Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13576 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 02/07/2020), n.13576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33394/2018 proposto da:

S.O., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe Macora

n. 18/20, presso lo studio dell’avvocato Faggiani Guido,

rappresentato e difeso dall’avvocato Dalla Bona Roberto, giusta

procura unita al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno; Commissione territoriale per la protezione

internazionale di Milano;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4279/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. Vella Paola.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Ancona ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino (OMISSIS) S.O., avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Milano gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè la protezione internazionale sussidiaria e quella umanitaria.

2. Il ricorrente ha impugnato la decisione con ricorso affidato a quattro motivi. Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Preliminarmente si rileva che l'”atto di procura alle liti” allegato al ricorso manca sia dell’indicazione del provvedimento avverso il quale si propone ricorso per cassazione, sia della certificazione della data del suo rilascio.

3.1. Invero, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 (così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g)), nello stabilire che “la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima”, pone un onere più gravoso rispetto all’ordinario requisito di specialità della procura per il ricorso per cassazione, che ai sensi dell’art. 83 c.p.c., si limita ad imporre, a pena di inammissibilità, “che la procura sia conferita in epoca anteriore alla notificazione del ricorso, che investa il difensore espressamente del potere di proporre quest’ultimo e che sia rilasciata in epoca successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione” (Cass. 7014/2017, 24422/2016).

3.2. Al riguardo è stata ritenuta “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3” (Cass. 17717/2018).

3.3. Da ultimo, poi, questa Corte ha precisato che “in tema di protezione internazionale è inammissibile il ricorso per cassazione munito di una procura speciale alle liti (nella specie apposta su foglio separato e materialmente congiunto all’atto) priva della data di rilascio, nonchè della correlata certificazione da parte del difensore, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, non potendosi verificare il conferimento della stessa in epoca successiva alla comunicazione del decreto impugnato” (Cass. 2342/2020; cfr. Cass. 1043/2020).

3.4. In ogni caso, anche a voler trascurare i superiori rilievi, il ricorso va comunque rigettato poichè tutti i motivi proposti presentano profili di inammissibilità e infondatezza.

4. In particolare, con il primo – testualmente rubricato “Art. 111 Cost., error in procedendo art. 360 c.p.c., n. 4, violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, violazione della Direttiva 2004/83/CE, recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007, violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35” – si lamenta che la Corte d’appello non avrebbe svolto “alcun percorso o analisi in ordine alla formazione della prova presuntiva nè le indagini ufficiose che la normativa speciale impone per il caso di protezione maggiore e/o per il caso di domanda di protezione internazionale sussidiaria”, disapplicando altresì il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, con riguardo ai requisiti prescritti per la valutazione di credibilità del richiedente.

4.1. In realtà, la corte territoriale non si è limitata a rilevare l’inattendibilità del racconto del richiedente – in quanto connotato da genericità, insufficienza e inverosimiglianza – ma ha aggiunto espressamente che le vicende narrate “non rientrano in ogni caso in alcuna delle ipotesi previste per ottenere un provvedimento di protezione internazionale (…) senza contare che solo in sede giurisdizionale S.O. ha fatto riferimento a guerriglie e persecuzioni che ne metterebbero in pericolo la vita”; il giudice d’appello ha altresì evidenziato che “l’appellante non ha allegato elementi seri e verosimili che lo colleghino a una reale situazione di pericolo e siano tali da far ritenere che egli sia sottoposto ad una minaccia grave ed individuale derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, dal momento che dalle fonti risulta che nel paese vi sia uno stato di crisi politica ma non di conflitto”.

4.2. Ebbene, per consolidato orientamento di questa Corte (di recente ribadito da Cass. 6936/2020), in materia di protezione internazionale il richiedente è tenuto non solo ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, ma anche – laddove non risulti impossibile – a fornirne la prova. Pertanto, solo a fronte di un’esaustiva allegazione il principio dispositivo trova deroga, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e l’adozione del criterio di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, sempre che costui, oltre ad essersi attivato tempestivamente per la proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 15794/2019) il quale stabilisce, tra l’altro, che, “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: (…) c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; (…) e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.

4.3. La valutazione di affidabilità del dichiarante è dunque il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati – sia pure non tassativamente – nell’art. 3 del D.Lgs. cit., nonchè dei criteri generali di ordine presuntivo idonei a consentire la valutazione giudiziale della veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019). La norma suddetta impone al giudice, segnatamente, di sottoporre le dichiarazioni del richiedente – che non risultino suffragate da prove non solo a un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019).

4.4. Senonchè, il ricorrente non indica in qual modo il giudice a quo si sia discostato dai parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sicchè, a fronte di dichiarazioni non suffragate da prove, la verifica di “veridicità”, svolta attraverso il controllo di coerenza intrinseca (con. riguardo al racconto) ed estrinseca (con riguardo alle informazioni generali e specifiche di cui si dispone), nonchè di plausibilità (con riguardo alla logicità e razionalità delle dichiarazioni), rappresenta anche un bilanciamento del potere-dovere del giudice di acquisire d’ufficio elementi probatori (segnatamente sulla situazione del paese di provenienza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3) e, come detto, di ritenere finanche provati fatti sforniti di prova.

4.5. Orbene, la valutazione sulla credibilità del racconto del richiedente (e quindi sulla sua attendibilità) nei termini sopra indicati è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (applicabile ratione temporis) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero per motivazione assolutamente mancante, o apparente, o perplessa e obiettivamente incomprensibile – ipotesi queste che non ricorrono nel caso di specie – restando escluse sia la rilevanza della sua pretesa insufficienza, sia l’ammissibilità di una diversa lettura o interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente (ex multis, Cass. 21142/2019, 3340/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018; da ultimo Cass. 5114/2020).

4.6. La censura non rispetta nemmeno i nuovi canoni dell’art. 360 c.p.c., n. 5), (la cui violazione non viene nemmeno prospettata), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, onerando il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U., 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018).

5. Con il secondo mezzo si deduce “violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., n. 3 – error in procedendo art. 360 c.p.c., n. 4 – D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – violazione della Direttiva 2004/83/CE recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007”, richiamandosi “l’attenzione sul fatto che il sig. S. ha lamentato (questa è la sua vicenda) appunto che il livello di violenza in GAMBIA quando si è allontanato era tale da mettere a rischio quotidianamente la incolumità di chi vi abita”, ma che al riguardo sarebbero mancate indagini officiose del giudice.

5.1. Il motivo è inammissibile poichè, a fronte della precisa affermazione del giudice d’appello circa il mancato assolvimento dell’onere primario di allegazione gravante sul richiedente con riguardo all’invocata protezione sussidiaria (v. punto 4.1), la censura che esso veicola risulta assolutamente generica, anche quanto alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda e, di conseguenza, priva anche di decisività, non essendo indicato quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del ricorso (cfr. Cass. 2119/2019, Cass. 1782/2020).

6. Il terzo mezzo prospetta la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., n. 3 – error in procedendo art. 360 c.p.c., n. 4 – art. 5, comma 6 TUI – Direttiva 2004/83/CE recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007 – art. 2Cost. – art. 8 CEDU” in quanto la valutazione della domanda di protezione umanitaria dovrebbe “prescindere dall’assenza o meno di prove o principi di prove” e dovrebbe basarsi su una “consistente attività istruttoria ufficiosa da parte del Giudice”, anche mediante una “valutazione comparativa”.

6.1. La censura è inammissibile, poichè la corte territoriale ha sottolineato come l’appellante non avesse “neanche prospettato alcuna circostanza” tra quelle atte ad intercettare profili di grave vulnerabilità del soggetto, capaci di giustificare la misura invocata.

6.2. Invero, ai fini della protezione umanitaria “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente (…) altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″ (Cass. 23778/2019, in linea con Cass. 4455/2018; conf. Cass. Sez. U., 29460/2019 e, da ultimo, Cass. 1040/2020).

6.3. Orbene, affinchè il giudice possa effettuare una simile verifica comparativa, eventualmente anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi, è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato, e cioè fornisca elementi idonei dai quali possa desumersi che il suo rimpatrio potrebbe comportare la suindicata privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019), mentre nella fattispecie in esame, come detto, dal decreto impugnato risulta che ciò non è avvenuto.

7. Con il quarto motivo – rubricato come violazione dell’art. 111 Cost., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e art. 35 – il ricorrente, premessa un’ampia dissertazione sulla disciplina convenzionale e nazionale degli istituti di protezione e di asilo vigenti nel nostro ordinamento, lamenta che la Corte d’Appello di Milano, nel pronunciarsi anche sulla domanda di protezione umanitaria ex art. 5, comma 6, T.U.I. “soggetta ad ordinarla azione di cognizione” – ma proposta dallo stesso ricorrente in via cumulativa con le domande di protezione internazionale, invece “soggette al rito D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 19” e “alla disciplina D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3” – avrebbe adottato un provvedimento abnorme, eludendo “lo schema normativo previsto per la domanda di rilascio di permesso di soggiorni per motivi umanitari e con ciò recando grave pregiudizio al diritto di difesa”, con il risultato di un provvedimento viziato “non solo per la sua forma esteriore, quanto per il suo contenuto, esorbitante dai poteri attribuiti nella fattispecie all’organo giudiziario”.

7.1. La censura è inammissibile.

7.2. Questa Corte, di fronte a contestazioni del tutto analoghe, ha avuto modo di affermare che il ricorrente è carente di interesse a denunciare con ricorso per cassazione la mancata adozione del rito ordinario o sommario di cognizione, con riferimento alla domanda di protezione umanitaria, dopo avere egli stesso instaurato il giudizio di merito mediante la proposizione di un ricorso unico e unitario ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, avente ad oggetto la richiesta di ogni forma di protezione (come avvenuto nel caso di specie), senza eccepire in alcun modo nel giudizio camerale la mancata adozione (peraltro da egli stesso provocata) del rito ordinario per la domanda di protezione umanitaria, previa separazione dei giudizi da lui congiuntamente instaurati (Cass. 25703/2019; cfr., da ultimo, Cass. 2120/2020).

7.3. In ogni caso, questa Corte ha già osservato che, pur essendo il rito camerale previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis (prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, conv. con modificazioni in L. n. 132 del 2018) operante per le sole azioni volte al riconoscimento della protezione internazionale, “qualora le azioni dirette ad ottenere le protezioni internazionali tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento di quella atipica (protezione umanitaria) siano state contestualmente proposte con un unico ricorso, per libera e autonoma scelta processuale del ricorrente, trova comunque applicazione per tutte le domande connesse e riunite il rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, davanti alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale, in ragione della profonda connessione, soggettiva ed oggettiva, esistente tra le predette domande e della prevalenza della composizione collegiale del Tribunale in forza del disposto dell’art. 281 nonies c.p.c.” (Cass. 9658/2019). Ciò anche in considerazione del principio della ragionevole durata del processo, che impone una soluzione interpretativa tale da evitare la duplicazione di accertamenti processuali e i ritardi connessi alle inevitabili relazioni di pregiudizialità tra i processi celebrati separatamente, senza che siano ostative le peculiarità del rito camerale, ex art. 737 c.p.c., previsto per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, comunque idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tal caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte, con conseguente insussistenza di alcuna lesione del diritto di difesa e tantomeno di illegittima compressione del diritto di proporre appello (Cass. 17717/2018), dal momento che il principio del doppio grado di giudizio di merito non è costituzionalmente tutelato. Tali conclusioni valgono a maggior ragione nella fattispecie in esame, in cui il procedimento si è svolto in due gradi di giudizio di merito.

8. In conclusione, il ricorso va rigettato, senza necessità di alcuna statuizione sulle spese, in assenza di difese delle parti intimate.

9. Sussistono invece i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (Cass. Sez. U., 23535/2019).

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA