Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13559 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 30/05/2017, (ud. 15/11/2016, dep.30/05/2017),  n. 13559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10553-2010 proposto da:

G.P., T.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO DODARO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSANNA FILOMENA

MASURI delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

E contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI SASSARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 65/2009 della COMM.TRIB.REG. DELLA SARDEGNA

SEZ.DIST. di SASSARI, depositata il 25/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito per i ricorrenti l’Avvocato MASURI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’avvocato GUIZZI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.P. ed T.E. propongono ricorso per cassazione con tre motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna che, rigettandone l’appello, ha confermato la legittimità della pretesa avanzata con più avvisi di accertamento sintetico, ai fini dell’IRPEF e dell’ILOR per gli anni dal 1996 al 1999, in relazione all’acquisto, nell’ottobre 1999, delle quote della srl Agrival Ecosistemi per Lire 1.525.550.000 ciascuno, contro il rilascio di quietanza da parte dei cedenti.

Secondo l’ufficio i contribuenti avevano così manifestato una capacità contributiva ben maggiore rispetto al reddito risultante dalle dichiarazioni per l’anno in questione e per i tre precedenti 1997, 1998 e 1996.

I contribuenti avevano impugnato gli avvisi sostenendo di non aver mai pagato il detto prezzo delle azioni, essendo il contratto simulato allo scopo di favorire i cedenti, che intendevano sottrarre quelle quote sociali ai creditori; successivamente – sostenevano – con atto notarile del 2000 i contribuenti “conseguivano il vero scopo di far incassare ai cedenti quanto realizzato, peraltro solo parzialmente, in quanto il corrispettivo convenuto in tale atto non veniva pagato dai terzi acquirenti, che per tale motivo furono convenuti in giudizio davanti al Tribunale di Sassari”.

Secondo il giudice d’appello, la presunzione di un maggior reddito alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 spostava a carico dei contribuenti l’onere della prova contraria, che non era stata data, perchè la documentazione prodotta e le dichiarazioni testimoniali riguardanti il tenore di vita dei contribuenti non escludevano che il pagamento delle quote fosse avvenuto utilizzando altri canali. La simulazione dedotta, comunque, non era opponibile all’amministrazione, in quanto l’inopponibilità di una pratica abusiva costituisce un vero e proprio principio regolatore del sistema, che rende del tutto superfluo un accertamento della simulazione; una siffatta inopponibilità all’amministrazione finanziaria che non abbia partecipato alle intese simulatorie discende dai principi, essendo il riflesso della più generale inefficacia del contratto simulato.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1415 cod. civ., “in fattispecie in cui l’accordo simulato sia foriero di elementi indicativi di capacità contributiva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, mentre il sottostante accordo dissimulato (vendita senza corresponsione del prezzo) non costituisce presupposto d’imposta e non comporta di conseguenza alcun concreto danno per (mancando il fatto stesso indice di capacità contributiva che non si è mai realizzato)”, per avere la CTR erroneamente applicato il principio secondo cui “l’inopponibilità dell’operazione simulata all’A.F., che non abbia partecipato alle intese simulatorie, discende dai principi, essendo il riflesso della più generale inefficacia del contratto simulato (artt. 1414 e 1415)”, anzichè affermare il principio di diritto corretto, secondo cui “l’inopponibilità ai sensi dell’art. 1414 all’amministrazione finanziaria, che non abbia partecipato alle intese simulatorie, di un negozio simulato presuppone che la stessa risulti danneggiata dalla simulazione assoluta o relativa di un sottostante accordo, esso stesso presupposto ovvero indice presunto di capacità contributiva. In mancanza di ciò la simulazione è opponibile”.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, si dolgono che la CTR abbia affermato che le dichiarazioni di atto notorio costituiscono dichiarazioni testimoniali, come tali non utilizzabili nel processo tributario, anzichè affermare il corretto principio secondo cui, benchè nel processo tributario non sia ammessa la prova per testi, le parti possono allegare e produrre “le dichiarazioni dei terzi le quali, non essendo annoverabili fra le prove testimoniali per difetto dei presupposti di sostanza e di forma, possono assumere la valenza di indizi e, ove supportate da circostanze ed altri elementi idonei, sono suscettibili di fondare presunzioni in presenza dei caratteri di gravità precisione e concordanza”.

Con il terzo motivo denuncia”in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa motivazione sul fatto controverso e decisivo del non intervenuto pagamento delle quote, di cui al rogito del 12 ottobre 1999, assumendo che, “qualora la CTR avesse preso in esame i documenti prodotti, avrebbe dovuto affermare l’insussistenza del fatto controverso, negando al contempo qualsiasi presupposto impositivo in capo ad essi ricorrenti”.

I tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente legati, sono in parte infondati ed in parte inammissibili.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. n. 21442 del 2014) come “il D.P.R. n. 600 del 1973, all’art. 38 disciplina, fra l’altro, com’è noto, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991 e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cìoè quelle – di solito elevate sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare

durevolmente il patrimonio del contribuente.

Resta salva, in ogni caso, ai sensi dell’art. 38 cit., comma 6 la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013). Tra le prove contrarie è ammessa, per quanto qui direttamente rileva, anche quella che il versamento degli importi contestati non è avvenuto e che, quindi, non sussiste una reale disponibilità economica, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto in questione natura simulata: questa Corte ha già affermato, al riguardo, in fattispecie di spese per acquisto di immobili, che è consentito al contribuente dimostrare che manca una disponibilità patrimoniale in quanto il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita, anzichè quella onerosa apparente (Cass. n. 8665 del 2002 e n. 5991 del 2006)”.

Una prova siffatta i contribuenti non hanno fornito.

Il Giudice d’appello ha infatti rilevato come l’ufficio aveva agito in base a quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 “legittimamente stimando che la manifestazione di una notevole capacità di spesa, sia pure desumibile da un solo elemento certo quale il contratto in esame, creasse in favore del fisco una presunzione di esistenza di maggior reddito rispetto a quanto dichiarato, spostandosi conseguentemente a carico dei contribuenti l’onere della prova contraria. Che non è stata data, perchè l’abbondante documentazione bancaria e quella pertinente il tenore di vita dei contribuenti con le dichiarazioni testimoniali (non utilizzabili nel processo tributario) non escludono che il pagamento delle quote sia avvenuto utilizzando altri canali”.

E’ perciò in parte infondato e in parte inammissibile il primo motivo, che presuppone che la prova della simulazione del contratto sia stata data, circostanza invece esclusa, nei termini appena visti, dal giudice di merito.

Ed è infondata la denuncia del vizio di omessa motivazione sul non intervenuto pagamento delle quote formulata col terzo motivo, perchè la sentenza della CTR spiega compiutamente la ragione per cui non risulta provata tale circostanza.

Quanto al secondo motivo, questa Corte ha affermato che nel processo tributario “anche al contribuente, oltre che all’Anninistrazione finanziaria, deve essere riconosciuta – in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 Cost. – la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale (nella fattispecie, dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate dal giudice – non potendo costituire da sole il fondamento della decisione – nel contesto probatorio emergente dagli atti” (Cass. n. 20028 del 2011).

Nel caso in esame il giudice di merito ha escluso che le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà pertinenti “il tenore di vita dei contribuenti” se configurate come dichiarazioni testimoniali fossero utilizzabili nel processo tributario; le ha nondimeno valutate, concludendo che, insieme con “l’abbondante documentazione bancaria” non escludeva che il pagamento delle quote fosse avvenuto utilizzando altri canali.

La motivazione della sentenza sulla valenza delle dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale andrà dunque corretta nel senso indicato nel principio di cui alla massima che precede.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 7.000, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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