Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13574 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 02/07/2020), n.13574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30589/2018 proposto da:

K.M., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza dei

Consoli n. 62, presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paolinelli Lucia;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 328/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 09/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. Vella Paola.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Ancona ha rigettato il ricorso del cittadino (OMISSIS) K.M. avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona di diniego di ogni forma di protezione internazionale.

2. Il ricorrente ha impugnato la decisione con ricorso affidato a due motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il primo motivo denunzia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione, “riferito dal richiedente in sede di audizione e trattato in seno al ricorso, ovvero la cosiddetta “doppia immigrazione””, segnatamente l’essere egli “rimasto per cinque mesi in Libia, di cui tre mesi in arresto, subendo la tortura del carcere libico”.

4. Con il secondo mezzo si censura invece la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 11 e 32, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5, in uno al “vizio di motivazione”. In particolare, il ricorrente si duole: che non sia stata ravvisata alcuna forma di persecuzione nella vicenda narrata (cioè l’insistenza dello zio-patrigno per la sua conversione dalla religione musulmana a quella cristiana), relegata tra i “motivi di carattere personale”; che non vi sia stato un autonomo esame dei parametri normativi di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente; che non siano stati attivati i poteri istruttori officiosi in punto di protezione sussidiaria; che non siano state citate le fonti in base alle quali il Gambia è stato ritenuto un “Paese politicamente democratico e stabile, caratterizzato da una crescente qualità della vita e da uno sviluppo economico sostenuto”, dopo essere “uscito agli inizi del 2017 da una dittatura ultraventennale”; che l’officioso accertamento delle attuali condizioni del paese d’origine è necessario anche ai fini della invocata protezione umanitaria; che l’eventuale rimpatrio del ricorrente provocherebbe la violazione degli obblighi internazionali e costituzionali assunti dall’Italia, stanti le condizioni di vita del tutto inadeguate esistenti in Gambia, tenuto conto che egli da vari anni “è ben inserito nel contesto della città di residenza”, dopo un tirocinio formativo ha trovato una stabile occupazione (aiuto magazziniere) e “nel 2017 ha intrapreso una stabile relazione sentimentale, dalla quale, in data (OMISSIS) è nata la figlia K.A.”.

5. Il primo motivo è inammissibile per la sua estrema genericità, anche con riguardo alle condizioni subite in Libia, non essendo stati rispettati i canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, onerando il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U., 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018).

6. Il secondo motivo è parzialmente fondato.

6.1. Le censure sulla valutazione di credibilità sono inammissibili in quanto eccentriche, avendo la corte d’appello affermato non già l’inattendibilità bensì l’inconferenza delle vicende narrate rispetto ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

6.2. E’ invece fondata la censura circa la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi con riguardo alla protezione sussidiaria (e con possibili riflessi anche sulla protezione umanitaria), secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte per cui “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente” (ex Cass. 17069/2018, 3016/2019, 13897/2019). Nella specie, la corte territoriale si è limitata ad una lapidaria affermazione sulle condizioni del Gambia, senza nemmeno indicare alcuna fonte, necessariamente qualificata e aggiornata, da cui sarebbero state tratte le Country of Origin Information (cd. COI).

6.3. E’ fondata anche la censura motivazionale sul rigetto della protezione umanitaria, formulato genericamente, senza nemmeno menzionare gli elementi concreti a tal fine allegati dal ricorrente.

7. La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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