Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13559 del 01/07/2016

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2016, (ud. 04/02/2016, dep. 01/07/2016), n.13559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17595-2014 proposto da:

T.M., S.F., S.L., S.

E., TA.FI., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

SISTINA, 121, presso lo studio dell’avvocato GRETA ZOGRAFAIU,

rappresentati e difesi dall’avvocato FABRIZIO FABIANI giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. R.G. 376/2013 V.G. della CORTE d’appello di

GENOVA del 19/12/2013, depositata il 14/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto reso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter la Corte d’appello di Genova respingeva l’opposizione proposta da T.M., S.F., S.L., S.E. e TA.Fi. avverso il decreto di inammissibilità emesso dal medesimo ufficio nei confronti dei Ministero della giustizia. A sostegno della pronuncia, la circostanza che la domanda era stata proposta il 4.7.2013, e dunque prima del passaggio in giudicato, non ancora emessa una pronuncia definitiva nel giudizio presupposto, come ammesso dagli stessi ricorrenti. Di qui l’inammissibilità della domanda.

Per la cassazione di tale decreto ricorrono la T., i S. ed il TA. sulla base di un unico motivo.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l’unico motivo i ricorrenti deducono la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, par. 1 della Convenzione EDU quanto all’interpretazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 operata dalla Corte distrettuale non condivisibile, in quanto detta norma recita che la domanda d’equa riparazione “può”, e non già “deve” essere proposta entro il termine di sei mesi dalla definitività del provvedimento emesso nel giudizio presupposto.

I a censura è manifestamente infondata.

Premesso che la L. n. 89 del 2001, art. 4 nel testo attualmente vigente, prevede che “La domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva”, per cui è stata definita l'(in)ammissibilità della domanda con riferimento alla conoscenza della parte dell’esistenza del provvedimento idoneo a definire il giudizio (presupposto), la lettura della norma invocata dai ricorrenti propone una questione di legittimità costituzionale già esaminata dalla Corte costituzionale.

Quest’ultima con sentenza n. 30/14 ha dichiarato “inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. d), (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 1, comma 1), impugnato, in riferimento all’art. 3 Cost., art. 111 Cost., comma 2, e art. 117 Cost., comma 1, (quest’ultimo in relazione all’art. 6, par. 1, CEDU, nella parte in cui – sostituendo la L. n. 89 del 2001, art. 4 – preclude la proposizione della domanda di equa riparazione durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume verificata. Infatti, l’intervento additivo invocato dal rimettente – consistente nell’estensione della fattispecie relativa all’indennizzo conseguente al processo tardivamente concluso a quella caratterizzata dalla pendenza del giudizio – non è possibile, sia per l’inidoneità dell’eventuale estensione a garantire l’indennizzo della violazione verificatasi in assenza della pronuncia irrevocabile, sia perchè la modalità dell’indennizzo non potrebbe essere definita “a rime obbligate”, a causa della pluralità di soluzioni normative in astratto ipotizzabili a tutela del principio della ragionevole durata del processo. Sotto il primo profilo, la L. n. 89 del 2001, condizionando l’an ed il quantum dell’indennizzo, finisce per conformare in modo peculiare il diritto risarcitorio, riconoscendolo solo all’esito del processo presupposto, prevedendo condizioni irrealizzabili con riguardo alla fattispecie di cui si vorrebbe parificare la disciplina. Sotto il secondo profilo, la CEDU, pur accordando allo Stato aderente ampia discrezionalità nella scelta del rimedio interno per la garanzia della ragionevole durata del processo, esige, qualora si opti per la tutela risarcitoria, che detta discrezionalità rispetti il limite dell’effettività del rimedio stesso.

Sotto tale aspetto la legislazione nazionale risulta carente e non sarebbe tollerabile, quindi, l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al riscontrato “vulnus”.

Pertanto, la L. n. 89 del 2001, art. 1 permane legittimo sia pure ad tempus, essendone rimessa al solo legislatore la riscrittura.

TI ricorso va dunque respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 500,00, oltre a spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 4 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2016

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