Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13562 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34253-2018 proposto da:

D.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA,66,

presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

C.M. E P.A. SNC, in persona del socio

amministratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI PIO DE GIOVANNI;

– controricorrente –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza N. R.G. 11647/2018

del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 12/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GRAZIOSI

CHIARA;

lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO in persona del

SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE DOTT. DE AUGUSTINIS U. che esprime

dunque, il parere che la Corte dichiari inammissibile il ricorso,

ovvero, in subordine, lo rigetti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte osserva quanto segue.

1. d.R. conveniva davanti al Tribunale di Roma C.M. & P.A. s.n.c. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni che gli sarebbero derivati da una caduta per scivolamento su una scala all’uscita del ristorante di controparte, dove aveva pranzato; ristorante, questo, situato in Manfredonia, dove pure aveva sede la società suddetta.

Controparte si costituiva, resistendo e in particolare eccependo l’incompetenza territoriale del giudice adito a favore del Tribunale di Foggia.

Con ordinanza del 12 novembre 2018 il Tribunale ha dichiarato la propria incompetenza territoriale a favore del Tribunale di Foggia, assegnando alle parti il termine di tre mesi per la riassunzione e condannando l’attore a rifondere le spese di lite a controparte.

In tale ordinanza si afferma che l’eccezione d’incompetenza territoriale, dalla convenuta avanzata tempestivamente nella comparsa di risposta, si fonda sul fatto che la domanda concerne un debito di valore, ai sensi dell’art. 1182 c.c., comma 4, a ciò dovendosi aggiungere che nella prospettazione attorea il sinistro si era verificato in Manfredonia e che in Manfredonia ha sede la società convenuta e hanno residenza i suoi soci.

Il Tribunale rileva poi che l’attore ha obiettato all’eccezione nel senso che varrebbe l’inderogabilità del foro del consumatore in forza del D.Lgs. n. 206 del 2006, foro da individuarsi in Roma dove l’attore ha residenza o comunque domicilio elettivo. Il Tribunale supera questa obiezione asserendo che l’attore ha agito ai sensi degli artt. 2051 e/o 2043 c.c., chiedendo il risarcimento di danno solo extracontrattuale e non, quindi, contrattuale, da ciò desumendo che derivi “inapplicabilità alla fattispecie dello speciale foro del consumatore, non risultando in discussione il rapporto contrattuale intercorso fra le parti”; in seguito esamina i fori alternativi addotti dalla convenuta per giungere, appunto, a dichiarare la propria incompetenza territoriale a favore del Tribunale di Foggia.

2. d.R. ha proposto ricorso per regolamento di competenza, sulla base di due motivi.

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 38 c.p.c., lamentando l’omessa disamina del foro del consumatore e comunque la mancata considerazione di tutti i fori territoriali concorrenti nella fattispecie.

Richiamando giurisprudenza di questa Suprema Corte, si osserva che il luogo di residenza o di domicilio del consumatore è fissato dalla legge, per cui il consumatore non ha l’onere di indicarlo nell’atto introduttivo; peraltro l’attuale ricorrente avrebbe indicato il proprio domicilio nell’atto introduttivo, e “codesta corte ha più volte ribadito che, a prescindere dalla circostanza per cui domicilio e residenza vanno considerati implicitamente indicati nell’atto che introduce il giudizio, spetta al convenuto esaminare tutti i Fori alternativi prestabiliti dalla legge”. E nella “prima risposta” la convenuta non avrebbe esaminato la competenza relativa al rapporto di consumo, nè l’avrebbe esaminata nell’udienza celebrata ai sensi dell’art. 183 c.p.c. il 10 luglio 2018, e tantomeno nella successiva udienza del 12 novembre 2018. Il giudice di merito quindi avrebbe errato in quanto la competenza si sarebbe radicata “nel Foro non esaminato, ovvero il domicilio-residenza del Consumatore”.

Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 38 e 183 c.p.c., in relazione alla “incompetenza sollevata dal giudice nella ordinanza impugnata” e alle “tardività e illegittimità dell’eccezione d’ufficio”. Si denuncia altresì vizio motivazionale, si invoca la “compatibilità del contratto di somministrazione e custodia dei luoghi con la domanda di illecito” e si nega l’esistenza di domanda aquiliana, richiamando pure i termini ex art. 183 c.p.c.

Il Tribunale afferma che l’attore avrebbe introdotto una domanda da illecito aquiliano, senza però indicare “dove l’allegazione risulti”. E ciò infatti non sarebbe vero. Il Tribunale ritiene altresì che l’attore “avrebbe per ciò stesso rinunciato alla domanda da illecito contrattuale”, la quale sarebbe stata invece proposta, adducendosi che, nel ristorante alla cui uscita era scivolato, l’attore “aveva consumato un pasto”: e invero “esser stato cliente del ristorante, e non esserci entrato per altra ragione, conduce indefettibilmente alla natura contrattuale dell’illecito”.

Sostiene poi il ricorrente che nell’atto introduttivo non avrebbe invocato l’art. 2043 c.c. bensì l’art. 2051 c.c., riferimento che peraltro sarebbe compatibile con l’azione contrattuale fondata sull’inadempimento dell’obbligazione secondaria di custodia. Nel caso in esame, “la custodia dei locali accede a quella principale della somministrazione alimentare”.

Infine, il Tribunale non avrebbe concesso i termini per le memorie di cui all’art. 183 c.p.c., mentre l’attuale ricorrente avrebbe potuto con le memorie chiarire il contenuto della propria domanda. D’altronde, il Tribunale, che ha il dovere di chiedere alle parti i necessari chiarimenti ex art. 183 c.p.c., comma 4, o anche ex art. 164 c.p.c., non può “impedire i chiarimenti e poi offrire una lettura ellittica e contraddittoria delle allegazioni, addirittura tardivamente sollevando la questione processuale con l’ordinanza che si impugna”. Se avesse valutato come “una allegazione equivoca” quella dell’attore, il Tribunale avrebbe dovuto evidenziarglielo e concedergli la possibilità di spiegare, chiedendo chiarimenti nell’udienza oppure attendendo “le note del primo termine ex art. 183 c.p.c.”.

3. La società si è difesa con memoria. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del regolamento, osservando che il foro del consumatore investirebbe esclusivamente le domande fondate sui diritti scaturenti direttamente dal contratto, nella specie concluso per l’erogazione del pasto.

4. Il ricorso – i cui motivi vanno vagliati congiuntamente – merita accoglimento.

Nella sua scarna motivazione, in effetti, il giudice di merito, a ben guardare, non è giunto affatto a escludere che non sia stata proposta anche azione contrattuale; la quale, peraltro, sussiste, per quanto evidenziato nel ricorso, ove nell’atto introduttivo è stato addotto – come appunto il ricorrente rimarca – che il d. era entrato nel ristorante per consumare un pranzo, e non per altre ragioni, onde è innegabile la conclusione di un contratto di ristorazione nel senso di somministrazione di alimenti.

Nè, d’altronde, è sostenibile che un siffatto contratto non includa anche obbligazioni secondarie, come quella prospettata dall’attuale ricorrente di custodia della struttura ove il pasto viene somministrato: invero è, prima ancora che giuridico, del tutto logico che il ristoratore debba tenere la struttura in modo tale che essa non presenti ai clienti difficoltà, rischi o insidie per entrare o per uscire, come pure far sì che i clienti non si trovino in situazione pericolosa quando sono all’interno di essa.

Il ristoratore – è ovvio – non coincide con l’albergatore; tuttavia per adempiere si avvale di un immobile, ed è pertanto obbligato a fare in modo che il cliente possa accedervi ed uscirne senza pericolo (e dunque, se vi è una scala, questa dovrà essere dotata di corrimano, composta da scalini di pedata non troppo stretta, essere tenuta pulita per evitare che sopra di essa si formino lastre di ghiaccio o macchie d’olio ecc.), come pure che quando vi è all’interno il cliente non si trovi in situazioni pericolose (per esempio, se i servizi igienici sono collegati con una scala alla sala di ristorazione, la scala deve essere illuminata e anch’essa bene strutturata; nella sala di ristorazione non vi devono essere fatiscenze per cui cadano, per esempio, calcinacci dal soffitto; se sul pavimento della sala compare improvvisamente un dislivello, deve essere segnalato per evitare l’inciampo ecc.; e tutto ciò è notorio).

Da ciò deriva che, effettivamente, il Tribunale ha commesso un duplice errore: non ha rilevato che la ricorrente non aveva eccepito in ordine a tutti i fori, non avendo preso in considerazione il foro del consumatore, applicabile in forza del contratto di ristorazione; e non ha nè rilevato nè poi applicato il foro del consumatore, quale foro inderogabile e rilevabile d’ufficio, a parte l’ipotesi di una clausola oggetto di specifica trattativa tra le parti, che qui sine dubio non sussiste (cfr. in tema, tra gli arresti più recenti, Cass. sez. 6-3, ord. 2 ottobre 2018 n. 23912, Cass. sez. 6-2, ord. 25 gennaio 2018 n. 1951, Cass. sez. 6-2, ord. 12 gennaio 2015 n. 181 e Cass. sez. 6-3, ord. 12 marzo 2014 n. 5703).

In conclusione, accogliendo il ricorso, si dichiara la competenza territoriale del Tribunale di Roma, cui si rimette pure la decisione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accogliendo il ricorso, dichiara la competenza del Tribunale di Roma, cui si rimette la decisione sulle spese processuali del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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