Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13556 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. I, 20/05/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 20/05/2019), n.13556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13135/2018 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Mazzini 8

presso lo studio dell’Avvocato Salvatore Fachile, rappresentato e

difeso dall’avvocato Daniele Valeri, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1590/2017 della Corte d’appello di Ancona,

depositata il 14/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/04/2019 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 1590/2017 la Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione con cui il Tribunale della medesima città aveva rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da O.M., cittadino nigeriano, il quale aveva narrato di esser stato cacciato dal suo villaggio a causa della scoperta della sua omosessualità, e di esser ricercato dalla polizia a causa delle denunce presentate a suo carico per tale ragione.

La Corte ha ritenuto il racconto del richiedente inattendibile e poco credibile, ha quindi ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, e del pari insussistente, e comunque non adeguatamente provato, il pericolo che il ricorrente potrebbe subire qualora ritornasse nel paese di origine: la Nigeria non risulta essere connotata da situazioni di conflitto armato o preda di situazioni di anarchia e caos indiscriminato, nè sono state dimostrate specifiche situazioni soggettive, tali da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno umanitario.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero sulla base di sei motivi. Non ha svolto difese l’Amministrazione intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA ECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione art. 1 convenzione di Ginevra, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8. La Corte di Appello ha erroneamente ritenuto l’omosessualità estranea al novero dei motivi di persecuzione che possono determinare il riconoscimento dello status di rifugiato. Non ha, dunque, considerato che la presenza di norme penali riguardanti in modo specifico le persone di un certo orientamento sessuale consente di affermare che l’insieme di tali individui costituisca un determinato gruppo sociale. Ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del paese di provenienza è rilevante, prosegue il ricorrente, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione internazionale richiesta. In Nigeria è in vigore il Same Sex Marriage Prohibition Act, il quale punisce con 14 anni di carcere chi contrae matrimonio o convive con una persona dello stesso sesso.

2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La Corte di Appello di Ancona non si è affatto conformata ai criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 4 e 5, dettati per la valutazione della credibilità del richiedente, nè ha tenuto in considerazione le linee guida elaborate a tal fine dall’UNHCR con precipuo riferimento all’esame delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato fondate sull’orientamento sessuale e/o identità di genere. La Corte di Appello, sulla base di quanto affermato dalla Commissione, ha ritenuto inattendibile il dichiarato orientamento sessuale in quanto il richiedente non avrebbe lasciato trapelare nulla del suo vissuto emotivo ed emozionale sebbene più volte sollecitato. Tanto è erroneo, in quanto, alla sollecitazione di spiegare cosa significasse la parola gay, il ricorrente ha più volte affermato che volesse dire che due persone dello stesso sesso hanno rapporti insieme e che per lui è “più perfetto” incontrare un uomo che una donna. Il giudice avrebbe dovuto sciogliere i dubbi ricorrendo ai poteri-doveri officiosi di indagine ed attivandosi in tal senso nella ricerca di tutti gli elementi ritenuti necessari ai fini del decidere.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. In presenza di una legislazione omofoba, afferma il ricorrente, avrebbe dovuto esser accertata da parte della Corte di Appello la situazione delle carceri in Nigeria e avrebbe, dunque, dovuto riconoscersi, come avvenuto in fattispecie del tutto analoghe (Trib. Milano del 26/10/2016), la sussistenza dei presupposti per la tutela sussidiaria, che, invece, gli era stata erroneamente rifiutata. Sotto altro profilo, il ricorrente afferma che tutta la Nigeria, secondo le fonti internazionali, è interessata da una situazione di violenza generalizzata e diffusa come evidenziato recentemente anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. L’Aquila del 17 gennaio 2018). Ed, infatti, dal settembre 2016 le forze di polizia hanno reso noto che Boko Haram, i cui attacchi terroristici sono oggi concentrati nel nord-est del paese, sta pianificando di allargare le proprie azioni all’intero Paese, che, in tutto il suo territorio, presenta, dunque, condizioni di pericolo derivante da una violenza diffusa che non accenna a spegnersi, e che è fuori dal controllo del Governo. Ed in proposito la Corte ha erroneamente omesso qualsiasi attività istruttoria.

4. I primi due motivi, da valutarsi congiuntamente, sono infondati, anche se va corretta la motivazione.

5. Secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte: a) la circostanza che l’omosessualità sia considerata come reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza del richiedente asilo costituisce, di per sè sola, una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di pericolo, tale da giustificare la concessione della protezione internazionale (Cass. n. 4522/2015); b) tale violazione di un diritto fondamentale, sancito dalla nostra Costituzione, dalla C.E.D.U. e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, vincolante in questa materia, si riflette, automaticamente, sulla condizione individuale delle persone omosessuali ponendole in una situazione oggettiva di persecuzione, rilevante, appunto, ai fini della protezione richiesta (Cass. n. 15981 del 2012).

6. Se, a tale stregua, l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui il timore di subire atti di persecuzione in ragione della omosessualità “è del tutto estranea all’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8”, è giuridicamente erronea, tanto non giova al richiedente, in quanto lo stesso non è stato ritenuto credibile in relazione alla sua dichiarata omosessualità, e tale valutazione, contrariamente a quanto si opina in seno al ricorso, risulta effettuata dalla Corte d’Appello in conformità dei parametri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in quanto il giudice del merito ha ritenuto, considerando nella sua interezza le dichiarazioni rese, intrinsecamente inattendibile e contraddittorio il racconto dello straniero (per l’incongruità temporale della denuncia sporta a suo carico dagli abitanti del suo villaggio, per la segretezza della sua condizione di omosessuale contrastante col suo parlarne con estranei, nella Città di Kano). In parte qua, la sentenza resiste, dunque, alle critiche del ricorrente, dovendo, poi, rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte ed in riferimento ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018).

7. Diverso è il caso in cui viene in rilievo la “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Ed, infatti, in base alle indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave ai fini in esame (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, citata nel ricorso, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018). Nella specie, il giudice del merito ha escluso che nel Paese di provenienza sussista siffatto tipo di violenza indiscriminata in modo del tutto generico e così incorrendo nella violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che, nei giudizi di protezione internazionale impone alla Commissione territoriale ed al giudice l’esame officioso della situazione generale esistente nel Paese di origine del cittadino straniero, il che, a sua volta, comporta che occorra dar conto delle specifiche fonti di informazione consultate.

6. A tanto provvederà il giudice del rinvio, che svolgerà l’esame in riferimento alla zona della Nigeria da cui il richiedente è fuggito, restando assorbiti i restanti motivi (con cui il ricorrente ha censurato la violazione o falsa applicazione D.Lgs. n. 251 del 2001, art. 8 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ed il mancato riconoscimento della protezione umanitaria), e provvederà a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo nei sensi di cui in motivazione, assorbiti gli altri, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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