Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13557 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. I, 20/05/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 20/05/2019), n.13557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13395/2018 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Cognini,

presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Jesi (An) Corso

Matteotti n. 69/b, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1523/2017 della Corte d’appello di Ancona,

depositata il 18/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/04/2019 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 18/10/2017, la Corte d’Appello di Ancona, in accoglimento del gravame proposto dal Ministero dell’Interno, ha respinto le domande di protezione internazionale proposte da A.A., cittadino (OMISSIS), il quale aveva narrato che un proprio fratello, inserito in una scuola coranica, era stato ucciso come martire, senza che la polizia, alla quale il fatto era stato denunciato, avesse fatto nulla nei confronti della scuola; aveva aggiunto che un gruppo armato aveva attaccato la sua abitazione, uccidendo lo zio e minacciando la moglie di prendere i suoi figli se non si fosse arruolato; riferendo, poi, di esser stato ferito con arma da fuoco alle gambe e alla testa ed, uscito dal coma, su suggerimento della moglie, aveva, infine, lasciato il paese.

Dopo aver rilevato che, in primo grado, il Ministero dell’Interno non era costituito, la Corte ha, anzitutto, ritenuto ammissibile il gravame, proposto con atto depositato l’11.10.2016 nel termine semestrale, non essendo la comunicazione dell’ordinanza, effettuata il 3.8.2016 alla commissione territoriale, idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, e lo ha, poi, ritenuto fondato nel merito, ritenendo generico ed incongruente il racconto del richiedente. La Corte ha, quindi, escluso la sussistenza dei presupposti sia per il riconoscimento dello status di rifugiato, non emergendo dalla stessa narrazione l’esistenza di motivi di persecuzione, sia della protezione sussidiaria in assenza di situazioni di conflitto nella zona di origine del richiedente, sia della protezione umanitaria, ritenendo indimostrate specifiche situazioni soggettive, tali da giustificarne la concessione.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso il richiedente sulla base di sei motivi, ai quali l’Amministrazione ha replicato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, deducendo la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, commi 9 e 10 il ricorrente censura la ritenuta ammissibilità del ricorso. La Corte di Appello, lamenta il ricorrente, non ha considerato che l’ordinanza è comunicata alle parti a cura della cancelleria, ed ha errato nell’estendere a tale comunicazione i principi di diritto che attengono esclusivamente alle procedure di notifica.

2. Il motivo è infondato. Esso non considera che la comunicazione da parte della cancelleria, da cui, in effetti decorre il termine di trenta giorni per la proposizione del gravame, non è stata effettuata al Ministero dell’Interno, ma alla Commissione territoriale, che costituisce un organo deputato alla valutazione amministrativa dell’istanza di protezione internazionale, al cui esito emette un provvedimento amministrativo, non anche parte del relativo giudizio d’impugnazione. Ne consegue che l’impugnazione entro il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. deve ritenersi tempestiva.

3. Col secondo ed il terzo motivo, che il ricorrente svolge congiuntamente, si lamenta, rispettivamente: a) la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per motivazione apparente e per mancanza della motivazione, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; art. 429 c.p.c., comma 1 e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 e 2 e art. 111 Cost., comma 6; b) la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 13, comma 1 bis e art. 15, comma 1. Violazione dei criteri di conduzione e gestione dell’esame del richiedente. I profili motivazionali della sentenza, afferma il ricorrente, risultano chiaramente apparenti, privi di contenuto minimo argomentativo in grado di integrare una reale motivazione delle determinazioni assunte, ed, inoltre, la Corte di Appello avrebbe dovuto motivare specificamente in ordine alle argomentazioni difensive articolate nel ricorso e nella memoria di costituzione in appello, e spiegare le ragioni per le quali tali deduzioni avrebbero dovuto ritenersi infondate. Il ricorrente afferma, inoltre, che, per difficoltà emotive e linguistiche, il richiedente non è in grado di esporre compiutamente la sua vicenda: per questo è importante il ruolo dell’esaminatore, il quale, attraverso domande mirate, deve porre il richiedente nella condizione di narrare i fatti posti a fondamento della richiesta di protezione e di comprendere i dubbi insorti nello stesso esaminatore, così da poterli dissipare. Il ricorrente aggiunge che la mancanza di motivazione sussiste, anche, per la parte relativa al rigetto della protezione umanitaria, nella cui valutazione il giudice della protezione internazionale può apprezzare le medesime circostanze sulla base delle quali ha escluso il riconoscimento delle due misure maggiori.

5. Con il quarto, quinto e sesto motivo, anch’essi svolti congiuntamente, il ricorrente denuncia, rispettivamente: i) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 9, comma 2, art. 13, comma 1 bis e art. 27, commi 1 e 1 bis e art. 16 direttiva2013/32/UE. Violazione dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria. Violazione del diritto di integrazione, rettifica, precisazione della richiesta di protezione. Violazione dell’art. 116 c.p.c. ovvero del criterio del prudente apprezzamento della componente probatoria; ii) la violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,comma 3 e art. 9, comma 2; iii) l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti. In particolare, il ricorrente lamenta che l’esame del caso non è stato congruo e non è stato rispettato l’obbligo per il giudice di valutare l’interezza della narrazione ed il relativo scrutinio alla luce dei rigorosi dispositivi di legge. In merito alla protezione sussidiaria, infatti, il giudice d’appello non solo ha omesso di dar conto delle argomentazioni svolte nel ricorso introduttivo e nelle successive memorie con cui si era illustrato, attraverso richiami a fonti internazionali di informazione, il contesto generale che caratterizza il Pakistan, ma ha anche omesso di intraprendere la dovuta indagine conoscitiva, confinando la propria riflessione all’interno di considerazioni apodittiche ed erroneamente affermando che la genericità del racconto ne aveva precluso la valutazione rispetto alle condizioni generali del Paese di origine, quando, invece, tale analisi avrebbe dovuto esser condotta facendo riferimento a riscontri e strumenti conoscitivi esterni al narrato del richiedente, tanto che un eventuale riconoscimento della protezione sussidiaria potrebbe persino prescindere dalla credibilità della vicenda posta a fondamento della richiesta di protezione.

Anche in riferimento ai presupposti per il riconoscimento della tutela umanitaria la statuizione di rigetto si fonda sull’erronea asserita mancanza di specifiche allegazioni da parte del richiedente, senza considerare che la vicenda narrata contiene già in sè il riferimento a condizioni e fatti potenzialmente idonei ad integrare i presupposti della tutela umanitaria. Il ricorrente lamenta, infine, che è stata omessa la valutazione di fatti decisivi ed, in particolare, della documentazione medica attestante la presenza di lesioni da arma da fuoco sul suo corpo.

6. I motivi, tra loro connessi, sostanzialmente censurano, in riferimento al rigetto della protezione sussidiaria ed umanitaria, sotto svariati profili, la valutazione di non credibilità soggettiva del richiedente, e la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria che incombe sull’ufficio. Essi sono infondati.

7. La Corte territoriale ha escluso la credibilità soggettiva del richiedente in modo conforme ai criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c), avendo ritenuto il suo racconto intrinsecamente inattendibile, non solo per la ritenuta genericità o perchè egli non aveva spiegato le ragioni per le quali non si era rivolto all’Autorità del suo Paese o non aveva saputo fornire spiegazioni sulle modalità di reclutamento a parte dei talebani, elementi criticati dal ricorrente, ma anche perchè egli aveva “dichiarato di appartenere al gruppo dei Kaladamm, cioè allo stesso gruppo cui ha poi attribuito gli atti di violenza e minaccia nei suoi confronti” e nei confronti dei suoi familiari. Su tale aspetto, di particolare valore nella valutazione della congruità e genuinità del racconto, il ricorrente tace, limitandosi inammissibilmente a censurare per la prima volta in questa sede di legittimità – e senza, peraltro, alcun appiglio concreto – le modalità di conduzione del colloquio da parte della Commissione territoriale riferita agli altri aspetti. In parte qua, la sentenza, adeguatamente motivata, resiste, dunque alle critiche del ricorrente, dovendo, poi rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte ed in riferimento ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 871 del 2017).

8. Diverso è il caso in cui viene in rilievo la “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Ed, infatti, in base alle indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave ai fini in esame (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, citata nel ricorso, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018). Nella specie, il giudice del merito ha escluso che nel Paese di provenienza sussista siffatto tipo di violenza indiscriminata (sulla base del rapporto EASO già richiamato dalla Commissione territoriale) e tale accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può esser censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e ciò non è stato fatto, in quanto il ricorrente si limita a richiamare indistintamente fonti diverse che avrebbe allegato in sede di merito, ma neppure specifica quali esse siano e cosa riportino, così richiedendo a questa Corte un inammissibile giudizio di merito. Resta da aggiungere che la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e per motivazione inesistente o apparente non è ravvisabile, tenuto conto che la violazione dell’art. 112 c.p.c. è utilmente predicabile nelle ipotesi, qui non ricorrenti, di mancata valutazione di una domanda o un’eccezione o di un motivo d’appello, e che, pur succintamente argomentata, la sentenza dà conto, nel senso sopra esposto, dell’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione richiesta.

9. In riferimento alla protezione umanitaria, va, anzitutto, rilevato che la disciplina di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, che ha, tra l’altro, sostituito la disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande proposte come nella specie, prima della sua entrata in vigore, che vanno valutate al lume della disciplina preesistente (Cass. n. 4890 del 2019). Nel merito, le censure sono infondate. Se è, bensì, vero che le stesse ragioni addotte possono essere apprezzate in funzione del rilascio di tale titolo di permesso di soggiorno, è anche vero che la protezione umanitaria costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia, per garantire le situazioni, da individuare caso per caso, nelle quali, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non possa disporsi tuttavia l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 4455 del 2018; n. 23604 del 2017; n. 15466 del 2014, n. 26566 del 2013). Proprio a tali situazioni di vulnerabilità, e non già ai fini di un’illegittima codificazione, ha fatto riferimento la Corte territoriale nell’elenco esemplificativo dei casi in cui si è ritenuto sussistere i presupposti della protezione umanitaria, ed il ricorrente non espone quale sia la sua specifica vulnerabilità, che va sempre riconnessa al rischio di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018 cit.).

10. Le spese vanno compensate tra le parti (cfr. Corte Cost. n. 77 del 2018) tenuto conto della seguente ragione: pur formalmente riferito al ricorso proposto ex adverso, il controricorso svolge difese in massima parte ad esso non congruenti (riferite al D.Lgs. n. 25 del 2008, nuovo art. 35 bis) e, per il resto, totalmente generiche,

11. Deve, poi, darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. La declaratoria va resa a prescindere dalla circostanza che nella specie risulta dal ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato (che, in tesi, potrebbe esser revocato). Il Collegio reputa, infatti, di dover dare seguito alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9661 del 2019) secondo cui “ai fini dell’adozione del provvedimento di cui all’art. 13, comma 1-quater, rileva il solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia che ne determina il presupposto, senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte”, e considerato che il recupero nei confronti della parte ammessa al patrocinio è previsto, esclusivamente, nelle ipotesi di revoca del patrocinio o nelle ipotesi normativamente previste di rivalsa (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 134).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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