Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13576 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 30/05/2017, (ud. 09/05/2017, dep.30/05/2017),  n. 13576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BOTTA Raffaele – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2705-2010 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PIETRO DELLA

VALLE 1, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA ORECCHIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO DE BERNARDI giusta delega

in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI MONTEPULCIANO in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 89/2008 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 22/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato DEBERNARDI che si riporta agli

atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato PISANA che ha chiesto

l’inammissibilità.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.R. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti della Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana che ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello del contribuente avverso la decisione di primo grado che aveva affermato la insussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2001, 2002, 2003 e 2004, in relazione all’attività di medico veterinario esercitata corrispondendo compensi a terzi in misura non insignificante rispetto al reddito lordo prodotto e disponendo di beni strumentali eccedenti rispetto a quelli ordinari, tutti funzionali all’attività professionale, ricorrendo quindi il requisito dell’autonoma organizzazione.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, giacchè la CTR non ha tenuto conto del fatto che l’appello era formulato in maniera sufficientemente specifica fondandosi anche, ma non soltanto, sulle ragioni giustificative della nota sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale, avendo il contribuente, negli anni di riferimento, esercitato la propria attività professionale con prevalente apporto di lavoro personale e in assenza di particolari dotazioni di beni strumentali. Formula il seguente quesito di diritto: “dica la Corte quali sono i limiti dell’ammissibilità dell’appello ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 ed in particolare dica se l’appello i cui motivi sono genericamente formulati è sempre e comunque inammissibile o se lo è solo nell’ipotesi in cui la genericità impedisce e rende impossibile di appurare i vizi e le censure mosse dal proponente il gravame nei confronti della sentenza di prime cure”.

Il motivo di doglianza va dichiarato inammissibile alla luce del principio, affermato da questa Corte, secondo cui “Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che censuri la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali, deve specificare, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione” (Cass. n. 9888/2016; n. 15910/2005).

Orbene, il contribuente non ha riportato nel ricorso quelle parti dell’atto di appello necessarie a dimostrare la proposizione, nel ricorso introduttivo del gravame, di motivi articolati in modo specifico, come prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 al fine di consentire alla Corte di valutare la conseguente erroneità della pronuncia di inammissibilità del giudice di secondo grado.

Vero è che, in tema di contenzioso tributario, “il difetto di specificità dei motivi di appello ricorre quando l’atto introduttivo del gravame si limita a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, e non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata” (Cass. n. 1461/2017).

Ed è proprio ciò che la CTR della Toscana ha rimproverato al ricorrente allorchè ha ritenuto insufficiente il richiamo operato alla giurisprudenza del giudice delle leggi, in materia di IRAP, “senza minimamente entrare nel merito delle motivazioni” della sentenza di prime cure e “senza individuare alcun elemento valido ai fini della configurazione del devolutum”, finendo così per rivolgere le censure all’atto impositivo più che alla sentenza di prime cure.

V’è da dire, inoltre, che il contribuente neppure in questa sede individua le decisive ragioni di fatto e di diritto per le quali la sentenza appellata risulterebbe meritevole di riforma per cui non appare superfluo ricordare che l’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, sicchè è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto), indicando in maniera adeguata la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice a quo” (Cass. n. 11731/2011).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna del contribuente al pagamento delle spese del giudizio, che seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 1.700,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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