Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13574 del 04/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/06/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 04/06/2010), n.13574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del suo legale rappresentante pro

tempore domiciliato, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Generale

dello Stato in Roma Via dei Portoghesi, 12;

contro

I.E. elettivamente domiciliato in Roma, Via Cremona, 43

presso lo studio dell’avv. PENNELLA Nicola che lo rappresenta e

difende in virtù di mandato a margine del ricorso;

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione di Napoli, n. 45/33/2006, depositata il 16 maggio

2006, mai notificata;

udita la relazione del Consigliere Dott. Renato Polichetti;

sentite le conclusioni dell’avv. Pennella Nicola che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

Udite le conclusioni del P.G. Dott. Wladimiro De Nunzio che ha

chiesto l’accoglimento del terzo motivo del ricorso.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

quanto segue:

Con ricorso del 10.09.2001 I.E. impugnava l’avviso di accertamento per ritenute alla fonte non versate nel 1995 in relazione a due dipendenti presenti nella sede della ditta al momento della verifica (avvenuta in data (OMISSIS)) per i quali non risultando istituiti i libri paga e matricola, si calcolava una retribuzione di L. 52 milioni annui totali e ritenute evase per L. 10 milioni e L. 872.

Il ricorso aveva esclusivamente il seguente contenuto:

“preliminarmente riferisce che il verbale della Guardia di Finanza del (OMISSIS) è stato ampiamente contestato sia in diritto che nel merito in occasione degli accertamenti eseguiti dai competenti Uffici IVA ed Imposte Dirette di Napoli per gli anni 1994 e 1995. Nel richiamare in questa sede tutto quanto già descritto nel ricorso prodotto in data 22.12.2000 RGR 21179/00, richiedendone la riunificazione con il presente ai fini della trattazione, facendo salvo il diritto a produrre ulteriori memorie, il sottoscritto chiede l’annullamento dell’impugnato accertamento e delle sanzioni comminate”. La C.T.P. accoglieva il gravame, richiamando la propria analoga decisione per il 1994, e affermando, solo, che “l’indiretta ricostruzione del reddito ha illegittimamente operato in via induttiva minando la legittimità dell’accertamento”; in appello l’Ufficio riaffermava la legittimità dell’accertamento induttivo (in presenza di scostamento dei ricavi, D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62 sexies, da quelli “fondatamente attribuibili” secondo gli indici di redditività disposti dal Ministero delle Finanze – D.G. Entrate) e la conseguente legittimità anche del recupero delle ritenute non versate sulle retribuzioni dei dipendenti, incontestatamente presenti e non registrati.

La C.T.R. respingeva l’appello ritenendo “fragile” la ricostruzione dell’Ufficio del “tipo di rapporto di lavoro” e delle “presunte retribuzioni” perchè giustificati solo in termini di “ragionevolezza” ma “senza suffragare la stessa di alcun riscontro obiettivo quale eventuali dichiarazioni degli interessati, la tipologia delle attività svolte dagli stessi al momento dell’accesso ed eventuali altri elementi utili a determinare sia l’anzianità che le mansioni dei presunti lavoratori”.

Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso innanzi a questa Corte l’Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi.

Ha proposto controricorso per il tramite del suo avvocato lo I. sostenendo la corretta motivazione sia della sentenza di primo grado sia di quella di secondo grado chiedendo “la cassazione del ricorso dell’Agenzia delle entrate”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. e), e quindi l’inammissibilità del ricorso di primo grado, in relazione all’art. 360 c.p.c..

Il ricorso di primo grado era inammissibile, come i Giudici di merito dovevano rilevare d’Ufficio, perchè completamente privo dei motivi di impugnazione, limitandosi a richiamare, in violazione del principio di autosufficienza, le non esposte contestazioni sollevate ai non descritti accertamenti a carico di controparte per il 1994 e il 1995.

Ciò vuoi dire peraltro che, anche se si volessero in denegata ipotesi considerare valide le censure formulate “per relationem”, quelle richiamate neppure si attaglierebbero in realtà all’accertamento qui impugnato, che riguarda non i ricavi e i redditi di controparte, ma la questione completamente autonoma della presenza presso la sua ditta di lavoratori in nero, e quindi del mancato versamento delle ritenute d’acconto per loro: situazione che, oltre ad essere obiettivamente riscontrata e incontestata (diversamente dall’accertamento reddituale, pur legittimamente e attendibilmente ricostruito, ma in via induttiva e non senza contestazione), comunque ben potrebbe sussistere anche se mai fossero stati accertati i ricavi del datore di lavoro.

Al riguardo veniva formulato il seguente quesito: “Dica la S.C. se sia ammissibile il ricorso introduttivo del giudizio che operi un mero rinvio, quanto ai motivi, a quelli formulati in altro ricorso”.

Con altri due motivi viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per extrapetizione; la omessa o comunque insufficienza ed illogicità della motivazione.

Il primo motivo è fondato e deve essere accolto.

Nel caso di specie il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era formulato esclusivamente su di un generico rinvio ad altro ricorso, che, peraltro, concerneva esclusivamente il reddito societario e non, come nel caso di specie, il numero dei dipendenti e la effettiva retribuzione degli stessi.

Nonostante tale oggettiva genericità ed inconferenza del ricorso introduttivo del giudizio, i giudici di prime cure si sono sostituiti al ricorrente specificando il petitum ed ancorandolo a dati di fatto ben diversi da quelli indicati dal ricorrente, in tal modo sopperendo alle palesi lacune dello stesso, mentre ne avrebbero dovuto rilevare l’assoluta genericità e la non rilevanza al caso concreto, e trame le dovute conseguenze.

A fronte dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate i secondi giudici invece di rilevare tale oggettiva incongruenza, che era onere degli stessi rilevare d’ufficio attenendo a questioni procedurali imprescindibili, hanno confermato la sentenza di primo grado.

Ne consegue la cassazione delle sentenze di secondo e primo grado, e non essendo necessario rinviare la sentenza ai primi giudici, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso introduttivo, con condanna del ricorrente alle spese dei presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.200,00 ed in Euro 1000,00 per ciascuno dei gradi di merito.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti gli altri, cassa le sentenze di secondo e primo grado, e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso introduttivo, condannando il controricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.200,00 ed in Euro 1000,00 per ciascuno dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2010

 

 

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