Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13555 del 20/06/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/06/2011, (ud. 29/04/2011, dep. 20/06/2011), n.13555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12785-2010 proposto da:

M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUCREZIO DE CARO 38, presso lo studio dell’avvocato

CANESTRELLI ROBERTO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIUDICEANDREA BONIFACIO, giusta mandato speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

H.J. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA RABIRIO 1, presso lo studio dell’avvocato DE GREGORIO

GIULIO MARIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

TSCHOLL HANSJORG, giusta procura a margine della seconda pagina del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 312/2009 della CORTE D’APPELLO di TRENTO del

24.11.09, depositata il 18/12/2009; udita la relazione della causa

svolta nella camera di consiglio del 29/04/2011 dal Consigliere

Relatore Dott. BUCCIANTE Ettore;

udito per il controricorrente l’Avvocato Giulio Maria De Gregorio che

si riporta agli scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PRATIS

Pierfelice che nulla osserva.

La Corte:

Fatto

RITENUTO

Che:

– si è proceduto nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c.;

la relazione depositata in cancelleria è del seguente tenore:

“Con sentenza del 31 gennaio 2001 il Tribunale di Bolzano – sezione distaccata di Silandro, accogliendo la domanda proposta in via principale da H.J. nei confronti di M.A., pronunciò la risoluzione per inadempimento del contratto intercorso tra le parti, avente per oggetto la costruzione di una termocucina e di una stufa nell’abitazione dell’attore; condannò il convenuto a restituire il prezzo ricevuto, pari a L. 16.370.000, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi, a rimuovere l’apparato e a risarcire il danno, liquidate nella misura di L. 1.900.000.

Adita da M.A., la Corte d’appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano, in parziale riforma della decisione di primo grado, accolse invece la domanda subordinata di riduzione del corrispettivo, proposta dall’originario attore, condannando l’appellante alla restituzione di 3.381,76 Euro, oltre agli interessi.

Su ricorso di H.J., questa Certe cassò la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Trento, per vizi della motivazione, osservando: In realtà gli argomenti addotti dal giudice di secondo grado appaiono caratterizzati da un vizio apodittico, atteso che la corte di merito non ha indicato le ragioni, in virtù delle quali ha ritenuto che i difetti lamentati dal committente non fossero tali da escludere la idoneità dell’impianto all’uso cui era destinato, determinando la percentuale di inidoneità dello stesso.

Infatti la corte distrettuale ha dato atto che l’appaltatore era disposto alla sostituzione della stufa con altra più grande, o addirittura alla risoluzione del contratto, mediante l’abbattimento dell’opera e la restituzione del corrispettivo, senza che essa avesse indicato la ragione del suo convincimento in ordine alla dedotta parziale idoneità dell’impianto, senza il supporto di un supplemento di indagine tecnicà.

La Corte d’appello di Trento, con sentenza del 18 dicembre 2009, ha definito il giudizio di rinvio confermando la decisione di primo grado.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M. A., in base a un motivo. H.J. si è costituito con controricorso.

Con il motivo addotto a sostegno del ricorso M.A. si duole di violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 384 c.p.c. – Omessa e contraddittoria motivazione e mancanza di uniformità al principio di diritto stabilito nella sentenza dd.

07.11.07 della Corte di Cassazione.

La censura appare manifestamente infondata, sotto entrambi i profili prospettati.

Quanto al primo, è sufficiente rilevare che questa Certe, nel cassare la sentenza di appello, non aveva enunciato alcun principio di diritto cui il giudice di rinvio dovesse uniformarsi, avendo riscontrato un vizio di motivazione.

Relativamente poi all’altro aspetto, va riconosciuto che nella sentenza impugnata è stato dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione, sicchè non è ravvisatile alcuna omissione l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione: in coerenza con quanto era stato osservato con la pronuncia di cassazione, si è segnalato che la carenza dell’impianto era stata implicitamente ammessa dallo stesso esecutore dell’opera tanto che già nel corso del giudizio di primo grado si era dichiarato disponibile a sostituire la stufa o a restituire il corrispettivo ricevuto e tale atteggiamento non può sfuggire all’apprezzamento di chi giudica e costituisce prova eloquente della inidoneità della stufa per l’uso per il quale era stata ordinata: inidoneità confermata dalla consulenza di parte H. con argomentazioni in fatto non certo contestati, conformi a quelle esposte dal primo dei due consulenti tecnici nominati nel corso del giudizio. Nè si può condividere l’assunto del ricorrente, secondo cui il giudice di rinvio avrebbe dovuto senz’altro disporre il supplemento di indagine tecnica menzionato nella sentenza di questa Corte: una tale indagine era stata ritenuta semmai occorrente, perchè potesse risultare giustificata l’adesione alle conclusioni formulate dal secondo consulente tecnico di ufficio (circa la non totale inidoneità dell’apparato) che erano state fatte proprie dal giudice di appello in modo apodittico, in contraddizione con le ammissioni dello stesso esecutore dell’opera. Il giudice di rinvio ha dunque correttamente svolto il compito demandatogli, consistente nel giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass. 22 aprile 2009 n. 9617).

Si ritiene quindi possibile definire il giudizio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, seconda ipotesi”. – le parti non si sono avvalse delle facoltà di cui al secondo comma dell’art. 380 bis c.p.c.; il pubblico ministero, comparso in camera di consiglio, ha concluso in conformità con la relazione;

– il collegio concorda con le argomentazioni svolte nella relazione e le fa proprie;

– il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio ai cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011

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