Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13566 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. I, 02/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 02/07/2020), n.13566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16603/2018 proposto da:

D.I. Alias I., elettivamente domiciliato in Roma Via

Torino, 7, presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 23/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/09/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Roma, con decreto del 23 aprile 2018, ha rigettato il ricorso proposto da D.I. (o I.) avverso la decisione della competente Commissione Territoriale che ne aveva respinto la domanda di protezione internazionale nelle sue varie forme, ravvisando nelle vicende da lui narrate questioni attinenti alla giustizia ordinaria. Il richiedente aveva esposto di essere cittadino senegalese e di professione falegname; di aver dovuto, a seguito del decesso del padre, cercare una diversa occupazione lavorativa per far fronte alle spese necessarie per un intervento chirurgico al quale doveva essere sottoposta la propria madre, e di essersi impiegato come autista di ciclomotori da trasporto, i proventi della cui attività venivano versati su di un fondo comune dal quale mensilmente ogni lavoratore prelevava la somma corrispondente al proprio compenso. In ragione delle necessità della madre egli si era appropriato di una somma rilevante da detto fondo ed era stato denunciato dagli altri autisti. Aveva allora ottenuto un prestito da un commerciante locale prestando come garanzia la casa di famiglia. Minacciato dai congiunti, che avanzavano pretese successorie sull’immobile, si era trasferito a Dakar, dove era stato ingiustamente accusato di aver usato violenza alla nipote della proprietaria della stanza da lui presa in affitto. A questo punto era fuggito in Italia.

Il Tribunale adito ha escluso che potesse essere accordata al ricorrente la richiesta protezione sussidiaria ritenendo non ricompresi i fatti narrati dallo stesso nelle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. a) e b), in quanto attinenti a questioni economiche di ordine privato, non avendo, tra l’altro, nemmeno l’interessato indicato la ragione per la quale non avesse chiesto protezione alle autorità locali di fronte all’atteggiamento minaccioso dei suoi parenti.

Quanto alla ipotesi di cui del richiamato art. 14, lett. c), il Tribunale ha fatto presente che attualmente il Senegal non vive una situazione di disordine o conflitto tali da indurre un rischio generalizzato per la popolazione ivi residente, e che neppure il conflitto in atto in Casamance tra ribelli e forze governative può qualificarsi come conflitto armato generatore di violenza indiscriminata, essendo il livello di violenza progressivamente diminuito negli ultimi anni, in cui si sono sviluppati sforzi per un negoziato, sicchè oggi si assiste a fluidi spostamenti di persone e beni e al progressivo ritorno delle popolazioni al loro territorio e alle loro attività agricole. Al riguardo il giudicante ha fatto riferimento a fonti ufficiali che definiscono stabile la situazione politico-economico-istituzionale del Senegal, con infrastrutture relativamente solide ed istituzioni salde. Alla stregua di tali dati il Tribunale ha escluso la sussistenza delle condizioni di cui dell’art. 14, lett. c), sopra richiamato.

Quanto alla domanda di protezione umanitaria, ha osservato il Tribunale che manca nel ricorso l’allegazione di fattori di specifica fragilità che consentano di individuare i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2.-Per la cassazione di tale decreto ricorre D.I. (o I.) sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul giudice della protezione internazionale. A fronte delle dichiarazioni del ricorrente, che aveva affermato di temere il rimpatrio, perchè ripetutamente minacciato, ingiustamente denunciato alle forze di polizia locali ed impossibilitato ad ottenere protezione da parte delle stesse nei confronti delle persone che avevano cercato di arrecargli violenza o lo avevano minacciato di morte, il giudicante avrebbe dovuto svolgere approfondimenti istruttori in merito alla situazione delle carceri in particolare e della giustizia senegalese in generale.

2.- Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), artt. 3, 4, 5, art. 6, comma 2 e omessa motivazione in ordine alla richiesta ex art. 14, lett. b), dello stesso D.Lgs., relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria nella forma del rischio di trattamenti inumani e degradanti nel caso di ingiusta detenzione. La censura torna sulla omessa considerazione della specifica situazione del Senegal con riferimento alla situazione carceraria e giudiziaria.

3.- I motivi, da esaminare congiuntamente avuto riguardo alla stretta connessione che li avvince, sono infondati.

Il decreto impugnato ha approfonditamente esaminato, alla luce delle fonti informative internazionali consultate, e puntualmente richiamate dal giudice di merito, la situazione politico-economico-istituzionale del Senegal, e ne ha tratto la conclusione di una avvenuta pacificazione e di ripresa delle attività, oltre che di una condizione di stabilità istituzionale. In particolare, in relazione alla inaffidabilità delle carceri e della giustizia senegalese denunciata dal ricorrente, il Tribunale ha dato conto del contenuto dei rapporti di Amnesty International del 2016/2017 e di Freedom House del Luglio 2017, in cui la situazione del Senegal, con riferimento alle istituzioni democratiche ed al sistema giudiziario, viene considerata positiva, e, con specifico riguardo alla Casamance (che non è quella di provenienza del ricorrente, il quale, per sua stessa ammissione, proviene dalla regione di Louga), si riferisce di un conflitto comunque chiuso e dell’attività di controllo ed interposizione svolta dalla Croce Rossa per verificare le condizioni dei detenuti e sensibilizzare il governo centrale.

A fronte di tale approfondita indagine, il tema de quo risulta affrontato dal ricorrente in modo del tutto astratto e generico.

4.- Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, relativi ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. I Tribunale non ha considerato, secondo il ricorrente, la sua integrazione nel tessuto sociale italiano, confermata dalle attestazioni di frequenza di corsi di lingua italiana e dal suo inserimento nel progetto Falegnameria ed officina sociale Kalma, nè la situazione di vulnerabilità in presenza di un quadro sintomatico di pericolosità per l’incolumità del richiedente, rappresentato dalla conservazione di un sistema di vendette private tollerato o non efficacemente contrastato.

5.- Anche tale motivo è privo di fondamento.

Le ragioni addotte dal ricorrente a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria non risultano idonee a fondare tale riconoscimento alla stregua della vigente normativa e dei consolidati principi giurisprudenziali. L’integrazione del richiedente nel tessuto sociale italiano, testimoniato dalla frequenza di corsi di lingua e dall’inserimento in progetti di formazione, non risulta ex se sufficiente. Infatti, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, vada operata una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (v., per tutte, Cass., SS.UU., sent. n. 29459 del 2019).

Tale giudizio comparativo è stato correttamente effettuato dal giudice di merito, che ha escluso la configurabilità di ragioni di vulnerabilità soggettiva – del resto non allegate dal ricorrente – in un contesto di non specifica compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza (Cass., ord. n. 17072 del 2018). L’attuale ricorrente, attraverso la deduzione della violazione della normativa in materia, tende all’evidenza a conseguire una revisione della valutazione di merito operata dal Tribunale, inibita nella presente sede di legittimità.

6.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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