Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13556 del 01/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 01/07/2016, (ud. 19/02/2016, dep. 01/07/2016), n.13556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23808-2014 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FAUSTO

MUSCUSO giusta procura a margine del ricorso (ammesso G.P.);

– ricorrente –

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 413/2013 V.G. della CORTE D’APPELLO di MESSINA

del 7/02/2014, depositato il 25/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Muscuso Fausto difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO

Con Decreto del 25./2014 la Corte d’appello di Messina rigettava l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter proposta da A. M. contro il decreto emesso dalla stessa Corte ai sensi dell’art. 3 detta legge, col quale era stata dichiarata inammissibile la domanda di equa riparazione relativa ad una causa civile svoltasi innanzi al Tribunale e alla Corte d’appello di Catania dal 1993 al 2012. A base della decisione, che inoltre condannava l’opponente alle spese, la circostanza che il ricorso per equa riparazione era stato depositato il 19.9.2013, e dunque prima che la sentenza emessa il 20.9.2012 dalla Corte d’appello di Catania nel eiudizio presupposto fosse passata in giudicato, ritenendo applicabile ratione temporis l’art. 327 c.p.c., comma 1 nel testo anteriore alla modifica apportatavi dalla L. n. 69 del 2009.

Per la cassazione di tale decreto Maurizio Alberto propone ricorso, affidato a due motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente va esaminata l’eccezione, formulata dalla parte ricorrente con la memoria ex art. 378 c.p.c., di difetto di notifica del controricorso, essendo stata effettuata quest’ultima a mezzo posta presso lo studio del difensore e non tramite PEC, come invece avrebbe dovuto essere ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis non avendo detto difensore eletto domicilio in Roma.

1.1. – L’eccezione è manifestamente infondata.

Sebbene nel giudizio di cassazione, a seguito dell’entrata in vigore della L. 12 novembre 2011, n. 183 (avvenuta il 1 gennaio 2012), la notifica del controricorso al difensore che non abbia eletto domicilio in Roma deve essere effettuata, a pena di nullità, all’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato all’ordine professionale ed indicato in ricorso, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, la nullità non può essere dichiarata ove la notificazione abbia raggiungimento lo scopo, che si realizza mediante il compimento dell’atto processuale successivo, ossia il deposito della memoria ex art. 378 c.p.c. (in una fattispecie analoga, in cui il ricorrente aveva eletto domicilio fuori Roma, la sanatoria della nullità è stata affermata da Cass. n. 13857/14).

Il tutto non senza rimarcare che la notificazione al difensore presso il suo studio professionale è perfetto equipollente di quella effettuata a mezzo PEC, coincidendo in entrambi i casi l’elemento personale e non rilevando nel secondo quello topografico.

2. – Col primo motivo è dedotta la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4.

Parte ricorrente premette in punto di fatto di aver ottenuto dalla cancelleria della Corte d’appello di Catania l’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza, emessa all’esito del processo presupposto, decorso il termine di sei mesi di cui al nuovo testo dell’art. 327 c.p.c., e non quello di un anno e 46 gg. ai sensi del testo di detta norma anteriore alla modifica apportatavi dalla L. n. 69 del 2001. In ragione di ciò lamenta che il decreto impugnato non abbia motivato sul rilievo del rilascio di detta certificazione da parte della cancelleria della Corte etnea.

Quindi, propone a questa Corte sia il relativo quesito sul termine ordinario d’impugnazione applicabile nella specie, sia l’eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’art. 3 Cost., art. 111 Cost., comma 2, e art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1 CEDU, richiamando espressamente la decisione n. 30/14 della Consulta. A quest’ultimo riguardo sostiene l’illegittimità della Legge Pinto, art. 4 sia nella parte in cui prevede che la domanda di equa riparazione soggiace al termine decadenziale di sei mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento che abbia definito il giudizio presupposi, sia laddove non ammette che la domanda ex lege n. 89 del 2001 possa essere proposta prima che la decisione resa in detto giudizio sia divenuta definitiva.

2. – Il motivo non ha pregio.

2.1. – Quanto al primo aspetto, la censura disattende senza alcuna argomentazione di contrasto i precedenti di questa Corte, secondo cui in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. n. 69 del 2009, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1 predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. nn. 19969/15, 15741/13 e 6007/12).

2.2. – L’eccezione d’illegittimità costituzionale, poi, è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondata.

2.2.1. – E’ inammissibile per difetto di rilevanza lì dove denuncia l’illegittimità della L. n. 89 del 2001, art. 4 nella parte in cui prevede che la domanda di equa riparazione debba essere proposta entro il termine di decadenza di sei mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento che abbia definito il giudizio presupposto, atteso che nella specie la domanda è stata respinta non perchè tardiva ma in quanto avanzata anticipatamente rispetto alla definizione del giudizio di riferimento.

2.2.2. – In merito al secondo profilo di costituzionalità, questa Corte ha avuto occasione di affermare che la L. n. 89 del 2001, art. 4 laddove subordina la proponibilità della domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata di un processo alla condizione della sua preventiva definizione, non può essere disapplicato dal giudice in forza della sentenza costituzionale n. 30 del 2014, da questa evincendosi che la norma resta legittima, sia pure ad tempus, in attesa della riscrittura del legislatore (Cass. n. 20463/15).

Tale adempimento legislativo deve ritenersi realizzato con la recente L. n. 208 del 2015, che ha innovato la materia prevedendo un articolato sistema di rimedi preventivi (v. art. 1-ter) alla violazione della Convenzione, il ricorso ai quali è presupposto per azionare il procedimento d’equa riparazione (art. 1-bis, comma 2).

Tali rimedi, che intervengono a monte per impedire la stessa formazione d’un ritardo, hanno assolto al monito formulato dal richiamato precedente della Corte costituzionale e mutato il relativo quadro normativo di riferimento, nell’ambito di quella discrezionalità politica che il giudice delle leggi ha ritenuto esercitabile per adeguare l’istanza nazionale ai principi convenzionali così come elaborati dalla Corte EDU. Altra la valutazione d’efficienza concreta (peraltro ancora tutta da verificare) di tale sistema di rimedi preventivi, che non è rimessa al giudice neppure al limitato fine dello scrutinio di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità.

3. – Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per non aver la Corte territoriale compensato le spese, data la peculiarità della materia.

3.1. – Anche tale motivo è infondato.

Premesso che solo la compensazione delle spese processuali deve essere sorretta da motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato (cfr. Cass. nn. 2730/12, 1868/79 e 1432/68), va ribadito – non essendovi ragione alcuna per discostarsene – il principio, più volte affermato da questo S.C., che la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (così e per tutte, Cass. S.U. n. 14989/05).

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Il carattere sia pur parzialmente nuovo delle questioni affrontate in questa sede di legittimità giustifica la compensazione delle spese.

6. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente da pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 19 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2016

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