Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13575 del 04/07/2016


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Cassazione civile sez. un., 04/07/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 04/07/2016), n.13575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11627/2014 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato CLAUDIO DEFILIPPI, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto

stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI,

EMANUELA CAPANNOLO e MAURO RICCI, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

ASL PROVINCIA DI BERGAMO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6038/2013 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 17/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato Clementina PULLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1.- Con sentenza n. 231/2010 dell’8 maggio 2010 – divenuta cosa giudicata – la Corte d’appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo n. 109/2008, ha affermato la sussistenza dell’interesse di O.M. all’accertamento giudiziale della MCS – Multiple Chemical Sensivity (Sensibilità Chimica Multipla), essendo tale accertamento condizione per il diritto ad ottenere, come malata cronica, l’assistenza sanitaria specifica. Su questa premessa, la Corte territoriale – sulla base della espletata CTU, nella quale veniva escluso che le manifestazioni della patologia fossero di origine psicosomatica – dichiarava la O. affetta dalla MCS. 2. Poco dopo il Consiglio di Stato emetteva parere n. 679/2010 del 6 luglio 2010, favorevole all’accoglimento del ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto dalla O. avverso il provvedimento della ASL di Bergamo di rigetto della istanza di fruizione di cure all’estero per MSC (D.P.R. 22 marzo 2011).

3. In esito ad una successiva domanda presentata il 29 dicembre 2010 dalla O. per ottenere che fosse accertato l’aggravamento del proprio stato di invalidità, la Direzione Provinciale di Bergamo dell’INPS le inviò il verbale redatto dalla Commissione sanitaria competente ove, sulla base della suddetta sentenza della Corte bresciana, le venne diagnosticata la seguente malattia: “Sensibilità chimica con fattori psicologici che influenzano una condizione medica generale in disturbo della personalità non altrimenti specificato”.

Di conseguenza la O. venne riconosciuta invalida al 100% e totalmente inabile al lavoro ma senza il diritto all’indennità di accompagnamento.

4. L’interessata, a settembre 2011, chiese alla ASL di Bergamo la modifica del suddetto verbale della Commissione sanitaria dell’INPS, sostenendone l’elusività rispetto al suddetto giudicato specialmente per non aver descritto il proprio quadro clinico in termini di MCS come indicato nella sentenza della Corte bresciana – ma come una malattia generica erroneamente classificata con il codice 2201, relativo a disturbi ciclotimici, cioè di tipo psichiatrico, rilevando che una simile diagnosi le impediva l’esercizio del diritto di ottenere, come malata cronica, l’assistenza sanitaria specifica, cui era stato espressamente finalizzato l’accertamento effettuato dal CTU nel corso del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte d’appello di Brescia.

5. Successivamente la medesima istanza era reiterata all’INPS, che, rilevata la avvenuta scadenza dei termini per impugnare il suddetto verbale della Commissione sia in sede amministrativa sia davanti al giudice del lavoro, aggiungeva che, peraltro, sulla base della nuova domanda di aggravamento presentata a dicembre 2010, l’interessata avrebbe potuto introdurre un nuovo giudizio al riguardo.

6. Così la O. presentò un nuovo ricorso al Tribunale di Bergamo, al fine di eliminare la diagnosi di malattia della sfera psichiatrica, secondo quanto accertato dal giudicato e in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, onde ottenere le cure specifiche per la patologia da cui era affetta.

Nel corso del nuovo giudizio venne disposta una nuova CTU sempre muovendosi dalla premessa della sussistenza di una malattia di tipo pscichiatrico e quindi, ad avviso dell’interessata, continuandosi ad eludere il giudicato.

7. La O. ha quindi adito il TAR Lombardia – sezione staccata di Brescia, perchè fosse ordinata, a INPS e ASL di Bergamo entrambi convenuti, l’ottemperanza del suddetto giudicato, di cui si ribadiva l’avvenuta elusività derivante dalla riconduzione della propria patologia “a disturbi della sfera psichiatrica”, affermandosene altresì la violazione dei diritti fondamentali della ricorrente alla salute e ad un ricorso effettivo al giudice, quali previsti anche dalla CEDU, con il proprio diritto al relativo risarcimento, che veniva richiesto come quantificato in misura non inferiore ad euro cinquantamila.

8. Nel corso del giudizio la O. sottolineava altresì che la sua qualificazione come “malata mentale” – ripetuta dall’INPS nel proprio atto di costituzione davanti al TAR – oltre a provare l’inottemperanza denunciata, era offensiva ed umiliante e, per tale ultima ragione, ne chiedeva la cancellazione dagli scritti difensivi dell’INPS ex art. 89 c.p.c..

Nel giudizio stesso l’Istituto convenuto precisava, fra l’altro, che per la malattia psichiatrica non era attribuibile l’indennità di accompagnamento ma che, per il resto, l’assistenza sanitaria specifica, prevista nella sentenza della Corte d’appello di Brescia, doveva essere fornita dalla ASL e dall’INPS. 9. Il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo che l’INPS ha dato esecuzione al giudicato, avendo la competente Commissione medica dell’Istituto, in sede di esame della domanda di aggravamento proposta dalla ricorrente, recepito “in toto” la diagnosi di affezione da sensibilità chimica multipla emersa in sede giurisdizionale. Il TAR ha poi aggiunto che non era quella la sede per proporre “eventuali doglianze avverso l’esito di tale procedimento”, riscontrando peraltro che la ricorrente stessa aveva ammesso di avere a ciò provveduto in altra sede.

10. Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 6038/2013 attualmente impugnata, ha, in primo luogo, respinto la richiesta di cancellazione ex art. 89 c.p.c., degli scritti difensivi dell’INPS resistente, nella parte in cui la O. è stata definita come “affetta da malattia psichiatrica”, considerando quella usata dall’INPS come una espressione di sintesi della diagnosi formulata dalla propria Commissione sanitaria, in un contesto nel quale non emerge alcun intento offensivo nei confronti della O..

11. Nel merito, l’appello è stato rigettato, sul rilievo che l’ipotesi diagnostica formulata dalla Commissione medica dell’INPS –

secondo cui la patologia è stata ricondotta a disturbi psichici, laddove il CTU nominato dal giudice del lavoro d’appello aveva escluso che potesse formularsi alcuna ipotesi sull’eziopatogenesi –

al di là della carica offensiva che la O. le attribuisce, è del tutto irrilevante al fine del riconoscimento dell’assistenza sanitaria specifica, nei confronti dell’ASL o dell’indennità di accompagnamento prevista dalla L. n. 18 del 1980, nei confronti dell’INPS. Infatti – ha sottolineato il Consiglio di Stato – dalla documentazione acquisita nel corso del giudizio di primo grado all’esito dell’istruttoria disposta dal TAR di Brescia, nonchè in base a quella prodotta in appello dalla medesima O., la domanda di aggravamento in data 29 dicembre 2010, sulla quale l’Istituto previdenziale si è determinato nel senso qui contestato, concerneva l’aggravamento della pregressa invalidità civile, riconosciuta dalla competente Commissione sanitaria, con giudizio finale di invalidità civile e inabilità lavorativa permanente.

D’altra parte, come affermato dal TAR, per contestare il mancato riconoscimento dell’indennità di accompagnamento di cui alla L. n. 18 del 1980, è da escludere che il mezzo di reazione avverso l’esito della domanda di aggravamento sia la azione di ottemperanza ex art. 112, comma 2, lett. c), cod. proc. amm., come ha ammesso anche la O. riferendo di avere impugnato il verbale della Commissione medica a suo dire elusivo del giudicato civile (in particolare, affermando di avere proposto ricorso, nell’ambito del conseguente giudizio “il Tribunale”, non meglio specificato ha disposto una “perizia preventiva”).

12. Avverso tale sentenza del Consiglio di Stato propone ricorso, per due motivi, O.M..

L’INPS resiste con controricorso, mentre la ASL della Provincia di Bergamo non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

1.1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 89 c.p.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e illogicità manifesta, con riguardo al rigetto della richiesta di cancellazione ex art. 89 c.p.c., degli scritti difensivi dell’INPS resistente, nella parte in cui la O. è stata definita come “affetta da malattia psichiatrica”.

1.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa nel giudizio di ottemperanza.

Si rileva che a statuizione del Consiglio di Stato circa l’irrilevanza, a prescindere dalla percepita offensività, della qualificazione – da parte della Commissione medica dell’INPS della malattia della O. come patologia da ricondurre “a disturbi della sfera psichiatrica”, avrebbe violato i limiti esterni della giurisdizione amministrativa in sede di giudizio di ottemperanza.

Al riguardo la ricorrente – dopo aver precisato di non fruire di assistenza specifica per la malattia MSC e di non avere, d’altra parte, alcuna necessità di assistenza specifica per l’inesistente patologia pscichiatrica attribuitale – sostiene che con la statuizione contestata il Giudice amministrativo avrebbe travalicato i limiti della propria giurisdizione in quanto, confermando la diagnosi erronea della malattia, effettuata dalla Pubblica Amministrazione, non ha rilevato la conseguente elusione del giudicato, così impedendo alla ricorrente di ottenere le cure adeguate al suo reale stato di salute, rimesse alle scelte discrezionali dell’autorità amministrativa, finalizzate “a soddisfare tempestivamente le esigenze del richiedente scegliendo tra le possibili opzioni praticabili, anche attraverso un’opportuna integrazione tra le potenzialità delle strutture pubbliche con quelle private convenzionate, la soluzione reputata più adeguata alla finalità di piena efficienza del servizio sanitario”, come affermato da Cass. 1 agosto 2006, n. 17461.

In particolare, l’interessata sostiene che il Giudice amministrativo non avrebbe effettuato adeguatamente la verifica dell’attività amministrativa – in sede di ottemperanza estesa “al merito” del provvedimenti ex art. 7, comma 6, art. 34, comma 1, lett. d, art. 134, comma 1, lett. a, codice del processo amministrativo (d’ora in poi: cod. proc. amm.) – ancorata al criterio dell’adeguatezza del provvedimento adottato dalla PA rispetto al comando contenuto nella decisione divenuta cosa giudicata, consistente, nella specie, nell’affermazione del proprio diritto al riconoscimento e alla fruizione di cure appropriate per la malattia MCS e non per una malattia psichiatrica (si cita: Cons. Stato Sez. 4, 10 giugno 2013, n. 3185).

In tal modo non solo è stato leso il diritto alla salute della ricorrente, ma si è prodotta anche la violazione dei principi generali in materia di effettività della tutela giurisdizionale dell’ordinamento nazionale e internazionale, di cui all’art. 24 Cost., comma 1, art. 103 Cost., comma 1 e art. 113 Cost., ed agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Ciò in quanto, il Consiglio di Stato, senza considerare che in sede di giudizio di ottemperanza non si può menomare il diritto del ricorrente vittorioso di ottenere concretamente il bene della vita riconosciutogli nella sentenza definitiva di cui si discute, ha, da un lato, consentito la permanenza di una definizione della malattia diversa da quella indicata nel giudicato (così impedendo alla O. di ottenere le cure adeguate come stabilito dalla Corte d’appello di Brescia) e, d’altra parte, ha ritenuto erroneamente che il giudizio di ottemperanza fosse stato instaurato per conseguire un risultato meramente cognitorio da fare valere dinanzi al giudice ordinario.

2 – Esame delle censure.

2. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

3. In linea generale, deve essere ricordato che queste Sezioni Unite hanno più volte affermato – e va qui ribadito – che:

a) le decisioni del Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza sono soggette al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sul rispetto dei limiti esterni della propria potestà giurisdizionale, tenendo presente che in tal caso è attribuita al giudice amministrativo una giurisdizione anche di merito;

b) al fine di distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato è consentito da quelle nelle quali è inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni della giurisdizione) oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti esterni della giurisdizione);

c) pertanto, ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino l’interpretazione del giudicato, l’accertamento del comportamento tenuto dall’Amministrazione e la valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, gli errori nei quali il giudice amministrativo può eventualmente incorrere, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non sono sindacabili dalla Corte di cassazione (vedi: Cass. SU 19 gennaio 2012, n. 736; Cass. SU 26 aprile 2013, n. 10060 e da ultimo Cass. SU 29 novembre 2013, n. 26775, vedi anche, fra le altre, Cass. SU 2 dicembre 2009, n. 25344).

3.1. A ciò consegue che – pur essendo l’art. 89 c.p.c., applicabile al giudizio amministrativo, per effetto del rinvio operato dall’art. 39, comma 1, cod. proc. amm. alle disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali, per quanto non disciplinato dal codice stesso – tuttavia il primo motivo è inammissibile perchè è volto a censurare un errore che il Giudice amministrativo avrebbe commesso nel non aderire –

sulla base di una valutazione rimessa alla sua discrezionalità alla sollecitazione della O. all’esercizio del potere officioso di disporre la cancellazione dagli scritti difensivi dell’INPS resistente della espressione ritenuta dalla ricorrente offensiva.

Si tratta, quindi, della denuncia di un vizio che non può avere ingresso in questa sede corretta o meno che sia la soluzione adottata – perchè si riferisce, con evidenza, ad una pronuncia che si pone all’interno del perimetro giurisdizionale assegnato dalla legge al giudice amministrativo, attenendo alla direzione del giudizio (nella specie di ottemperanza), essendo l’art. 89 c.p.c., una norma processuale finalizzata a regolare la correttezza formale del contraddittorio (vedi, per tutte: Cass. 5 novembre 2002, n. 15503;

Cass. 15 dicembre 2011, n. n. 27001).

4. Anche il secondo motivo è inammissibile.

5. In primo luogo va ricordato che, nel delineare nei suddetti termini (vedi sopra paragrafo 3) l’ambito di applicabilità del sindacato di queste Sezioni Unite sulle decisioni emesse dal Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza, è stato precisato che – pur muovendo dalla premessa secondo cui deve essere considerata “norma sulla giurisdizione” non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che da contenuto a quel potere, stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca (vedi Cass. SU 23 dicembre 2008, n. 30254; Cass. SU 28 gennaio 2011, n. 2065) comunque resta decisivo stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo – attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione – oppure il fatto stesso che, nella fattispecie esaminata, un tale potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava ovvero, pur spettandogli, se ne è rifiutato l’esercizio.

A tale ultimo riguardo è stato precisato che il ricorso col quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo rientra fra i motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., soltanto se il diniego di tutela sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda di cui si tratta e non quando il suddetto rifiuto di tutela risulta essere il frutto della interpretazione di norme invocate a sostegno della pretesa azionata (vedi, per tutte: Cass. SU 8 febbraio 2013, n. 3037 e Cass. SU 9 settembre 2013, n. 20590). E’ stato inoltre chiarito che “è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia e non già nel caso di mero dissenso del ricorrente nell’interpretazione della legge” (vedi: Cass. 5U 30 ottobre 2013, n. 24468; Cass. SU 14 settembre 2012, n. 15428).

6. La suddetta configurazione dell’eccesso di potere giurisdizionale derivante dall’errore interpretativo del Consiglio di Stato non subisce, allo stato della giurisprudenza, alcuna modifica per le ipotesi in cui siano in gioco i diritti fondamentali della persona, di cui, a partire da quello alla salute, sempre più spesso conosce il giudice amministrativo, anche perchè il catalogo delle materie rientranti nella sua giurisdizione esclusiva si va facendo via via sempre più fitto ed esteso.

Ciò pure nelle ipotesi in cui i provvedimenti della PA e/o le conseguenti decisioni del giudice amministrativo possano risultare non conformi al diritto dell’Unione europea (vedi: Cass. SU 4 febbraio 2014, n. 2403) – perchè il controllo del limite esterno della giurisdizione che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione sulla sentenze del Consiglio di Stato non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in judicando” o “in procedendo” per contrasto con il diritto dell’Unione europea – salva l’ipotesi, “estrema”, in cui l’errore si sia tradotto in una interpretazione delle norme europee di riferimento che abbia violato quella fornita dalla Corte di Giustizia UE, in modo tale da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo (vedi:

Cass. SU 6 febbraio 2015, n. 2242; Cass. SU 29 febbraio 2016, n. 3915).

Lo stesso vale, a maggior ragione, nell’ipotesi in cui si assuma la non conformità della decisione del Consiglio di Stato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo o ai suoi Protocolli – come accade nella specie – anche nell’interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo, trattandosi di una situazione nella quale, da parte del giudice munito di giurisdizione, non è neppure utilizzabile lo strumento della eventuale diretta disapplicazione della normativa interna asseritamente contrastante con quella convenzionale, in base alla costante e la copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale in materia (che ha avuto inizio con le sentenze “gemelle” n. 348 e n. 349 del 2007).

7. Infatti, è “jus receptum” che, nelle materie devolute alla propria giurisdizione, il giudice amministrativo assicura anche la tutela dei diritti fondamentali, non essendovi alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario la tutela di tali diritti (vedi, per tutte: Corte costituzionale, sentenza n. 140 del 2007; Cass. SU 28 dicembre 2007, n. 27187; Cass. SU 29 aprile 2009, n. 9956; Cass. SU 24 ottobre 2014, n. 22612 e Cass. SU 3 giugno 2015, n. 11376), sicchè anche in riferimento a tali diritti l’eventuale rifiuto di tutela del giudice amministrativo che risulti essere il frutto della interpretazione di norme invocate a sostegno della pretesa azionata non determina una violazione dei limiti esterni della giurisdizione ad esso riservata.

8. Nel presente giudizio, come risulta dalla lettura delle argomentazioni a sostegno del secondo motivo di ricorso effettuata alla luce del contenuto dell’intero ricorso, tutte le censure sul punto appaiono incentrate sulla contestazione della conferma della diagnosi ritenuta erronea e sulla mancata verifica dell’adeguatezza del provvedimento adottato dalla PA, oltre che sulla lesione di diritti fondamentali della ricorrente.

8.1. Esse, pertanto, non evidenziano che il Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza del TAR, non si sia attenuto ai su richiamati principi in materia eccesso di potere giurisdizionale del Consiglio di Stato stesso e che, in particolare, non si sia limitato ad interpretare il giudicato, sulla base degli elementi interni del giudicato stesso, senza effettuare alcun sindacato integrativo e senza, quindi, esorbitare dalla giurisdizione propria del giudice dell’ottemperanza, a prescindere dall’esattezza o meno della soluzione prescelta, elemento che sfugge al sindacato di queste Sezioni Unite se nasce da mere scelte interpretative effettuate all’interno del perimetro della giurisdizione assegnata dalla legge al giudice amministrativo.

8.2. D’altra parte – pure se si considerano i dubbi espressi nella sentenza impugnata sul punto – anche il prefigurato “rifiuto di giurisdizione” o “diniego di giustizia” non risulta delineato nei termini sopra precisati (vedi retro paragrafo 5), non venendo chiarito se il denunciato – peraltro, in termini sfumati – rifiuto di tutela sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo di una domanda azionata in termini chiari e precisi, ovvero se tale rifiuto di tutela non sia neppure qualificabile come tale perchè sia stato determinato dalla scarsa intelligibilità della domanda stessa ovvero sia stato il frutto della interpretazione di norme invocate a sostegno della pretesa azionata.

Pertanto, anche da questo punto di vista, le censure non possono avere ingresso nel presente giudizio.

3 – Conclusioni.

9. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi ed Euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre spese generali e accessori come per legge. Nulla spese in favore della ASL della Provincia di Bergamo, rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2016

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