Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13571 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 30/05/2017, (ud. 03/03/2017, dep.30/05/2017),  n. 13571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13472/2011 R.G. proposto da

P.P., rappresentata e difesa dall’Avv. Edoardo N. Anelli,

con domicilio eletto in Roma, via Magnagrecia, n. 95, presso lo

studio dell’Avv. Renato Conti;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 34/1/10 depositata il 22 aprile 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 marzo 2017 dal

Consigliere Dott. Emilio Iannello;

udito l’Avv. Edoardo Anelli;

udito l’Avvocato dello Stato Paolo Marchini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento per quanto di ragione del terzo motivo e il rigetto

del primo e del secondo motivo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.P. ricorre con tre motivi nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso) per la cassazione della sentenza n. 34/1/10 depositata il 22 aprile 2010, con la quale la C.T.R. della Toscana – in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento notificato in data 24/7/2007 per Irpef in relazione alla plusvalenza realizzata con la cessione, in data 8/11/2001, di terreno edificabile: plusvalenza calcolata prendendo in considerazione il valore accertato ai fini dell’imposta di registro -accoglieva parzialmente l’appello della contribuente, limitatamente al coefficiente di rivalutazione dei costi accessori.

La C.T.R., in particolare, confermava la legittimità dell’atto impositivo nella parte in cui prende a riferimento il valore del bene quale separatamente accertato ai fini dell’imposta di registro.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce “omessa e/o insufficiente motivazione e violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, nonchè della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 1, 2 e 3, a favore di una norma speciale quale alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 10” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3.

Sotto il primo profilo lamenta che la C.T.R. non ha fornito, in relazione alla preliminare eccezione di decadenza dal potere impositivo, una motivazione propria, essendosi limitata a richiamare quella della sentenza di primo grado, oltre che l’appello dell’Ufficio.

In punto di diritto, poi, deduce che erroneamente i giudici di merito hanno attribuito alla norma speciale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 10 (che ha stabilito la proroga di due anni dei termini di cui alla D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, “per i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni recate dagli artt. da 7 a 9”) forza prevalente sulla norma di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 3, a mente del quale “i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”.

Prospetta in subordine, in proposito, dubbio di legittimità costituzionale della sopra detta norma speciale perchè contrastante con la testè citata norma dello Statuto del contribuente.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce omessa e/o insufficiente motivazione nonchè violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3, per avere la C.T.R. – senza fornire una propria motivazione – confermato il rigetto della preliminare eccezione di illegittimità dell’atto impositivo per mancata allegazione dell’atto presupposto (atto di adesione all’imposta di registro).

3. Con il terzo motivo, infine, la ricorrente denuncia omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riferimento al terzo motivo d’appello con il quale era stata riproposta l’eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento perchè esclusivamente basato sulla rettifica del valore del bene operata ai fini dell’imposta di registro: rettifica divenuta definitiva a seguito di accertamento con adesione sottoscritto dalla parte acquirente.

4. Sono inammissibili le censure di vizio motivazionale dedotte con i motivi primo e secondo di ricorso.

E’ noto, infatti, che non può configurarsi vizio di motivazione in relazione a questioni di mero diritto (quali sono quelle cui, nella specie, sono riferite le dette censure). Ciò in quanto il giudice di legittimità è investito, a norma dell’art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che, se chiamato a valutare la conformità a diritto della decisione impugnata, la sua valutazione ben può prescindere dalla motivazione che, in punto di diritto, sia contenuta nella sentenza impugnata, restando del tutto irrilevante anche l’eventuale mancanza di questa, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (Cass. 17/11/1999, n. 12753).

5. I motivi medesimi sono nella restante parte – con cui si denuncia violazione di legge – rispettivamente, infondato il primo e inammissibile il secondo.

5.1. Quanto al primo, occorre rammentare che, secondo indirizzo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, dal quale non si ravvisa ragione per discostarsi, la proroga biennale dei termini di accertamento, accordata agli uffici finanziari dalla L. n. 289 del 2002, art. 10, opera, “in assenza di deroghe contenute nella legge” sia nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi delle disposizioni di favore di cui alla suddetta legge, pur avendovi astrattamente diritto, sia nel caso in cui non abbia potuto farlo (Cass. nn. 23749/2015, 17395/2010, 19725/2013, 8838/2014, 22921/2014, 21190/2014, 5645/2015, 16613/2015; per l’applicazione della proroga anche in caso di Iva, Cass. nn. 1375/2011, 2194/2015).

Ciò perchè, come rilevato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 356 del 2008, con cui ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata in merito all’art. 10 cit., il meccanismo di proroga è, in sostanza, finalizzato a tutelare il preminente interesse dell’Amministrazione finanziaria al regolare accertamento e riscossione delle imposte nei confronti del contribuente che non si avvalga dell’agevolazione, indipendentemente dalla circostanza che quest’ultimo non si sia avvalso, per qualsiasi ragione (giuridica o di fatto), della stessa agevolazione.

Palesemente priva di pregio è poi la tesi secondo la quale occorrerebbe dare prevalenza, rispetto alla norma richiamata, al precetto generale contenuto nella L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 3, ovvero in subordine sollevare questione di legittimità costituzionale della prima per contrasto con la seconda, sul presupposto che quest’ultima sia di rango superiore.

Proprio tale postulato è, infatti, destituito di fondamento.

Come affermato da questa Corte, anche con riferimento a questioni analoghe, le norme della L. 27 luglio 2000, n. 212, emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria e, conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, nè consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse (v. Cass. 16/01/2015, n. 696; Cass. 22/01/2014, n. 1248, quest’ultima con riferimento alla proroga di due anni, stabilita dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 11, comma 1, del termine, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 76, comma 1-bis, per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni, nonchè sull’incremento di valore degli immobili).

6. E’ poi inammissibile il secondo motivo, nella parte in cui denuncia violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, per la mancata allegazione del verbale di accertamento con adesione; la censura si espone infatti al preliminare rilievo di difetto di autosufficienza, non essendo allegato nè comunque trascritto il contenuto dell’avviso impugnato, ciò impedendo di apprezzare la rilevanza, ai fini della completezza e intelligibilità della sua motivazione, della dedotta carenza documentale.

7. E’ invece fondato il terzo motivo.

Sullo specifico motivo di gravame che risulta proposto dalla contribuente, circa l’inidoneità della rettifica del valore del bene compravenduto, operata dall’Ufficio ai fini dell’imposta di registro, a fondare l’accertamento della maggior plusvalenza tassabile ai diversi fini Irpef, la Commissione regionale non ha effettivamente espresso alcuna valutazione. Anche ad ammettere che la questione possa essere ricompresa tra le “eccezioni pregiudiziali” per le quali la sentenza impugnata fa rimando a “quanto deciso” dai giudici di primo grado (ciò che rappresenta una forzatura del concetto, non potendosi dubitare che il tema suindicato costituisca invece aspetto centrale del tema di lite), nondimeno detto acritico rimando, formulato senza alcuna illustrazione delle critiche mosse al riguardo con l’atto d’appello, nè alcuna pur sintetica indicazione delle ragioni per cui si ritenga ugualmente di condividere la decisione gravata, integra il denunciato vizio di omessa pronuncia.

Costituisce invero ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che la pedissequa riproduzione della motivazione della sentenza di primo grado sul punto impugnato od il semplice rinvio ad essa, mentre dà luogo ad un vizio di motivazione ove le censure mosse alla sentenza di primo grado risultino inadeguatamente od erroneamente valutate, comporta invece vera e propria omessa pronunzia nel caso – riscontrabile, come detto, nella specie – in cui manchi del tutto ogni riferimento alle censure proposte ed alle argomentazioni svoltevi; in tal caso infatti deve ritenersi che l’adito giudice quelle censure non abbia preso in considerazione alcuna e non ne abbia quindi deciso, ond’è che la sentenza nella quale sia riscontrabile carenza siffatta risulta viziata non per omessa od insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione ob relationem resa in modalità difforme dalla consentita ma per vera e propria omessa pronunzia su di un motivo di gravame, ritualmente ed inequivocabilmente formulato, in ordine al quale quella pronunzia si rendeva necessaria ed ineludibile (v. Cass. 07/07/2004, n. 12475 e succ. conformi).

8. Tuttavia, trattandosi di questione la cui risoluzione non richiede ulteriori accertamenti in fatto, essendo incontestati in causa i dati fattuali rilevanti, il rilievo che precede non impone il rinvio al giudice a quo, potendo questa Corte pronunciare direttamente in merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. (v., ex multis, Cass. 28/10/2015, n. 21968; Cass. 08/10/2014, n. 21257).

Ebbene la questione posta con la menzionata eccezione e non esaminata dal giudice d’appello, deve ritenersi fondata.

Indipendentemente dagli argomenti al riguardo spesi in ricorso, l’illegittimità della determinazione della base imponibile sulla base del valore separatamente determinato dall’ufficio ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, discende, ai fini che occupano, dallo ius superveniens rappresentato dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, il quale all’art. 5, comma 3, prevede che “gli artt. 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”.

Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, alla stregua di interpretazione cui si intende dare continuità, la norma è da ritenersi applicabile anche ai giudizi in corso atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore e considerato che, come affermato tra le altre da Corte Cost. n. 246 del 1992, il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative.

Peraltro, anche ove volesse porsi in dubbio che la norma in esame sia effettivamente interpretativa, è certo che se il riferimento alla interpretazione da attribuire a norme precedenti non serve per ciò solo ad attribuire ad una norma carattere interpretativo (ove tale carattere essa non abbia effettivamente), tuttavia testimonia l’intento del legislatore di attribuire ad essa il carattere retroattivo che è proprio della norma interpretativa, intento che nella specie trova ulteriore conferma nel comma 4 del citato art. 5, laddove si prevede che le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma nulla si prevede per i commi 2 e 3 (disposizioni formulate come norme interpretative): circostanza, questa, che contribuisce a togliere ogni dubbio circa l’intento del legislatore di attribuire carattere retroattivo alle previsioni dei suddetti commi (così, in motivazione, Cass., 15/04/2016, n. 7488; v. anche Cass. 10/02/2017, n. 3590).

9. In accoglimento del detto motivo, la sentenza impugnata va quindi cassata.

Non prospettandosi la necessità di ulteriori accertamenti in fatto, la causa deve essere decisa nel merito, ex art. 384 cod. proc. civ., con l’accoglimento del ricorso introduttivo proposto dalla contribuente – ciò in quanto, come si ricava chiaramente dalla sentenza impugnata, l’atto impositivo de quo trae esclusivo fondamento dal valore definitivamente accertato nel modo detto ai fini dell’imposta di registro.

10. Considerato che l’esito della causa discende dall’applicazione di norma che, ancorchè dichiaratamente interpretativa, ha indubbia portata innovativa del quadro giurisprudenziale preesistente (invero, consolidato da oltre un decennio nel senso di ritenere l’Amministrazione finanziaria legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento della plusvalenza di cessione di un terreno edificabile sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, salva per il contribuente la facoltà e l’onere della prova contraria: v. e pluribus Cass., nn. 13823/2014; 14571/2013; 5070/2011, 22793/2010; 4057/2007), si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.

PQM

 

accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza; decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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