Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1358 del 23/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 1358 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 17277-2007 proposto da:
FERRANTE LUIGI FRRLGU67A18G96N, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI GOZZADINI 30, presso lo studio
dell’avvocato PROSPERINI ALBERTO, che lo rappresenta e difende
giusta procura in atti;

– ricorrente contro
RUSSO TOMMASO, LA FONDIARIA SAI S.P.A.;

– intimati avverso la sentenza n. 1461/2006 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositata in data 11/05/2006 R.G.N. 2568/1999;

Data pubblicazione: 23/01/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
05/11/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CARMELO SGROI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

declaratoria di esclusiva responsabilità di Russo Tommaso in relazione
al sinistro stradale in cui l’auto di proprietà di Ferrante Luigi aveva
riportato danni, condannava il Russo e la Polaris S.p.a. (cui succedeva
per incorporazione e surrogazione la Fondiaria Assicurazioni S.p.A.
ora Fondiaria — SM S.p.a), in solido tra loro, al pagamento, in favore
del Ferrante, della somma di £ 1.802.000, oltre interessi e spese.
La Corte di appello di Napoli, con sentenza dell’H maggio 2006,
accoglieva per quanto di ragione l’impugnazione proposta avverso tale
sentenza dal Ferrante, condannando la Fondiaria S.p.a. al pagamento,
in favore dell’appellante, “dell’indennizzo del 10% ex art. 15 L.P. sulla
somma liquidata in primo grado a titolo di spese processuali con
attribuzione del tutto al difensore anticipatario”, confermando nel
resto l’impugnata sentenza e compensando per intero tra le parti le
spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito il Ferrante ha proposto
ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed
abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n.
69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza
impugnata (11 maggio 2006).
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Con sentenza del 7 settembre 1998 il Pretore di Napoli, previa

1.1. Questa Corte ha in più occasioni chiarito che nei casi previsti
dall’art. 360, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4, c.p.c. “i quesiti di diritto
imposti dall’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40, art. 6, comma 1, secondo una prospettiva volta a riaffermare la
cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di

diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo
stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto
applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica
della Corte di Cassazione, il cui rafforzamento è alla base della nuova
normativa secondo N’esplicito intento evidenziato dal legislatore
all’art. 1 della Legge Delega 14.5.2005, n. 80; i quesiti costituiscono,
pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico
e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti,
inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di
legittimità” (v. Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass. 9 maggio
2008, n. 11535; Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez.
un., 29 ottobre 2007, n. 22640; Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n.
14385).
Pertanto, affermano le Sezioni Unite di questa Corte che,
“travalicando” “la funzione nomofilattica demandata al giudice di
legittimità” “la risoluzione della singola controversia, il legislatore ha
inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di
collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di
congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale,
diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la
stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità:
donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si
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soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite

concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai
criteri informatori della norma. Incontroverso che il quesito di diritto
non possa essere desunto per implicito dalle argomentazioni a
sostegno della censura, ma debba essere esplicitamente formulato,
nell’elaborazione dei canoni di redazione di esso la giurisprudenza di

ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso
debba consentire l’individuazione tanto del principio di diritto che è
alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, del
principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata
applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una
decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata; id est che il
giudice di legittimità debba poter comprendere, dalla lettura del solo
quesito inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di
diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la
prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare. Ove tale
articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolverebbe in
un’astratta petizione di principio che, se pure corretta in diritto,
risulterebbe, ciò nonostante, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la
fattispecie concreta, l’errore di diritto imputato al giudice a quo ed il
difforme criterio giuridico di soluzione del punto controverso che si
chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione del
principio cui la Corte deve pervenire nell’esercizio della funzione
nomoffiattica. Il quesito non può, pertanto, consistere in una mera
richiesta d’accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in
ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello
svolgimento dello stesso, ma deve costituire la chiave di lettura delle
ragioni esposte e porre la Corte medesima in condizione di rispondere
ad esso con l’enunciazione d’una regula iuris che sia, in quanto tale,
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questa Suprema Corte è, pertanto, ormai chiaramente orientata nel

suscettibile, al contempo, di risolvere il caso in esame e di ricevere
applicazione generale, in casi analoghi a quello deciso” (v., in
motivazione, Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; v. Cass., ord., 24
luglio 2008, n. 20409).
1.2. Nella giurisprudenza di questa Corte é stato, inoltre, precisato che,

comma, n. 5, c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a
pena di inammissibilità, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma,
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma
omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la
decisione, e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi
(omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i
limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione
del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1°
ottobre 2007, n. 20603; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22453). Con
l’ulteriore precisazione che tale requisito non può dirsi rispettato
qualora solo la completa lettura della complessiva illustrazione del
motivo – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e
non di una indicazione da parte del ricorrente – consenta di
comprendere il contenuto e il significato delle censure (Cass., ord., 18
luglio 2007, n. 16002; Cass. 19 maggio 2011, n. 11019), in quanto la
ratio che sottende la disposizione indicata è associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere
posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito,
quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (v. Cass. 18
novembre 2011, n. 24255).
1.3. Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di questa
Corte, che va ribadito, è ammissibile il motivo di ricorso con cui siano
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secondo l’art. 366 bis c.p.c., anche nel caso previsto dall’art. 360, primo

denunziati sia vizi di violazione di legge che di motivazione, qualora
tale motivo si concluda con la formulazione di tanti quesiti
corrispondenti alle censure proposte, poiché nessuna prescrizione è
rinvenibile nelle norme processuali che ostacoli tale duplice denunzia, a
nulla rilevando l’art. 366 bis c.p.c., inserito dall’art. 6, d.lgs. 2 febbraio

c.p.c., il motivo sia illustrato con un quesito di diritto e, nel caso
previsto dal n. 5, che l’illustrazione contenga la chiara indicazione del
fatto controverso, in relazione al quale si assuma che la motivazione sia
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza la renda inidonea a giustificare la decisione ma non
richiede anche che il quesito di diritto e gli elementi necessari alla
illustrazione del vizio di motivazione siano prospettati in motivi distinti
(Cass. 18 gennaio 2008, n. 976; Cass. 26 marzo 2009, n. 7621).
2. Con il primo motivo, denunciando la violazione degli artt. 1226,
2043, 2054, 2056 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., il
ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia liquidato il danno
da sosta tecnica, ritenendo che il fermo tecnico non fosse stato né
dedotto né tanto meno provato e che il relativo danno fosse stato
chiesto solo in sede di precisazione delle conclusioni.
2.1. In relazione al motivo all’esame il Ferrante pone il seguente
quesito di diritto: “a mente degli artt. 2043 e 1226 c.c. il c.d. danno da Yermo
tecnico” deve essere liquidato indipendentemente da una prova specifica, perché il
proprietario-danneggiato, anche durante la forzata sosta in officina dell’auto per le
riparazioni, va incontro ad inutili e notevoli pese, quali l’assicurazione, la tassa di
possesso, il garage, ecc. ecc.”.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.3. Ed invero, con riferimento alla lamentata violazione di legge, il
quesito di diritto risulta inidoneamente formulato, non conformandosi
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2006 n. 40, il quale esige che, nel caso previsto dal n. 3 dell’art. 360

lo stesso ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., nell’interpretazione
che di tale norma ha fornito il “diritto vivente”, e al riguardo si rinvia a
quanto già osservato nel paragrafo 1.1., precisandosi che il quesito di
diritto non può essere generico e astratto ma deve compendiare la
riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di

giudice e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si
sarebbe dovuta applicare al caso di specie; la mancanza – come nel caso
all’esame – anche di una sola di tali indicazioni nel quesito di diritto
rende inammissibile il motivo cui il quesito così formulato sia riferito
(Cass., ord., 25 settembre 2007, n. 19892 e 17 luglio 2008, n. 19769;
Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; Cass. 13 marzo 2013, n. 6286, in
motivazione). Né, peraltro, il quesito può consistere nel mero
interpello della Corte in ordine alla fondatezza o meno delle
propugnate petizioni di principio o della censura così come illustrata
nello svolgimento del motivo (Cass. 7 marzo 2012, n. 3530), e in un
interpello siffatto pure si risolve sostanzialmente il formulato quesito.
2.4. Il motivo, inoltre, non è assistito, in relazione ai dedotti vizi
motivazionali, da idoneo momento di sintesi (cd. quesito di fatto),
rinviandosi al riguardo a quanto osservato nel paragrafo 1.2..
2.5. Infine, il motivo tende inammissibilmente ad una rivalutazione del
merito. Ed invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, la
parte ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone
uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto come nella specie – dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili
ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è
sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di
detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il
merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico
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merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel

formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal
giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne
attendibilità e condudenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (v., ex plurimis,

3. Con il secondo motivo é denunciata la “violazione degli artt. 1223,
2043, 2054 e 2056 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.”.
Lamenta il ricorrente che la Corte di merito, sul presupposto errato
che il Giudice di primo grado avesse liquidato il danno all’attualità, non
abbia accolto la richiesta volta ad ottenere la rivalutazione monetaria e
si duole che il predetto Giudice nel riconoscere tale rivalutazione abbia
“male applicato” l’indice ISTAT cui ha indicato di attenersi.
3.1. In relazione al motivo all’esame il Ferrante formula il seguente
quesito di diritto: “a mente degli arti. 1223 – 1224 – 2043 – 2056 – 2054 non
possono esserci dubbi che, nel caso de quo, competono sia la rivalutnione monetaria
che gli interessi compensativi, questi ultimi con il calcolo di cui alla ormai storica
Sentenza, a Sqioni Unite, n° 1712/95, secondo cui essi non vanno calcolati sulla
somma interamente rivalutata ma sull’importo, via via rivalutato anno per anno
nell’arco del ritardo”.
3.2. Il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito di diritto e per
difetto di un adeguato c.d. quesito di fatto, valendo in relazione ad esso
quanto già esposto nei paragrafi 2.3. e 2.4., in ordine al primo motivo.
4. Con il terzo motivo, lamentando “violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.
e delle tariffe professionali del 5.1.91, del 5.10.94 e del 1.4.95, in
relazione all’art. 360 c.p.c. n° 3 e n° 5”, il ricorrente censura la
decisione della Corte di merito nella parte in cui ha ritenuto di non
poter esaminare le censure relative alla inadeguata liquidazione delle
spese vive e dei diritti di procuratore, per non essere stato rinvenuto il
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Cass., ord., 6 aprile 2011, n. 7921).

fascicolo di parte contenente la nota spese relativa al primo grado e per
essere comunque congrue le spese liquidate.
Sostiene il ricorrente che, ove effettivamente mancante, il magistrato
avrebbe dovuto cercare o far cercare la produzione di parte contenente
la nota spese; in ogni caso di tale mancanza non potevano essere

essendo state le produzioni di parte depositate il 10 ottobre 2002 e
ritirate solo dopo la pubblicazione della sentenza; la Corte di merito
avrebbe dovuto comunque valutare, sulla base degli atti e dei verbali di
causa, la congruità delle spese e dei diritti di procuratore e non avrebbe
potuto, senza uno specifico scrutinio, dichiararli esatti.
4.1. In relazione al terzo motivo il Ferrante pone il seguente quesito di
diritto: “in base agli artt. 91 e 92 c.p.c. la Corte di Appello anche senta la nota
spese (ed a tal proposito la giurisprudenza di Codesta Ecc. ma Corte é pacifica)
avrebbe dovuto condannare la parte soccombente al pagamento delle spese sostenute
dal precedente procuratore e al pagamento delle competene professionali in base
all’attività, svolta sempre dal precedente procuratore”.
4.2. Anche il motivo all’esame è inammissibile per inidoneità del
quesito di diritto e per difetto di un adeguato c.d. quesito di fatto. Al
riguardo si richiama quanto già evidenziato nei paragrafi 2.3. e 2.4..
5. Con il quarto motivo (indicato, per evidente lapsus calami, dal
ricorrente con il numero 5), si lamenta violazione degli artt. 91, I°
comma, e 92, II° comma c.p.c., ed art. 24 I° e II° comrna della
Costituzione, in relazione all’art. 360 c.p.c. n° 3 e n° 5 c.p.c”.
Il Ferrante censura la decisione della Corte di merito nella parte in cui
ha compensato le spese e le competenze di quel grado di giudizio,
tenendo conto del parziale accoglimento dell’appello, “unitamente alla
natura e all’entità della causa”, ragioni, queste, ad avviso del ricorrente,
illogiche e inconsistenti che avrebbero potuto, al più, giustificare una
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colpevolizzati né il ricorrente né il precedente suo procuratore,

compensazione parziale delle spese in questione. Sostiene il ricorrente
che, in ogni caso, raccoglimento del ricorso farebbe venir meno i
presupposti che hanno indotto la Corte di merito a compensare le
spese di quel giudizio che, a suo avviso, “dovranno essere poste a
carico della società soccombente”.

5.1. In relazione al quarto motivo il Ferrante pone il seguente quesito
di diritto: “in base all’art. 91 cp.c. I° comma il Giudice del merito deve
condannare la parte soccombente al pagamento anche delle spese e competenze del
relativo giudizio e non più in base all’art. 92 c.p.c. I° comma compensarle
integralmente non essendo stata affermata la soccombenza parziale o non essendosi
verificati i giusti motivi per tale compensazione”.
5.2. Pure l’ultimo motivo di ricorso, ora all’esame, è inammissibile per
inidoneità del quesito di diritto e per difetto di un adeguato c.d. quesito
di fatto, per le medesime ragioni già evidenziate con riferimento agli
altri motivi di ricorso. Si evidenzia, peraltro, che l’inammissibilità dei
motivi che precedono in ogni caso assorbe l’esame del presente motivo
in relazione a quanto rappresentato in ordine all’esito sperato di questo
giudizio di legittimità.
6. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, non senza
rilevare che manca, nella impostazione dello stesso, la prospettiva
dell’impugnativa di legittimità, lamentandosi il ricorrente,
sostanzialmente, del mancato accoglimento dell’appello.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, non
avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.
P. Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novem

2013.

4.4

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