Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13577 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 02/07/2020), n.13577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34338/2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Ciafardini Antonio, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno; Procura Generale della Repubblica presso la

Corte d’Appello di Ancona;

– intimati –

avverso la sentenza n. 556/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 30/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. VELLA Paola.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Ancona ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino pakistano M.S., avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Ancona gli aveva negato ogni forma di protezione internazionale.

2. Il ricorrente ha impugnato la decisione con ricorso affidato a tre

motivi. Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si denunzia la nullità della sentenza impugnata “ex art. 134 c.p.c., n. 2, per motivazione contraddittoria e/o apparente, non essendo percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni inidonee, contraddittorie ed illogiche per giustificare il rigetto del gravame”, avuto riguardo alla mancata concessione dello status di rifugiato e/o della protezione sussidiaria.

3.1. La censura è infondata.

3.2. Come noto, il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ridotto alla verifica del rispetto del “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U., 8053/2014).

3.3. Nel caso di specie, la motivazione sul disconoscimento della protezione internazionale (principale e sussidiaria) supera ampiamente la soglia minima di cui sopra, sostanziandosi nelle specifiche argomentazione illustrate da pagina 4 a pagina 6 della sentenza. Piuttosto, sono le doglianze illustrate nel motivo a tendere, inammissibilmente, ad una rivisitazione degli apprezzamenti di fatto, riservati al giudice del merito. Anche di recente, le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero sottolineato come sia “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U., 34476/2019).

4. Il secondo mezzo lamenta la “violazione e/ falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la Corte d’Appello applicato nella specie il principio dell’onere probatorio attenuato così come affermato dalle S.U. con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”.

4.1. Anche questa censura è infondata, avendo il giudice a quo chiaramente illustrato i profili di genericità, contraddittorietà (anche rispetto alle dichiarazioni rilasciate dai cugini del ricorrente, che avevano lasciato con lui il paese d’origine) e assenza di obbiettivi riscontri individualizzanti, tali da rendere non credibile il racconto sul motivo della fuga dal Pakistan (“il fatto di appartenere agli sciiti e come tale di essere contrastato nella professione religiosa”), perciò ricondotta a “problematiche di natura personale”, piuttosto che a situazioni che giustifichino la protezione internazionale.

4.2. Peraltro, il ricorrente non indica se e in qual modo il giudice a quo si sia discostato dai parametri (ritenuti non tassativi ma meramente indicativi da Cass. 20580/2019) di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, il quale stabilisce tra l’altro che, “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: (…) c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; (…) e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”. In altri termini, le dichiarazioni del richiedente, qualora – come nel caso in esame – non siano suffragate da prove, devono essere sottoposte ad una verifica di “veridicità”, attraverso un controllo di coerenza intrinseca (con riguardo al racconto) ed estrinseca (con riguardo alle informazioni generali e specifiche di cui si dispone) – nonchè di plausibilità (con riguardo alla logicità e razionalità delle dichiarazioni), e ciò anche a bilanciamento del potere-dovere del giudice di acquisire d’ufficio elementi probatori (segnatamente sulla situazione del paese di provenienza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3) e finanche di ritenere provati fatti, appunto, sforniti di prova.

4.3. Orbene, per giurisprudenza costante di questa Corte, la valutazione sulla credibilità del racconto del richiedente (e quindi sulla sua attendibilità), nei termini sopra indicati, è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (applicabile ratione temporis) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero per motivazione assolutamente mancante, o apparente, o perplessa e obiettivamente incomprensibile – ipotesi queste che, come anticipato, non ricorrono nel caso di specie – restando escluse sia la rilevanza della sua pretesa insufficienza, sia l’ammissibilità di una diversa lettura o interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente (ex multis, Cass. 21142/2019, 3340/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018; da ultimo Cass. 5114/2020).

4.4. Tra l’altro, le contestazioni mosse non rispettano i canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), (vizio invero nemmeno prospettato), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, onerando il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U., 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018).

5. Con il terzo motivo – rubricato “Violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la Corte d’Appello riconosciuto la sussistenza dei motivi umanitari per la concessione della relativa tutela – Vizio della sentenza di appello in parte qua ex art. 134 c.p.c., n. 2, per motivazione contraddittoria e/o apparente non essendo percepibile il fondamento della decisione” – si lamenta che il permesso di natura umanitaria sia stato “negato, genericamente e praticamente senza alcuna motivazione”, in particolare senza alcun riferimento nè alla “situazione del Pakistan, già (…) esposta nei giudizi di merito”, nè alle “condizioni di vita del ricorrente in patria”, ove il diritto ad un’esistenza dignitosa sarebbe “lì ormai per lui impossibile”, anche tenuto conto della “precaria situazione finanziaria” e delle “circostanze attinenti alla sua incolumità, che lo esporrebbero, nel caso di rimpatrio, non solo alle difficoltà di un nuovo radicamento territoriale, ma anche in una specifica condizione di estrema vulnerabilità, tale da rendere impossibile esercitare i diritti fondamentali”.

5.1. La censura è fondata.

5.2. Invero, diversamente dalla statuizione su status di rifugiato e protezione sussidiaria (primo motivo), la motivazione sulla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari non raggiunge quella soglia del “minimo costituzionale” che ogni decisione deve garantire (da ultimo, Cass. 33360/2019), limitandosi a “confermare” “la correttezza delle argomentazioni del primo giudice” e risolvendosi in una tautologica affermazione di “assenza dei “seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” richiesti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, peraltro neppure allegati dal ricorrente”, sì da risultare, sostanzialmente, una motivazione apparente.

5.3. Ricorre infatti il vizio di motivazione apparente della sentenza “quando essa, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture” (Cass. Sez. U., 22232/2016; Cass. 13977/2019).

5.4. In particolare, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che “in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame” (Cass. 27112/2018; conf. Cass. 28139/2018, 20883/2019).

6. La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, anche che per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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