Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13576 del 04/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/06/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 04/06/2010), n.13576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate,

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA DELLO STATO e domiciliati

presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

IVC INTERNATIONAL VIDEO COMMUNICATION s.r.l., elettivamente

domiciliata in Roma, via Nizza 51, presso lo studio dell’avvocato

COCCO GIANLUIGI che la rappresenta e difende giusta procura in calce

al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso incidentale iscritto al n. 5969/02 e proposto da:

IVC INTERNATIONAL VIDEO COMMUNICATION s.r.l., come sopra

rappresentata e difesa

– ricorrente incidentale –

nei confronti di:

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 154/23/00 della Commissione tributaria

regionale di Roma, emessa il 24 ottobre 2000, depositata il 12

dicembre 2000, R.G. 3725/00;

udita la relazione della causa svolta all’udienza dell’11 gennaio

2010 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società contribuente I.V.C. International Video Communication proponeva opposizione all’avviso di accertamento IRPEG e ILOR relativo all’anno 1992.

La C.T.P. di Roma accoglieva il ricorso.

Proponeva appello l’Amministrazione finanziaria che la CTR ha dichiarato inammissibile perchè depositato oltre i termini di legge.

Ricorre per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze, unitamente all’Agenzia delle Entrate.

Si difende con controricorso e propone ricorso incidentale la s.r.l. I.V.C, in relazione alla mancata condanna dell’Amministrazione finanziaria al pagamento delle spese processuali del giudizio di appello.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria deduce la violazione ed errata applicazione del D.L. 21 giugno 1961, n. 498, artt. 1 e 3, convertito in L. 28 luglio 1961, n. 770, e successive modificazioni e integrazioni. Deduce che a decorrere dal 27 gennaio 2000 era stato accertato l’irregolare funzionamento degli uffici finanziari con conseguente emanazione del decreto 23 febbraio 2000 di proroga dei termini.

La società I.V.C. s.r.l. nel controricorso rileva come l’applicazione delle norme invocate dalla controparte non poteva avvenire di ufficio in difetto di qualsiasi eccezione sollevata dall’amministrazione finanziaria nel giudizio di merito e contesta comunque l’applicabilità della stessa normativa, dettata per impedire il decorso dei termini di prescrizione e decadenza relativi ai tributi erariali e non anche per impedire il decorso nei periodi di mancato funzionamento degli uffici finanziari dei termini processuali come quello prescritto dall’art. 327 c.p.c..

Con ricorso incidentale, cui l’Amministrazione finanziaria replica con controricorso, la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la C.T.R. compensato senza alcuna motivazione le spese del giudizio di appello.

All’udienza del 22 novembre 2007 la Corte, dopo aver riunito i ricorsi, ha rinviato la causa a nuovo ruolo rilevando che sulla questione di cui al ricorso principale era stata sollevata dalla Corte di Cassazione questione di legittimità costituzionale della L. n. 592 del 1985, artt. 1 e 2, e successive modifiche in riferimento agli artt. 111 e 24 Cost., con trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Il ricorso è fondato. La C.T.R. ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello senza considerare che il termine per la proposizione del gravame avverso la sentenza della C.T.P. risultava sospeso in forza del decreto di accertamento del mancato funzionamento degli Uffici finanziari emesso dal Direttore regionale delle Entrate per il Lazio il 23 febbraio 2000 e pubblicato in G.U. n. 50 del 1 marzo 2000. La circostanza era stata del resto portata a conoscenza della CTR come dimostra l’allegazione di copia del decreto all’atto di appello. Erra infine la controricorrente nel ritenere che la sospensione non si applichi all’art. 327 c.p.c..

L’incidenza della disposizione sui termini processuali è stata riaffermata di recente dalla Corte di Cassazione nella ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale del 25 gennaio 2008 con la quale è stato provocato il giudizio di legittimità costituzionale sul combinato disposto del D.L. 21 giugno 1961, n. 498, art. 1, (norme per la sistemazione di talune situazioni dipendenti da mancato o irregolare funzionamento degli Uffici finanziari), convertito, con modificazioni, dalla L. 28 luglio 1961, n. 770, quale sostituito dalla L. 25 ottobre 1985, n. 592, art. 1, (modifiche alle norme sulla proroga dei termini di prescrizione e di decadenza per il mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari), e del medesimo D.L. n. 498 del 1961, art. 3, quale sostituito dalla L. 18 febbraio 1999, n. 28, art. 33, (disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto).

Con la pronuncia della Corte Costituzionale (n. 56/2004) è stato esaminato il quadruplice profilo di conflitto con norme costituzionali prospettato dalla Corte di Cassazione specificamente con riferimento all’art. 3 Cost., all’art. 24 Cost., ed ai principi di parità delle parti e del contraddittorio nel processo stabiliti dal primo periodo dell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (norma che peraltro la Corte costituzionale ha ricordato essere inapplicabile al processo tributario, secondo quanto la stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha costantemente affermato, ex multis: Jussila c./ Finlandia del 23 novembre 2006 e Ferrazzini c./ Italia del 12 luglio 2001).

Tali profili di conflitto possono riassumersi con il riferimento a quattro diritti (o principi) fondamentali rapportati al processo quali il diritto alla parità delle parti, il diritto al contraddittorio, il diritto di difesa del contribuente, il diritto alla durata ragionevole del processo. Secondo la Corte Costituzionale nessuno di questi profili conflittuali deve essere riconosciuto come effettivo e potenzialmente lesivo dei valori costituzionali in questione e specificamente: “a) il principio della parità delle parti nel processo, perchè la proroga costituisce la conseguenza ex lege di un atto dell’amministrazione meramente ricognitivo ed opera a favore, contemporaneamente, dei contribuenti e dell’amministrazione finanziaria, la quale è tenuta – a pena di invalidità della proroga stessa – al rispetto del canone di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost., comma 1; b) il principio del contraddittorio processuale, perchè alla parte privata è sempre consentito sollecitare un controllo giurisdizionale – da effettuarsi, appunto, nel rispetto del contraddittorio – sulla legittimità del decreto di proroga, al fine di ottenerne l’annullamento, in via principale, o la disapplicazione, in via incidentale, da parte del giudice; c) il diritto di difesa del contribuente, perchè, come sopra osservato, il decreto di proroga dei termini processuali giova anche a quest’ultimo e può essere emesso solo in presenza di condizioni obiettive (e cioè di eventi di carattere eccezionale, che abbiano causato il mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari), da accertarsi imparzialmente da organi dell’amministrazione finanziaria che non sono parti nel processo e con possibilità per l’interessato di sollecitare un controllo giurisdizionale sulla legittimità del decreto e, quindi, anche sull’effettiva sussistenza delle suindicate condizioni. Secondo la Corte Costituzionale a tale conclusione di non fondatezza delle questioni in esame non può obiettarsi che l’illegittimità costituzionale della denunciata disposizione risulterebbe anche dalla comparazione di questa con la più restrittiva normativa attualmente in vigore, non applicabile al caso di specie, secondo cui la proroga dei termini può essere disposta solo per eventi di carattere eccezionale che non siano “riconducibili a disfunzioni organizzative dell’amministrazione finanziaria” (D.L. n. 498 del 1961, art. 1, quale modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 10, comma 1, lett. a). Tale nuova previsione è, infatti, soltanto espressiva dell’intento del legislatore di limitare il potere di protrarre i termini all’ipotesi in cui si verifichino eventi che, oltre ad essere di carattere eccezionale (come quelli previsti dalla legislazione precedente), siano anche non imputabili alla disorganizzazione degli uffici. Siffatto rilievo non è sufficiente, tuttavia, a far ritenere che la norma denunciata abbia superato i limiti della non arbitrarietà e ragionevolezza, perchè rientra, pur sempre, nell’insindacabile discrezionalità del legislatore determinare l’ampiezza del potere di proroga, attribuendo maggiore o minore importanza ad obiettive ed eccezionali disfunzioni organizzative dell’amministrazione finanziaria (ex pluximis, sull’ampia discrezionalità del legislatore nel fissare termini in materia tributaria: sentenza n. 11 del 2008; n. 375 del 2002; n. 430 del 1995; n. 238 del 1984). E ciò anche nell’ipotesi – come quella di specie – in cui la proroga intervenga dopo la scadenza del termine ed abbia perciò l’effetto di una rimessione in termini”.

Infine il principio (e il conseguente diritto) alla durata ragionevole del processo – che, per quanto si è detto in precedenza, trova, in tema di processo tributario, il suo referente normativo di tutela nell’art. 111 Cost., e non anche nell’art. 6 CEDU – secondo la giurisprudenza costituzionale (ex multis ordinanze 67/2007, 419/2006) “va contemperato, alla luce del richiamo al connotato di ragionevolezza, che compare nel testo del parametro, con il complesso delle altre garanzie costituzionali rilevanti nel processo medesimo e, in particolare, tale giurisprudenza ha chiarito che possono arrecare un vulnus a tale principio solamente quelle norme che confortino una dilatazione del tempi del processo non sorrette da alcuna logica esigenza. Nella specie, invece, tale logica esigenza si rinviene, come già rilevato con la sentenza n. 177 del 1992, nell’interesse dell’amministrazione finanziaria, costituzionalmente tutelato, al regolare accertamento e riscossione delle imposte (art. 53 Cost.)”.

Il ricorso principale va pertanto accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della C.T.R. del Lazio anche per la decisione sulle spese processuali di questo giudizio. Il ricorso incidentale deve essere dichiarato assorbito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della C.T.R. del Lazio che deciderà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2010

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