Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13571 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 02/07/2020), n.13571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30424/2018 proposto da:

E.H.E., elettivamente domiciliato in Roma Via Giacinto

Carini 58, presso lo studio dell’avvocato Tota Ferdinando, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 21/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/09/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso proposto da E.H.E., cittadino (OMISSIS), nei confronti del provvedimento della competente Commissione Territoriale che aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale nelle diverse forme. Il ricorrente aveva riferito di essere originario del villaggio di (OMISSIS); che il padre faceva parte della setta degli (OMISSIS) e che alla sua morte alcuni appartenenti alla setta gli avevano chiesto di prenderne il posto, ma egli si era rifiutato perchè di religione cristiana. A causa delle insistenze di costoro aveva lasciato la Nigeria ed era giunto in Libia, dove era rimasto un anno e sei mesi, molti dei quali trascorsi in condizione di prigionia, e poi in Italia.

Il Tribunale ha rilevato che la setta degli (OMISSIS) è una organizzazione tesa ad acquistare potere politico ed economico, e non opera reclutamento forzato. Escluse quindi le condizioni di cui alle del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il giudice di merito ha poi escluso anche quelle di cui alla lett. c), in quanto dalle fonti ufficiali non emerge una situazione di violenza indiscriminata. Lo Stato di Edo risulta poi in particolare tra quelli meno violenti. Nè il ricorrente ha allegato ragioni di particolare vulnerabilità, idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

2.- Per la cassazione di tale decreto ricorre E.H.E. sulla base di due motivi. Il Ministero intimato non si è costituito nel giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7,14; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti, il danno grave individuato nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente posto in essere dai soggetti identificati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Erroneamente il Tribunale avrebbe escluso ipotesi di adesione forzata alla setta degli (OMISSIS), descrivendo tale organizzazione come una associazione dedita al conseguimento e mantenimento del potere politico-economico, attraverso una selezione accurata dei suoi membri, che vi aderirebbero spontaneamente. Nè il giudice di merito avrebbe tenuto conto che il territorio nigeriano è afflitto da una diffusa violazione dei diritti umani, commessa sia dalle autorità statuali sia dai soggetti privati in un contesto di generale impunità, e da una situazione di estesa e radicata violenza.

2.- Il motivo è privo di fondamento.

Il Tribunale ha adempiuto il suo obbligo di cooperazione istruttoria officiosa esaminando approfonditamente la situazione generale della Nigeria attraverso la consultazione di fonti ufficiali, che ha puntualmente citato, e pervenendo alla conclusione che la setta degli (OMISSIS) non sia identificabile in un potenziale agente di danno, trattandosi, piuttosto, di una sorta di massoneria, e che non operi reclutamento forzato, tenuto anche conto che le sette legate a culti tradizionali sono bandite dalla Costituzione.

Il Tribunale ha aggiunto, quanto alla situazione socio-politica della Nigeria, che le informazioni reperibili al riguardo non consegnano l’immagine di un Paese interessato da una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, precisando che lo Stato di Edo, del quale è originario il ricorrente che in detto Stato presumibilmente rientrerebbe in caso di rimpatrio, è tra quelli meno attraversati dalle violenze, pur essendo state le armi riconsegnate dai giovani già coinvolti in scontri politici preelettorali utilizzate per la commissione di crimini comuni, e pur registrandosi con problematicità attività dei cult operanti in ambito universitario.

Alla stregua di quanto fin qui esposto, esclusa la violazione da parte del giudice di merito delle norme invocate dal ricorrente, la censura rivolta dallo stesso al provvedimento impugnato risulta sostanzialmente diretta ad ottenere un riesame di un apprezzamento di fatto, inibita in sede di legittimità.

3.- Con il secondo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e 19, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ossia la permanenza del ricorrente in Libia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto non sussistenti nella specie i seri motivi di carattere umanitario cui è subordinato il riconoscimento del permesso di soggiorno, omettendo di considerare la violazione dei diritti umani perpetrata in Nigeria in modo persistente, ed ignorando, in particolare, le torture e le gravi forme di violenza fisica e psicologica subite dal ricorrente ad opera della setta degli (OMISSIS). Nè il giudice di merito avrebbe tenuto conto dei trattamenti inumani subiti dagli stranieri, come egli stesso, in transito attraverso la Libia. Delle violenze subite in Libia il ricorrente subirebbe tuttora gli effetti, come dimostrerebbe la certificazione medica prodotta nel giudizio di primo grado.

4.- Anche tale doglianza è priva di fondamento.

4.1.- Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., SS.UU., sent. n. 29459 del 2019; Cass., sent. n. 4455 del 2018).

Non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass., ord. n. 3681 del 2019).

Nella specie, la Corte territoriale non ha ravvisato ragioni che giustifichino il riconoscimento della protezione umanitaria, in mancanza, per un verso, di una esigenza qualificabile come umanitaria, tenuto anche conto della genericità delle violenze denunciate dal ricorrente e della assenza di profili persecutori ai suoi danni; per l’altro, in mancanza di violazione di diritti costituzionalmente tutelati nella regione di provenienza del richiedente, alla stregua delle fonti di informazione consultate.

4.2.- Quanto alle presunte violenze subite in Libia, Paese di transito del ricorrente, va rilevato che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (v. Cass., ordd. n. 31676 e n. 2861 del 2018).

E’ pur vero che la giurisprudenza di legittimità ha affermato altresì che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (v. Cass., n. 13096 del 2019).

Tuttavia, nella specie, la deduzione di aver subito violenza in Libia è affetta da totale genericità e quindi non genera alcun obbligo per il giudicante di disporre l’accoglienza, per la non dimostrata sussistenza di una condizione di vulnerabilità.

5.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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