Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13569 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 02/07/2020), n.13569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18442/2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Torino, 7, presso

lo studio dell’avvocato Barberio Laura che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 09/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/09/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso proposto da A.M., cittadino (OMISSIS), nei confronti del provvedimento della competente Commissione Territoriale di rigetto delle sue domande di protezione internazionale nelle varie forme.

Il ricorrente aveva dichiarato innanzi alla Commissione di essere rimasto orfano giovanissimo, di essere stato denunciato per furto dai parenti, che intendevano impossessarsi dei suoi beni, e che lo avevano costretto a frequentare una scuola coranica, dalla quale era fuggito. Aveva poi conosciuto un ragazzo che aveva successivamente scoperto essere omosessuale, con il quale aveva intrattenuto rapporti intimi dettati da necessità, essendo ospite presso la sua abitazione (versione, codesta, smentita innanzi al Tribunale, al quale ha riferito di non aver potuto manifestare la propria omosessualità in

Libia, dove avrebbero potuto ucciderlo). Una sera era stato visto da tre persone del villaggio passeggiare con quel ragazzo travestito da donna, e, temendo di essere identificato come omosessuale, era fuggito, raggiungendo dapprima il Mali, poi il Burkina Faso, il Niger e quindi la Libia, dove era vissuto per sette anni prima di trasferirsi in Italia.

La narrazione è stata ritenuta poco plausibile soprattutto con riferimento alla omosessualità riferita dal ricorrente.

Al riguardo, il Tribunale ha rilevato la confusione e la contraddittorietà del racconto, sottolineando l’assenza di alcun coinvolgimento emotivo del ricorrente nel corso dell’audizione rispetto all’asserita condizione ed al timore di subire una condanna a causa della riferita omosessualità. Per tale inverosimiglianza il Tribunale ha escluso la sussistenza delle condizioni di cui alle del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), tenendo che la vicenda di cui si tratta non fosse riconducibile ad alcuna ipotesi di persecuzione individuale a causa dell’orientamento sessuale.

Quanto alla ipotesi di cui dello stesso art. 14, lett. c), il Tribunale ha escluso che il Senegal viva una fase di conflitto tale da determinare un rischio generalizzato per la popolazione residente (v. rapporto di Amnesty International del 2017 e di Freedom House dello stesso anno).

Il Tribunale ha escluso altresì la configurabilità dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria per mancata allegazione di fattori di specifica vulnerabilità.

2.- Per la cassazione di tale decreto ricorre A.M. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul giudice della protezione internazionale – omessa c.t.u. psicologica”. A fronte del dichiarato timore del ricorrente di essere vessato ed arrestato in caso di rientro in Senegal, ove la omosessualità è considerata atto abominevole e contro natura, e della denuncia delle condizioni carcerarie in quel Paese, il Tribunale avrebbe dovuto disporre una ctu psicologica in caso di dubbio sulla sua non credibilità, e svolgere accertamenti in ordine alla situazione della giustizia e delle carceri in Senegal.

2.- Con il secondo motivo si lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. g, artt. 3, 4, 5, art. 6, comma 2, e omessa motivazione in ordine alla richiesta del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria nella forma del rischio di trattamenti inumani e degradanti nel caso di ingiusta detenzione – omesso approfondimento istruttorio sulla condizione carceraria del Senegal”. Il Tribunale si sarebbe limitato ad una generica analisi del contesto del Senegal onde escludere la sola configurabilità dei presupposti della forma di protezione di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), relativa alla esistenza di conflitto armato, senza operare alcun riscontro con riferimento alla situazione della giustizia e delle carceri nel Paese di cui si tratta, nè con riferimento alla persecuzione per motivi di omosessualità.

3.- I due motivi, da trattare congiuntamente per la stretta connessione logico-giuridica che li avvince, sono privi di fondamento.

Va, anzitutto, sottolineato che il giudice di merito ha espresso un plausibile giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, basato sulla confusione e sulla contraddittorietà – proprio con riguardo alla omosessualità-della narrazione resa innanzi alla competente Commissione Territoriale, alla quale ha riferito di non essere omosessuale, rispetto a quella resa al giudice, cui ha dichiarato di aver dovuto tenere celata la sua tendenza sessuale in Libia, perchè “lì avrebbero potuto uccidermi”, e di aver avuto anche in Italia alcune relazioni omosessuali.

Siffatto apprezzamento di non credibilità, siccome operato in modo non difforme dai criteri legali di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 – che pone, tra i criteri di valutazione della veridicità delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale, la coerenza e plausibilità e la non contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso -, sfugge alle censure del ricorrente, che sono sostanzialmente volte ad una revisione del giudizio di merito inibita nella presente sede.

E tuttavia, pur dalla riferita valutazione di non credibilità della narrazione del ricorrente non è derivata la omissione da parte del Tribunale dell’esame della situazione della giustizia in Senegal, Paese del quale è stata descritta la condizione generale, basata sull’esame delle fonti ufficiali di informazione, compiutamente citate: descrizione che ha riguardato non solo la mancanza di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, ma altresì il rilancio delle istituzioni democratiche e del sistema giudiziario, pur nella presenza di alcune ombre nella sola regione di Casamance – diversa da quella di Thies, di cui è originario A.M. – ove comunque la Croce Rossa svolge un’attività di verifica delle condizioni dei detenuti e di sensibilizzazione del governo centrale.

4. – Con il terzo motivo si deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, TUI e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, relativo ai presupposti per il riconoscimento di protezione umanitaria”. Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria nonostante il serio pericolo che egli correrebbe in caso di rientro in Senegal a causa delle continue violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione civile.

5.- Il motivo è destituito di fondamento.

In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., SS.UU., sent. n. 29459 del 2019, sent. n. 4455 del 2018).

Deve, peraltro, sottolinearsi che la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente (cfr., ex aliis, ord. n. 3681 del 2019).

Nella specie, il giudice di merito ha rilevato che il ricorrente non aveva allegato alcuna situazione di fragilità individuale. Nè il diritto alla forma di protezione in esame può essere affermato in considerazione di un contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani al Paese di provenienza, quale dedotto dal ricorrente (v., sul punto, Cass., ord. n. 17072 del 2018).

6.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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