Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13573 del 04/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/06/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 04/06/2010), n.13573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.E. elettivamente domiciliato in Roma, Via Cremona 43,

presso io studio dell’avv. PENNELLA Nicola che lo rappresenta e

difende in virtù di mandato a margine del ricorso;

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del suo legale rappresentante pro

tempore domiciliato per la carica in Roma, V.le Europa, 242 e il

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Generale dello Stato

in Roma via dei Portoghesi, 12;

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione di Napoli, sez. n. 50, n. 118-04, depositata il 4

ottobre 2004, mai notificata;

udita la relazione del Consigliere Dott. Renato Polichetti;

sentite le conclusioni dell’avv. Pennella Nicola che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Viste le conclusioni scritte del P.G. Dott. Wladimiro De Nunzio che

ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

quanto segue:

Il primo ufficio IVA di Napoli il 14 ottobre 1999 notificò al sig. I.E., nella qualità di imprenditore commerciale, sia l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) – determinando una maggiore imposta sul valore aggiunto, relativa all’anno di imposta 1994, pari a L. 13.433.000, oltre sanzioni ed interessi -, sia l’atto di contestazione delle sanzioni n. (OMISSIS), irrogate per irregolare tenuta della contabilità (rilevata col processo verbale di constatazione elevato il 30 novembre 1995) per L. 1.200.000.

Successivamente il suddetto ufficio finanziario notificò il 3 maggio 2000, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) – determinando una maggiore imposta sul valore aggiunto, relativa all’anno di imposta 1995, pari a L. 11.194.000, oltre sanzioni ed interessi, e il 22 maggio 2000 l’atto di contestazione delle sanzioni pecuniarie n. (OMISSIS) per L. 1.200.0000, comminate per l’asserita mancata produzione da parte del contribuente dell’attestazione del soggetto depositario delle scritture contabili, riscontrata in sede di verifica della Guardia di Finanza col citato processo verbale di constatazione.

Avverso tali atti d’imposizione il contribuente per il loro annullamento propose tempestivi ricorsi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli la quale, previa riunione dei relativi giudizi, li accolse il 16 novembre 2001 con la sentenza n. 537 della sesta sezione, notificata una prima volta l’8 novembre 2002 ed una seconda volta il successivo 28 novembre.

L’ufficio finanziario propose appello il 17 gennaio 2003 avverso tale pronuncia notificandolo sia al domicilio del contribuente, sia a quello del suo difensore nominato in primo grado e, a sua volta, il contribuente presentò atto di appello incidentale il successivo 12 settembre 2003, giusta la sospensione disposta dalla L. n. 202 del 2002, art. 16.

La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione di Napoli ha accolto l’appello dell’ufficio finanziario con la sentenza citata in epigrafe, mai notificata, fondando la sua motivazione nell’affermazione che, “riscontrata la regolarità del tipo di indagine effettuata dai militari verbalizzanti, si ritiene siano da respingere le eccezioni sollevate dal contribuente nelle controdeduzioni del 12 settembre 2003 circa la regolare tenuta della sua contabilità e l’esistenza di personale alle sue dipendenze”.

L’asserita regolarità del metodo d’indagine utilizzato dalla Guardia di Finanza – e ripreso acriticamente dall’ufficio finanziario negli avvisi di accertamento e di irrogazione delle sanzioni – risulta “dall’inattendibiltà delle scritture contabili”, che ha legittimato l’ufficio finanziario (rectius) i militari “verbalizzanti alla rideterminazione induttiva dei ricavi fondatamente attribuibili al soggetto verificato attraverso l’esame critico dell’indice di congruità del numero degli addetti e del costo del venduto”. A sua volta la suddetta inattendibilità scaturirebbe secondo la pronuncia de qua, dalla mancata esibizione dell’atto dell’inizio della verifica “dell’attestazione del soggetto depositario delle scritture contabili”, rispetto alle quali ultime, peraltro, la stessa sentenza ha riconosciuto che il contribuente aveva “esibito successivamente alla predetta data il libro degli inventari, la copia del bilancio presentato per l’anno 1994 e il registro dei beni ammortizzabili”.

La sentenza dei giudici partenopei di seconda cure viene impugnata in questa sede per i motivi di seguito specificati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Violazione di legge dei presupposti legali per l’esercizio dell’azione accertatrice in quanto nel caso di specie trovava l’applicazione il D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, comma 3, convertito in L. 20 ottobre 1993, n. 427, il quale statuisce che “gli accertamenti di cui il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, “possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili …”. Tra i requisiti richiesti dalla citata norma non vi è quella dell’inattendibilità delle scritture contabili che legittima invece l’accertamento induttivo disciplinato nel successivo art. 55 ove il presupposto procedimentale è individuato – per quanto ci interessa in questa sede – al comma 2, n. 1) “quando risulta, attraverso i verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 52, che il contribuente non ha tenuto, ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all’ispezione i registri previsti dal presente decreto e le altre scritture contabili obbligatorie a norma dell’art. 2241 cod. civ., comma 1, e delle leggi in materia di imposte sui redditi o anche soltanto di tali registri e scritture”. I giudici a quibis hanno scelto di condizionare la fondatezza degli avvisi di accertamento a quello meno garantista per il contribuente di cui al citato D.P.R. n. 633, art. 55 individuandone il presupposto procedimentali nell’inattendibilità delle scritture contabili.

Il motivo è infondato.

Come stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte: “In tema di accertamento dell’IVA, l’infedeltà della dichiarazione può essere contestata, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, anche mediante il ricorso a presunzioni semplici, rispetto alle quali il contribuente è tenuto a fornire la prova contraria, non potendo limitarsi a mere negazioni o valutazioni dei fatti contrarie a quelle svolte dall’Ufficio: è pertanto configurabile come abuso del diritto, ove non risultino evidenziate ragioni economiche diverse dalla mera aspettativa di un vantaggio fiscale.” (Cass. 20.03.2009 n. 6800).

Aggiungasi poi che in base alla giurisprudenza di questa Corte: “In tema di imposta sul patrimonio netto delle imprese – istituita con il D.L. 30 settembre 1992, n. 394, convertito in L. 26 novembre 1992, n. 461 – l’Ufficio ha il potere di procedere alla rettifica della relativa dichiarazione anche con accertamento induttivo, stante l’applicabilità alla specie, per il rinvio operato dall’art. 3 del citato decreto legge, delle disposizioni previste per le imposte sui redditi e dunque anche del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nè assumendo portata derogatoria o limitativa di tale dettato normativo il D.M. 7 gennaio 1993, al quale il citato D.L. n. 394, art. 3 comma 7, demanda solo la determinazione delle “modalità di attuazione delle disposizioni di cui al decreto stesso”, trattandosi di mero provvedimento amministrativo che disciplina il procedimento di liquidazione e accertamento dell’imposta ed al quale è estraneo il potere di prevedere o delimitare le fattispecie impositive”.

Inoltre, come pure stabilito da questa Corte, “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, deve ritenersi legittima, a mente del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, la rettifica induttiva del reddito d’impresa operata in presenza di contabilità formalmente regolare quando, sulla base di presunzioni dotate dei requisiti prescritti dall’art. 2729 cod. civ., comma 1, possa fondatamente ritenersi che l’entità del reddito dichiarato si ponga in evidente contrasto con il comune buon senso e con le regole basilari della ragionevolezza (nella specie il presupposto di fatto per il superamento delle risultanze contabili è stato individuato nell’avvenuta annotazione di fatture per operazioni inesistenti)” (Sentenza del 13/12/2007 n. 26130).

Nel caso di specie i secondi giudici hanno rilevato che seppure inizialmente la società non aveva prodotto le scritture contabili e l’avesse fatto successivamente sulla base del verbale della Guardia di Finanza, il contenuto del quale era stato esaminato e condiviso dalla Commissione Tributaria Regionale, era risultato il netto squilibrio dell’entità del volume di affari rispetto al reddito dichiarato dall’impresa, che lo I. si avvaleva nell’esercizio dell’attività delle prestazioni del fratello nonchè di E.P. e C.D. che non risultavano iscritti sul libro paga e matricola e, pertanto, correttamente i verbalizzanti avevano quantificato il reddito in base induttiva, con i ricavi oggettivamente rideterminati in base al numero degli addetti e stai costo di denaro impiegato.

Aggiungasi poi che la presunta esenzione dall’onere tributario a tutto concedere potrebbe essere applicata al familiare ma non certamente agli altri due soggetti che familiari non sono.

Ne consegue che la Commissione di secondo grado ha fatto buon governo dei principi sopra enunciati, dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza, che risulta esauriente e priva di contraddizioni e, come tale, esente da censure.

Con il secondo motivo viene nella sostanza eccepita la violazione dell’onere probatorio; violazione che viceversa non è in alcun modo ravvisabile nel caso di specie come evidenziato in relazione all’esame del primo motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2010

 

 

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