Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13569 del 21/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/06/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 21/06/2011), n.13569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato VANIA ROMANO, rappresentata

e difesa dall’avvocato RIZZO VALERIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ENTE ISTITUTI RIUNITI MONS. PINTO E S. CATERINA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 104, presso lo studio dell’avvocato DE

BERARDINIS DANIELA, rappresentato e difeso dall’avvocato DE VITA

BARTOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1028/2008 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 24/09/2008 R.G.N. 526/07, e avverso la sentenza n.

95/07 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 23/01/07 R.G.N.

1534/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 24 settembre 2008, la Corte d’Appello di Salerno rigettava il ricorso per revocazione avverso la sentenza della medesima Corte territoriale, di rigetto del gravame svolto da F.R. contro la sentenza di primo grado che aveva denegato la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda per pretese retributive proposta nei confronti dell’ente “Istituti Riuniti Mons. Pinto e S. Caterina” (di seguito, per brevità, Istituti) relativamente al periodo antecedente al 30 giugno 1998.

2. La Corte territoriale escludeva che potesse configurare dolo processuale revocatorio la produzione, da parte degli Istituti, a sostegno dell’eccezione di difetto di giurisdizione dedotta in prime cure e ribadita in appello, del Bollettino Ufficiale della regione Campania che includeva, fin dal gennaio 2002, gli Istituti tra le IPAB regionali. Il contenuto dell’indicato Bollettino, a prescindere dalla valenza delle indicazioni ivi riportate, fotografava la situazione a quella data senza pregiudicare il diritto di difesa della controparte, rimasta libera di avvalersi dei mezzi offerti dall’ordinamento al fine di pervenire all’accertamento della verità, reperendo e producendo, in replica nelle prime difese successive, i diversi documenti a sostegno del proprio assunto. Inoltre, la corte di merito era pervenuta alla declinatoria della giurisdizione, in relazione al periodo anteriore al 30 giugno 1998, sulla base di plurime argomentazioni delle quali solo l’ultima era costituita da quella su cui era incentrata l’istanza di revocazione.

3. Nè, per la Corte territoriale, poteva configurarsi l’ipotesi revocatoria di cui all’art. 395 c.p.c., n. 3, per essere il documento di riconoscimento della personalità giuridica privata – (il decreto presidenziale in data 3 luglio 1957), con mantenimento della personalità fino al 13 novembre 1999, data di iscrizione nel registro delle persone giuridiche tenuto presso la cancelleria del Tribunale di Salerno -, preesistente e reperibile presso un ufficio pubblico ove la parte avrebbe potuto acquisirne copia e produrla ritualmente nel giudizio ex art. 415 c.p.c., comma 1 o in replica all’avversa produzione del BURC, in sede di costituzione ex art. 436 c.p.c., quantomeno nel corso del giudizio di secondo grado.

4. A sostegno del decisum, che riteneva precluso l’esame della questione di giurisdizione deducibile, invece, se ancora interponibile, nelle ordinarie sedi impugnatorie, la Corte escludeva sia che la ricerca del documento ritenuto decisivo (il citato decreto del 3 luglio 1957), si fosse imposta solo all’esito sfavorevole del giudizio di appello, sia la forza maggiore per reperire, in tempo utile, il documento comprovante la personalità giuridica privata degli Istituti.

5. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale F. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. Si è costituito, con controricorso, l’ente intimato, in persona del legale rappresentante pro tempore, e ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività della notificazione, oltre l’infondatezza.

L’ente ha, inoltre, depositato memoria ex art 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Preliminarmente osserva il Collegio che va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione. Invero, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello pubblicata il 24 settembre 2008, è stato tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, per la notifica, il 24 settembre 2009 e, non conclusosi il procedimento notificatorio per circostanze non imputabili al richiedente, il ricorrente ne ha richiesto immediatamente, il giorno successivo, la riattivazione (v., ex multis, Cass. 6846/2010).

7. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 25 Cost., comma 1 in relazione all’art 360 c.p.c., n. 1, per non aver la corte di merito tenuto conto della materiale indisponibilità del decreto presidenziale 3 luglio 1957 di riconoscimento della personalità giuridica privata dell’ente, nè della circostanza che l’estratto dell’iscrizione del medesimo ente nel registro delle persone giuridiche tenuto dalla Cancelleria del tribunale di Salerno, e poi dalla Prefettura, erano circostanze alla cui prova la ricorrente non era tenuta prima di una decisione a lei sfavorevole in sede giudiziale.

L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di dire se la sentenza di rigetto del ricorso per revocazione possa far prevalere, sull’assorbente principio costituzionale sancito dall’art. 25 Cost., comma 1, il principio che la libertà di scelta della strategia difensiva avversa si spinga fino ad alterare in giudizio la verità dei fatti e possa essere negato valore decisivo al documento ricercato e ritrovato dopo la sentenza di secondo grado che viceversa la predetta verità confermi.

8. Il collegio ritiene il quesito, così come formulato, inammissibile perchè non si informa alle prescrizioni dell’art. 366- bis c.p.c.. La funzione propria del quesito di diritto, applicabile ratione temporis, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (ex multis Cass. 8463/2009) Il quesito deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (ex multis, Cass. 4044/2009).

9. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 6972 del 1890 e del D.P.C.M. n. 16712 del 1990, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, formulando il quesito di diritto con il quale chiede alla Corte di dire se, pur in presenza di tutti i delineati indici oggettivi del carattere privato dell’ente e subordinatamente del carattere privato del dedotto rapporto di lavoro, sia consentito al giudice di appello di non ritenere la richiesta giurisdizione del giudice ordinario.

10. Il motivo, incentrato su censure inerenti alla declinatoria della giurisdizione pronunciata nel giudizio di gravame e deducibili con gli ordinati mezzi di impugnazione, è inammissibile in quanto non corrispondente al contenuto della sentenza della corte territoriale resa nel giudizio revocatorio che ha ritenuto a) inconfigurabile il dolo processuale revocatorio nella produzione, da parte degli Istituti, del Bollettino Ufficiale della regione Campania che includeva, fin dal gennaio 2002, gli Istituti tra le IPAB regionali;

b) preesistente e reperibile presso un ufficio pubblico il documento di riconoscimento della personalità giuridica privata.

11. Inoltre, la motivazione del giudice della revocazione sulla ricorrenza degli aspetti del dolo processuale revocatorio, regolato dall’art. 395 c.p.c., n. 1, non è stata in alcun modo censurata con vizio di motivazione.

12. Nè è stata specificamente censurata, dalla ricorrente, la motivazione della corte territoriale con riferimento alla preesistenza e reperibilità presso un ufficio pubblico del documento di riconoscimento della personalità giuridica privata, che avrebbe comprovato la tesi propugnata dalla F., da cui la corte ha tratto le conseguenze in termini di oneri, non assolti, di tempestiva e rituale produzione alla stregua dell’art. 415 c.p.c., comma 1 e dell’art. 436 c.p.c..

13. Sulla base di tali principi, il ricorso va, pertanto, rigettato;

le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 28,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari, e spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2011

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