Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13564 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. II, 18/05/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 18/05/2021), n.13564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24202-2019 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato MICHELE CIPRIANI

ed elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della CORTE di

CASSAZIONE, in ROMA, P.zza CAVOUR 95;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 187/2019 della CORTE d’APPELLO di PERUGIA,

depositata in data 18/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.A. proponeva appello avverso l’ordinanza del 20.2.2018, con la quale il Tribunale di Perugia rigettava il ricorso avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere cittadino pakistano (da Gujrat nel Punjab); di appartenere al gruppo etnico punjabi e di essere di religione sunnita; di essere sposato con due figli; di avere deciso di fuggire dal suo Paese nell’agosto 2015 perchè si era innamorato di un ragazzo, che era stato ucciso dai familiari dopo la scoperta della loro relazione omosessuale; che temeva, in caso di rimpatrio, di essere ucciso dai familiari del ragazzo.

Con sentenza n. 187/2019, depositata in data 28.3.2019, la Corte d’Appello di Perugia rigettava l’appello, ritenendo di condividere la motivazione del Giudice di primo grado, secondo il quale la situazione narrata non rientrava in alcuna delle ipotesi di persecuzione individuate dalla legge. Si evidenziava che nella fattispecie non ci si trovasse in presenza di una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica derivante da sistemi di regole non scritte sub-statuali, imposte con la violenza verso un genere, un gruppo sociale o religioso, essendo completamente assenti gli elementi di prova; che la narrazione di episodi anche violenti, ma strettamente interpersonali, poteva non dare luogo alla necessità di approfondimento istruttorio officioso; laddove non vi erano elementi per affermare la sussistenza di gravi danni per la persona come indicato nella motivazione del provvedimento impugnato al quale si rinviava. Infine, non sussistevano i presupposti per la protezione umanitaria, nulla essendo stato dedotto in ordine alla violazione di diritti fondamentali della persona, in caso di rimpatrio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione M.A. sulla base di due motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e lett. g); il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35 bis, comma 8; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. a), b) e c) e art. 17), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Omesso e/o insufficiente esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, relativamente al diniego e/o al mancato accertamento dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. La Corte di merito aveva travisato e/o sottovalutati le circostanze che avevano determinato la fuga dal Pakistan del richiedente che (in seguito all’omicidio da parte dei familiari del compagno con il quale aveva avuto una relazione per dieci anni) aveva corso il rischio di subire atti persecutori e violenze, senza poter contare sulla protezione delle autorità statuali, dato il contesto omofobo della società pakistana, nella quale l’omosessualità è sanzionata fino a 10 anni di reclusione.

1.1. – Per quanto concerne la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione al pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione generalizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che dev’essere aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 17075 del 2018; Cass. n. 28990 del 2018). Laddove, al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019).

Nel caso, la Corte di merito, valutata situazione del paese di origine del richiedente, non avrebbe dovuto escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), all’esito di una, in verità, assai rapida valutazione desunta da siti internazionali accreditati (report EASO dell’agosto 2017).

1.2. – Occorre aggiungere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel dare attuazione alla Direttiva 2004/83/Ce con il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 25, il legislatore si è avvalso della facoltà, prevista dall’art. 8, di non escludere la protezione dello straniero, che ne abbia fatto domanda, per il solo fatto della ragionevole possibilità di trasferimento in altra parte del paese di origine, nella quale non abbia fondato motivo di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire gravi danni, sicchè non può essere rigettata la domanda di protezione per il solo fatto d’una futura possibilità di trasferimento (Cass. n. 2294 del 2012; Cass. n. 8399 del 2014; Cass. n. 21903 del 2015).

La settorialità della situazione di rischio di danno grave nella regione o area di provenienza interna dello Stato di origine del richiedente asilo non preclude dunque l’accesso alla protezione per la sola possibilità di trasferirsi in altra area o regione del Paese, priva di rischi analoghi (Cass. n. 18540 del 2019). In tale ottica, le carenze probatorie del racconto avrebbero dovuto essere colmate con l’esercizio di poteri officiosi, esaminando le dichiarazioni alla luce delle informazioni generali provenienti dalle organizzazioni umanitarie internazionali che evidenziano l’attuale repressione culturale e penale delle condotte omosessuali in Pakistan, con il rischio di subire una minaccia grave alla vita o all’incolumità personale per coloro che fossero ritenuti responsabili di tali condotte, sia per la pena detentiva inflitta dalla legge, che per le punizioni corporali inferte dai privati.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto la “Violazione e/o falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Omesso e/o insufficiente esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, relativamente al diniego e/o al mancato accertamento dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. La Corte d’Appello si limitava ad affermare che il ricorrente non avrebbe dedotto il rischio di violazione dei diritti fondamentali della persona in caso di rimpatrio, ma la circostanza non può escludere la sussistenza di tale rischio, che risulta dalla condizione individuale di omosessualità dichiarata e dalle persecuzioni cui sono soggetti gli omosessuali in Pakistan, discriminati e puniti dalla legge con il carcere.

Inoltre, dalla documentazione prodotta, risulta lo sforzo di inserimento nel tessuto sociale, raggiunto con l’apprendimento della lingua italiana e la partecipazione ad attività di volontariato. La Corte di merito ometteva di operare il necessario bilanciamento del livello di integrazione in Italia con la situazione di compromissione dei diritti umani nel Pakistan (sia sotto il profilo individuale che generale). Pertanto, la Corte territoriale ometteva di valutare la situazione di emarginazione sociale cui verosimilmente andrebbe incontro il ricorrente in caso di rimpatrio, tenuto conto della condizione di integrazione raggiunta in Italia e del tempo in cui è rimasto lontano dal Pakistan, dove la sua omosessualità lo espone al rischio del carcere e della violazione dei diritti umani fondamentali.

2.1. – La Corte d’Appello veniva meno, dunque, all’obbligo di cooperazione istruttoria imposto dalla normativa a integrazione delle lacune probatorie del racconto, infondatamente escludendo il pericolo per il ricorrente, in caso di rimpatrio, di subire sia un’esecuzione mortale o atti di tortura o trattamento inumani o degradanti da parte di soggetti privati, quali i familiari del compagno, sia una pena detentiva ingiusta e un trattamento carcerario inumano. Inoltre, la Corte di merito ometteva di considerare la situazione di rischio effettivo di minacce gravi alla vita e alla persona per qualsiasi cittadino, determinato dalla situazione di conflitto armato interno generalizzato che caratterizza il Pakistan. Infatti, l’individualizzazione del rischio subisce una significativa attenuazione in caso di accertamento dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non essendo necessaria la prova, da parte dell’istante, di essere interessato in modo specifico dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato.

Invece, nella fattispecie, la Corte ometteva di verificare la situazione generale esistente nel Paese d’origine, caratterizzata da violenze perpetrate da organizzazioni terroristiche di matrice politica e religiosa e tra fazioni islamiche di fede sunnita e sciita; da violazioni dei diritti umani, tra cui tortura e altri maltrattamenti, detenzione arbitraria, esecuzioni stragiudiziali e sparizioni forzate e da violazione della libertà religiosa e di manifestazione del pensiero; nonchè, nonostante il governo abbia riconosciuto la possibilità di registrarsi come “terzo genere” sulle carte d’identità nazionali, agli omosessuali vittime, anche loro, di molestie e aggressioni.

3. – Il ricorso, pertanto, va accolto; va cassata la sentenza impugnata, con rinvio del processo alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, procedendo ad un nuovo esame del merito e alla liquidazione anche delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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