Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13571 del 21/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/06/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 21/06/2011), n.13571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CASSA EDILE DELLA PROVINCIA DI NAPOLI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI 119, presso lo studio dell’avvocato NASELLI STEFANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MILITERNI LUCIO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

F.C.;

– intimato –

sul ricorso 20322-2007 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

D’OVIDIO 83, presso lo studio dell’avvocato PEDICINI RENATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FUSCO GIACINTO, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CASSA EDILE DELLA PROVINCIA DI NAPOLI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI 119, presso lo studio dell’avvocato NASELLI STEFANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MILITERNI LUCIO, giusta delega

in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 6951/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/11/2006 r.g.n. 8758/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

con assorbimento dell’incidentale.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice de lavoro, di Napoli, depositato in data 22.1.2001, F.C., premesso di aver lavorato dal 1 ottobre 1962 al 31 luglio 1999 alle dipendenze della Cassa Edile della Provincia di Napoli, di cui era stato nominato direttore a decorrere dal 1 ottobre 1982, chiedeva la condanna della Cassa predetta al pagamento della somma di L. 531.522.208 a titolo di differenze su scatti di anzianità, indennità di cassa, premio fedeltà, differenze su trattamento di fine rapporto conseguenti al riconoscimento delle pretese azionate, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Istauratosi il contraddittorio la Cassa Edile eccepiva l’improponibilità del ricorso per effetto di transazione intervenuta tra le parti in data 24.12.1999; nel merito contestava la fondatezza delle pretese del ricorrente.

Con sentenza in data 4.6.2004 il Tribunale adito, rigettata l’eccezione di transazione, accertava la fondatezza delle richieste relative al premio fedeltà ed all’indennità di maneggio denaro, ma riteneva tali crediti compensati con il credito vantato dalla Cassa nei confronti del F. per la restituzione della somma di L. 206.000.000, corrispostagli in data 24.12.1999 a fronte della rinuncia ad ogni pretesa connessa al rapporto di lavoro, ma rimasta senza titolo a seguito dell’impugnazione di tale rinuncia da parte dell’ex dipendente.

Avverso tale sentenza proponeva appello il F. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e censurando in particolare la compensazione operata dal primo giudice; in particolare rilevava che la somma di L. 200.000.000 gli era stata erogata come incentivo all’esodo, a fronte delle dimissioni rassegnate, e quindi non poteva considerarsi senza titolo.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 31.10 / 24.11.2006, dopo aver ribadito che la dichiarazione sottoscritta dal F. in data 24.12.1999 non aveva valore di rinuncia o transazione e quindi non era soggetta al termine di impugnazione previsto dall’art. 2103 c.c., rideterminava in complessivi Euro 117.344,49 i crediti riconosciuti nel giudizio di primo grado in favore del ricorrente, confermava la compensazione con la predetta somma di Euro 106.390,10 (corrispondente all’importo di L. 206.000.000 corrispostogli in data 24.12.1999), e condannava la Cassa alla corresponsione della residua somma di Euro 10.954,39 con interessi e rivalutazione, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sul predetto importo di Euro 117.344,49.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Cassa Edile della Provincia di Napoli con cinque motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato, che propone a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo di impugnazione.

La Cassa Edile resiste con controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. dei due ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo del ricorso principale la Cassa Edile lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro ex art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva riconosciuto il diritto del ricorrente alla percezione dell’indennità di maneggio danaro, sebbene tale indennità fosse prevista dall’art. 50 del CCNL dell’Edilizia Aziende Industriali e non anche dal contratto collettivo Dirigenti Industriali, ed il detto istituto contrattuale non potesse comunque trovare applicazione nel caso di specie alla stregua di una corretta interpretazione degli art. 27 e 15 del suddetto CCNL Dirigenti Industriali.

Col secondo motivo di ricorso lamenta violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2113 c.c. ed all’art. 1362 c.c. e segg; omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione sulla improponibilità del ricorso di primo grado per intervenuta transazione.

In particolare rileva che erroneamente, in violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, e con motivazione insufficiente e contraddittoria, la Corte territoriale aveva ritenuto che la dichiarazione sottoscritta dal F. in data 24.12.1999 non manifestasse l’intenzione delle parti di definire transattivamente, con un accordo inoppugnabile, tutta la materia del contendere, atteso che il lavoratore aveva la chiara consapevolezza degli specifici diritti che gli spettavano alla conclusione del predetto rapporto di lavoro, ed ai quali aveva coscientemente inteso rinunciare con il predetto atto.

Col terzo motivo di ricorso la ricorrente principale lamenta violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2113 c.c. ed all’art. 1241 c.c.;

omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione sulla improponibilità dei ricorso di primo grado e di secondo grado per estinzione dell’obbligazione a seguito di intervenuta compensazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare lamenta, pur ritenuto il carattere assorbente delle precedenti deduzioni in ordine alla inoppugnabilità del negozio transattivo, che la compensazione giudiziale operata dal primo giudice aveva comunque estinto tutti i crediti, e quindi anche gli accessori.

Col quarto motivo di ricorso lamenta violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 345 c.p.c.; omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione sui riconoscimento del diritto alla pretesa del TFR, infondata per intervenuta compensazione.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ammesso nel giudizio di secondo grado un “prospetto” inerente al calcolo del TFR ed un “cedolino paga”, in violazione della disposizione dell’ari 345 c.p.c; ed erroneamente aveva condannato la società datoriale alla corresponsione delle differenze per TFR stante l’intervenuta compensazione giudiziale.

Col quinto motivo di ricorso lamenta violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 437 c.p.c., comma 2, nonchè all’art. 2948; omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva proceduto alla rielaborazione dei conteggi relativi al TFR sulla base di una documentazione prodotta solo nel giudizio di appello, in violazione della norma di cui all’art. 437 c.p.c., comma 2, insistendo in proposito sulla eccezione di prescrizione.

il F., con il ricorso incidentale proposto, lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1193 e 2113 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); motivazione contraddittoria sul punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale, pur escludendo che la dichiarazione dallo stesso sottoscritta il 24.12.1999 costituisse una transazione, aveva erroneamente ritenuto che la corresponsione della somma ivi indicata avesse perso la sua giustificazione causale sotto il profilo che la quietanza era formulata in maniera del tutto generica, e che un incentivo di tale entità non appariva congruo avendo il dipendente già raggiunto l’età pensionabile.

Il ricorso principale è improcedibile in relazione al primo motivo a causa del mancato deposito dei CCNL in forma integrale cui il ricorrente ha fatto riferimento, avendo riportato solo stralci delle normative contrattuali in questione.

Invero, dopo alcune perplessità (Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21080, per cui l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda è riferito sia alle norme collettive della cui violazione i( ricorrente si duole attraverso (e censure mosse alla sentenza impugnata, sia ad ogni altra norma collettiva utile per l”interpretazione delle prime, sempre però che essa appartenga alla causa per essere stata dedotta e prodotta nei precedenti gradi di merito), la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte (Cass. sez. lav., 11.2.2008 n. 6432, Cass. sez. lav., 5.2.2009 n. 2855, Cass. sez. lav., 2.7.2009 n. 15495) si è orientata nel senso che è necessario il deposito del testo integrale del contratto.

Ciò in forza del dettato letterale dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), il quale prevede che gli atti processuali, i documenti e i contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda devono essere depositati insieme al ricorso a pena di improcedibilità, norma che non sembra prevedere deroghe, consentendo il deposito solo di stralci del contratto collettivo da interpretare.

Deve di conseguenza affermarsi il principio di diritto per cui la produzione di meri stralci del contratto collettivo nazionale di lavoro non corrisponde alla prescrizione di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

E tale principio è stato, di recente, ribadito con la sentenza n. 20075/10 dalle Sezioni Unite di questa Corte, investite della problematica con ordinanza in data 17.3.2010 nel ricorso iscritto al R.G. al n. 3277/09.

Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.

Osserva il Collegio che il punto fondamentale, intorno a cui ruota tutta la vicenda in esame, è quello relativo alla valutazione ed interpretazione della “dichiarazione” in data 24.12.1999 a firma del F., essendo controverso se la stessa configuri una mera quietanza di pagamento ovvero integri un vero e proprio negozio transattivo.

Orbene, sul punto è necessario innanzi tutto ricordare che, secondo un principio costituente diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte (v., fra le molte pronunce, Cass. sez. l, 24.6.2008 n. 17088; Cass. sez. lav. 13.6.2008 n. 16036; Cass. sez. lav. 12.6.2008 n. 15795; Cass. sez. 1^, 22.2.2007, n. 4178), l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, qualora quella adottata sia contraria a logica e incongrua, tale, cioè, da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Il sindacato di questa Corte non può, dunque, investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito.

Pertanto, onde far valere una violazione di legge, il ricorrente per cassazione non solo deve fare puntuale riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto altresì a precisare – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, riportando, per il principio di specificità e autosufficienza del ricorso, il testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto in contestazione (ovvero della dichiarazione unilaterale), anche quando la sentenza vi abbia fatto riferimento, qualora ciò non consenta, di per sè, una sicura ricostruzione del diverso significato che il ricorrente medesimo pretenda in ipotesi di attribuirvi (Cass. sez. 2^, 2.8.2005 n. 16132;

Cass. sez. lav., 21.4.2005 n. 8296; Cass. sez. 3^, 25.2.2005 n. 4063;

Cass. sez. lav., 9.2.2004 n. 2394; Cass. sez. lav., 1.4.2003 n. 4948;

Cass. sez. lav., 1.4.2003 n. 4905).

Pertanto nel caso di specie la ricorrente, nel proporre le censure sopra indicate, avrebbero dovuto riportare nel ricorso (ovvero allegare allo stesso) il contenuto della dichiarazione in parola, onde consentire a questa Corte di valutare l’esistenza del vizio denunciato senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.

Ed invero il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi della erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – impostogli dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto (Cass. sez. 3^, 4.9.2008 n. 22303). Il primo onere è adempiuto con la esatta indicazione nel ricorso in quale parte del fascicolo di esso ricorrente si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo nel ricorso il contenuto del documento, o quanto meno degli specifici capi del documento cui si riferiscono le censure proposte.

La mancata ottemperanza anche ad uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

E’ altresì inammissibile il terzo motivo del ricorso principale.

Trattandosi infatti di ricorso avverso una sentenza depositata il 24.11.2006, ad esso si applica, ratione temporis, l’art. 366 bis c.p.c. (introdotto del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile, ex art. 27 del predetto decreto legislativo, ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006). Tale articolo, successivamente abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), ma applicabile nella fattispecie in esame, dispone che “nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto.

Nell’interpretazione di tale norma questa Corte (ex plurimis: Cass. SS.UU, 5.1.2007 n. 36; Cass., SS.UU., 28.9.2007 n. 20360; Cass. SS.UU., 12.5.2008 n. 11650; Cass. SS.UU., 17.7.2007 n. 15959) ha stabilito che il rispetto formale del requisito imposto per legge risulta assicurato sempre che il ricorrente formuli, in maniera consapevole e diretta, rispetto a ciascuna censura, una conferente sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, sicchè dalla risposta (positiva o negativa), che al quesito medesimo deve essere data, possa derivare la soluzione della questione circa la corrispondenza delle ragioni dell’impugnazione ai canoni indefettibili della corretta applicazione della legge, restando, in tal modo, contemporaneamente soddisfatti l’interesse della parte alla decisione della lite e la funzione nomofilattica propria del giudizio di legittimità.

E’ stato, pertanto, precisato che il nuovo requisito processuale non può consistere nella mera illustrazione delle denunziate violazioni di legge, ovvero nella richiesta di declaratoria di una astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità, ma è per contro indispensabile che il quesito di diritto, inteso quale punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio di diritto generale, sia esplicitamente riferito alla lite in oggetto, anche attraverso concreti riferimenti al caso specifico, di talchè sia individuabile il carattere risolutivo rispetto alla controversia concreta, altrimenti risolvendosi nella richiesta di una astratta affermazione di principio.

Siffatta ipotesi si è verificata nel caso di specie ove si osservi che la formulazione del quesito relativo al motivo suddetto si appalesa assolutamente generica, priva di qualsivoglia riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio, risolvendosi nella richiesta di una astratta affermazione di principio, assolutamente pacifica. Con la ulteriore precisazione, in relazione alla dedotta insufficiente motivazione, che la compensazione giudiziale operata dal primo giudice costituisce non già un dato obiettivo, esterno al giudizio, e perciò intangibile, bensì un momento del progressivo dipanarsi del presente giudizio in ordine alla esistenza o meno delle rivendicazioni creditorie azionate dall’ex dipendente, come tale suscettibile di diversa valutazione nei diversi gradi del giudizio.

La palese genericità del quesito rende inammissibile il motivo, allo stesso modo di quel che si verifica in tema di censura non attinente al decisum.

Va altresì ritenuto inammissibile il quarto motivo del ricorso principale.

Ed invero, se pur corretto si appalesa l’assunto di parte ricorrente circa la inammissibilità di nuova produzione documentale nel giudizio di appello, osserva il Collegio che sul punto la Corte territoriale ne ha ritenuto l’ammissibilità anche sotto il profilo che i prospetti contabili in questione contenevano la reiterazione sintetica ed una parziale rielaborazione dei conteggi già prodotti in primo grado.

In ordine a tale motivazione, senz’altro idonea a superare il divieto di produzione di documenti nuovi in appello, nessuna censura ha mosso la ricorrente, di talchè anche tale motivo di ricorso si appalesa inammissibile.

Ed in tale statuizione rimane assorbito il quinto motivo, che costituisce in buona sostanza una reiterazione del precedente, dovendosi altresì rilevare, in relazione all’eccezione di prescrizione, anche in tal caso, una violazione del principio di autosufficienza, non risultando dal ricorso se la questione suddetta fosse stata sollevata, senza ottenere risposta, innanzi al giudice di primo grado ed al giudice di appello, circostanza questa che, connotando la questione di novità, la rende inammissibile in questa sede.

E’ noto infatti che, ove una determinata questione giuridica, la quale implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di riscontrare la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare ne merito la questione stessa, senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento; ed invece, nel caso specie, il ricorrente nemmeno asserisce di aver trattato il tema in primo grado o in fase di gravame.

Va infine dichiarato inammissibile il ricorso incidentale concernente la interpretazione della dichiarazione sottoscritta il 24.12.1999, valendo, anche in tal caso, le osservazioni svolte con riferimento al secondo motivo del ricorso principale, laddove è stato evidenziato che il ricorrente, ne proporre la censura relativa alla violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla valutazione o all’interpretazione di uno specifico documento, è tenuto a riportare nel ricorso (ovvero ad allegare allo stesso) il contenuto del documento in parola.

La mancata ottemperanza a tale onere comporta l’inammissibilità del ricorso.

Ricorrono giusti motivi, in considerazione dell’esito del giudizio che ha riscontrato il mancato accoglimento di entrambe le impugnazioni, principale ed incidentale, proposte, per compensare interamente tra le parti le spese relative al presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi; dichiara il ricorso principale improcedibile in relazione al primo motivo ed inammissibile per il resto; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2011

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