversie relative alla debenza del “canone per il servizio di scarico e depurazione delle acque reflue”, sempre dalle Sezioni Unite di questa Corte.

Difatti, si è ritenuto che tali controversie appartengono, “ratione temporis”, alla giurisdizione del giudice ordinario (e non tributario), giacchè tale somma “ha natura di componente del corrispettivo del servizio idrico (…) a partire dal 3 ottobre 2000, per effetto dell’innovazione introdotta dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 28 e del differimento della sua iniziale decorrenza (1 gennaio 1999) disposto dal D.Lgs.11 maggio 1999, n. 152, art. 62 modificato dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, art. 24 entrato in vigore alla predetta data del 3 ottobre” (da ultimo, Cass. Sez. Un., sent. 17 febbraio 2004, n. 3054, Rv. 57019101).

Nondimeno, resta inteso che la giurisdizione del giudice ordinario è da escludere in tutti quei casi in cui il fruitore del servizio “non ha dedotto in giudizio il suo rapporto di utenza”, bensì abbia investito “direttamente scelte discrezionali” dell’amministrazione, in particolare “contestando l’organizzazione del servizio sotto vari profili” (come era accaduto – nel caso deciso dal citato arresto delle Sezioni Unite del 2004 – per avere la doglianza attorea investito “qualità dell’acqua, asserite perdite nella rete e nelle condotte di adduzione, registrazione dei consumi presso gli uffici pubblici”, sostenendosi, in definitiva, che il servizio stesso “non si presenta(va) pienamente fruibile per il consumatore”); ove ricorra, pertanto, una simile evenienza, dovrà concludersi che l’attore “non ha censurato “incidenter tantum” il provvedimento amministrativo, chiedendone la disapplicazione ai fini della tutela del suo diritto soggettivo al pagamento di un canone contrattualmente stabilito”, ma “fa valere una situazione giuridica non qualificabile come diritto soggettivo bensì come interesse legittimo, perchè correlato ad un atto adottato dall’ente territoriale agente come autorità nell’esercizio di una potestà amministrativa, perciò al di fuori di un rapporto negoziale di tipo paritetico” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. n. 18263 del 2004, cit.).

5.1.1.2. Orbene, facendo applicazione di tali principi al caso oggi in esame, si deve concludere non solo per la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, ma anche per l’accoglimento del ricorso principale, laddove censura, in definitiva, l’erroneità della decisione del Tribunale di Ivrea per non aver ritenuto esercitabile il sindacato disapplicativo L. n. 2248 del 1865, all. e), art. 5.

Invero, l’illegittimità del provvedimento di “(OMISSIS)” – ritenuto in contrasto con la legge (D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 27,comma 4 e, poi, D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 110, comma 3, lett. b) ed il D.M. Ambiente 30 settembre 2009, destinato a dare ad essa attuazione – costituiva solo il presupposto dell’accertamento della debenza, o meno, del credito azionato dalla società SMAT nell’ambito del contratto privato di utenza concluso con il C..

Pertanto, il giudice di appello, sicuramente munito del potere di “ius dicere” in relazione a tale controversia, non poteva sottrarsi all’obbligo di procedere all’eventuale disapplicazione del provvedimento, ove illegittimo, trattandosi di un potere esercitabile “ex officio” e senza limitazioni temporali (per l’ammissibilità dell’esercizio, anche in appello, del potere di disapplicazione, si veda – ancorchè riferita ad un caso di cd. “disapplicazione diretta”, ma con principio estensibile anche a quella “indiretta” – Cass. Sez. Un., sent. 11 marzo 1992, n. 2957, Rv. 476204-01).

In questi termini, dunque, il ricorso va accolto, con rinvio della causa al Tribunale di Ivrea, affinchè, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, all. e),art. 5 verifichi – esaminando la fattispecie concreta sottoposta al suo vaglio (disamina preclusa a questa Corte, implicando accertamenti in fatto) – l’effettiva conformità a legge del provvedimento suddetto, presupposto, come chiarito, della debenza, alla società SMAT, nell’ambito del contratto per la fornitura del “servizio idrico integrato”, della quota di canone relativa alla “tariffa” per “depurazione acque”.

6. Le spese di lite, comprese quelle relative al presente giudizio, saranno liquidate dal giudice del rinvio.

7. A carico della ricorrente incidentale sussiste, invece, l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, stante il rigetto del ricorso incidentale condizionato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, dichiarando assorbiti gli altri, e rigetta l’incidentale, cassando la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Ivrea, in persona di diverso giudice, perchè decida nel merito e per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 12 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2019

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