Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13558 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. I, 20/05/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 20/05/2019), n.13558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14214/2018 proposto da:

A.R., rappresentato e difeso dall’avvocato Michele Cipriani,

del foro di Firenze presso cui è elettivamente domiciliato, giusta

procura a margine dell’atto di costituzione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1124/2017 della Corte d’appello di Ancona,

depositata il 03/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/04/2019 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata 3.8.2017, la Corte d’Appello di Ancona ha confermato il rigetto delle domande di protezione internazionale proposte da A.R., cittadino (OMISSIS), il quale aveva narrato di appartenere ad un gruppo etnico (OMISSIS), di religione sciita, e di aver lasciato il suo paese – in cui vivono i suoi genitori, due fratelli e due sorelle – perchè la famiglia della propria fidanzata, contraria al legame, dopo aver scoperto la gravidanza della stessa, lo aveva minacciato ed aveva torturato il proprio padre per due giorni, così costringendolo a fuggire.

La Corte ha ritenuto che la migrazione si fondava su di una vicenda privata, non supportata da idonea documentazione, e non già su di una situazione di pericolo oggettivo riguardante il (OMISSIS), ed ha, quindi, escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in assenza di situazioni di conflitto nella zona di origine del richiedente, e della protezione umanitaria, ritenendo indimostrate specifiche situazioni soggettive, tali da giustificarne la concessione.

Ricorre il richiedente sulla base di tre motivi. L’Amministrazione ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha, infine, depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Il giudizio non deve essere vincolato esclusivamente ai motivi di opposizione ma comporta un completo riesame della domanda presentata in sede amministrativa sia con riferimento al riconoscimento dello status di rifugiato che in ordine alla protezione sussidiaria o al rilascio di un permesso sostenuto da ragioni umanitarie o da obblighi internazionali e costituzionali diversi da quelli dell’art. 3 CEDU. Il ricorrente afferma che sarebbe opportuno che la valutazione degli atti persecutori sia compiuta dall’autorità adita, ancorchè incomba direttamente sull’istante il relativo onere probatorio.

2. Il motivo è inammissibile: esso non incontra alcuna statuizione dell’impugnata sentenza, nè consta che il richiedente abbia introdotto nel processo allegazioni diverse o ulteriori rispetto a quelle contenute in seno alla domanda di protezione presentata, ed a fortiori, che tali allegazioni non siano state considerate.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione internazionale”. La decisione, afferma il ricorrente, si basa sulla risalente circolare n. 346 del 2014 del Ministero dell’Interno, che richiama l’informativa dell’UNCHR, che, tuttavia, impone di sospendere i rimpatri forzati verso la zona di paese, qui rilevante, per tutti coloro che hanno ricevuto un diniego di protezione internazionale.

4. Col terzo motivo, si censura il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria. Il ricorrente afferma che il concetto di conflitto armato deve essere desunto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE, secondo cui è sufficiente che gli scontri generino un livello di violenza tale per cui la popolazione corra il rischio effettivo di subire minacce gravi ed individuali alla vita. Il governo (OMISSIS), prosegue il ricorrente, non è capace di mantenere l’ordine pubblico e garantire la sicurezza ed il rispetto dei diritti fondamentali della persona, essendo esso stesso responsabile “di azioni repressive, quali torture, esecuzioni extrapenali, sparizioni, con l’intento di contenere i focolai ed individuare i ribelli”

5. I due motivi, da valutarsi congiuntamente, sono in parte infondati ed in parte inammissibili. Dalla sentenza non emerge, infatti, che la decisione sia scaturita dall’esame della circolare sopra menzionata, e la conclusione circa l’insussistenza del conflitto armato di gravità tale da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, citata nel ricorso, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018) non risulta efficacemente contrastata dal ricorrente, che fa piuttosto riferimento ad instabilità politica o a pratiche di tortura ed a violazione di diritti umani degli avversari politici del governo, di cui non ha narrato nel suo racconto, che, come si è detto, è stato sussunto nell’orbita di una vicenda privata.

6. Con il quarto motivo, si censura il rigetto della statuizione volta al riconoscimento della protezione umanitaria. Il ricorrente, che evidenzia come gli Stati abbiano il dovere di offrire protezione agli stranieri ogni qualvolta vi sia l’urgenza di proteggere un diritto fondamentale dell’individuo, senza la possibilità di bilanciare il diritto dello straniero con altri interessi confliggenti sia pure per esigenze di sicurezza dello Stato, afferma che, ove rimpatriato, si troverebbe privo di risorse economiche, con una scarsa istruzione e senza famiglia su cui poter contare nonchè senza prospettive in un contesto sociale caratterizzato da instabilità e insicurezza, essendo, invece, riuscito a reperire nel territorio nazionale un contratto di lavoro a tempo indeterminato con la qualifica di operaio presso una Società con sede a Prato.

7. Premesso che la disciplina di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, che ha, tra l’altro, sostituito la disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande proposte come nella specie, prima della sua entrata in vigore, che vanno valutate al lume della disciplina preesistente (Cass. n. 4890 del 2019), la censura è infondata.

8. Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, prevede il rilascio del permesso di soggiorno, allorchè ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano; il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, lett. c ter ne regola il rilascio da parte della Questura, e il D.P.R. n. 394 cit., art. 28, lett. d), che ne disciplina la concessione nei casi, stabiliti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in cui non possa disporsi l’allontanamento verso un altro Stato a cagione del rischio di persecuzioni o torture, in attuazione del principio del non-refoulement sancito dall’art. 19, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. E’ poi nozione ricevuta che la protezione umanitaria costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia, per garantire le situazioni, da individuare caso per caso, nelle quali, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non possa disporsi tuttavia l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 4455 del 2018; n. 23604 del 2017; n. 15466 del 2014, n. 26566 del 2013). Nella specie, il ricorrente non contesta direttamente la conclusione – che peraltro, attiene ad un incensurabile apprezzamento di fatto – della sentenza impugnata, secondo cui non è ravvisabile alcuna specifica vulnerabilità, nè deduce quale situazione sarebbe stata in tesi pretermessa, tenuto conto che tale elemento deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, dovendo, da ultimo rilevarsi che l’inserimento lavorativo del richiedente in Italia non è in sè sufficiente, in assenza di una situazione di vulnerabilità che va sempre riconnessa al rischio di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018 cit.).

9. Il Collegio deve, poi, rilevare che le ulteriori censure (in tema di dovere di cooperazione istruttoria della Corte circa la situazione del Punjab) svolte in seno alla memoria a firma del nuovo procuratore del ricorrente sono inammissibili, essendo, com’è noto, l’oggetto del presente giudizio definitivamente fissato in seno all’atto che lo ha introdotto, id est in seno al ricorso, ed essendo la memoria di cui all’art. 378 c.p.c. esclusivamente volta ad illustrare le doglianze che siano state tempestivamente svolte nel ricorso e non anche ad introdurne di nuove. Va piuttosto disposta la correzione della data di nascita del ricorrente che risulta nato il 1 gennaio 1989 e non già il 13 gennaio 1989.

10. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Deve, infine, darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. La declaratoria va resa a prescindere dalla circostanza che nella specie risulta dal ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato (che, in tesi, potrebbe esser revocato). Il Collegio reputa, infatti, di dover dare seguito alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9661 del 2019) secondo cui “ai fini dell’adozione del provvedimento di cui all’art. 13, comma 1-quater, rileva il solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia che ne determina il presupposto, senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte”, e considerato che il recupero nei confronti della parte ammessa al patrocinio è previsto, esclusivamente, nelle ipotesi di revoca del patrocinio o nelle ipotesi normativamente previste di rivalsa (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 134).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna alle spese, che si liquidano in Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito. Dispone la correzione della data di nascita del ricorrente nel senso che laddove è scritto “13.01.1989” debba invece leggersi ed intendersi “01.01.1989”.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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