Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1357 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. I, 22/01/2020, (ud. 17/09/2019, dep. 22/01/2020), n.1357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23247/2018 proposto da:

A.V., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile presso la Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Pacitti Claudine, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 06/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/09/2019 da Dott. MELONI MARINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 6/6/2018 ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma in ordine alle istanze avanzate da A.V. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale ed il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dalla Nigeria aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma di essere fuggito dal proprio paese in quanto, dopo la morte del padre avvenuta per cause imprecisate aveva il timore di essere costretto ad aderire alla setta degli (OMISSIS) al posto di suo padre. Avverso il decreto del Tribunale di Roma ha proposto ricorso per cassazione A.V. affidato ad un unico motivo.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il Tribunale di Roma ha espresso una valutazione di scarsa credibilità del ricorrente e respinto la domanda senza attivare il necessario potere istruttorio officioso.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale di Roma ha confermato il provvedimento della Commissione Territoriale ritenendo non credibili le affermazioni del ricorrente in quanto incoerenti, inattendibili e scarsamente credibili. La sentenza impugnata ha dato conto diffusamente ed esaurientemente delle ragioni per le quali ritiene non credibile il racconto del ricorrente.

Il motivo di ricorso contiene una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.

La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. c) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. e). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

Quanto poi al dovere di cooperazione istruttoria il Giudice ha ritenuto l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente dando atto di aver consultato i siti online maggiormente accreditati.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

Ricorrono i presupposti per l’applicazione se dovuto del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo il ricorrente stato ammesso al gratuito patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore del controricorrente che si liquidano in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito. Ricorrono i presupposti per l’applicazione se dovuto del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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