Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13555 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 18/05/2021), n.13555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11459-2015 proposto da:

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati EMANUELE DE

ROSE, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, GIUSEPPE

MATANO;

– ricorrenti –

contro

M.W.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1267/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 28/10/2014 R.G.N. 1267/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza del 28.10.14, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del tribunale di Ravenna del 2013 che aveva dichiarato l’illegittimità della pretesa contributiva INPS basata sulle iscrizione del M. alla gestione commercianti quale amministratore di società e condannato l’Inps a restituire quanto indebitamente ricevuto.

In particolare, la corte territoriale ha accertato che l’attività societaria riguardava concessione in locazione di immobili di proprietà e ritenuto che tale attività non fosse commerciale ai fini dell’iscrizione nella gestione suddetta.

Avverso tale sentenza ricorre l’INPS per un motivo, mentre il M. è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con unico motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -violazione della L. 662 del 1996, art. 1 commi 202 – 203 e 208 per aver escluso la natura commerciale dell’attività.

Questa Corte (tra le tante, Cass. Sez. L, Ordinanza n. 5052 del 2020. N. 3479/20, 17643/16) ha già affermato il principio, cui si intende dare continuità, secondo cui, ai fini della iscrizione nella gestione commercianti, l’attività di mera riscossione dei canoni di un immobile affittato non costituisce di norma attività di impresa, indipendentemente dal fatto che ad esercitarla sia una società commerciale (Cass. n. 3145 del 2013), salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare (Cass. n. 845 del 2010; Cass. 24.5.2018 n. 12981), e che inoltre l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti, per come sopra ricostruiti (Cass. n. 27588 del 2016). Inoltre, è stato precisato che l’onere della prova grava sull’ente che esige i contributi (Cass. n. 3835 del 2016; Cass. n. 5210 del 2017) ed esso può dirsi assolto attraverso la prova di un effettivo svolgimento di una attività di lavoro prevalente ed abituale all’interno della società, rispetto alla quale la dichiarazione del contribuente nella compilazione del modello unico può svolgere una funzione probatoria a condizione che la stessa offra gli elementi di fatto da cui sia desumibile la sussistenza effettiva dell’attività lavorativa, riguardando altrimenti la citata annotazione soltanto le pretese impositive che si fondino sui dati allegati dall’obbligato (Cass. n. 8611 del 2019; Cass. n. 19467 del 2018).

Quanto, poi, ai requisiti congiunti di abitualità e di prevalenza dell’attività di socio di società, essi sono da riferire all’attività lavorativa espletata dal soggetto considerato in seno all’impresa che costituisce l’oggetto della società, a prescindere dall’attività eventualmente esercitata in quanto amministratore, per la quale semmai ricorre l’obbligo dell’iscrizione alla gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, in modo che sia assicurato alla gestione commercianti il socio di società che si dedica abitualmente e prevalentemente al lavoro in azienda, indipendentemente dal fatto che il suo apporto sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (naturali, materiale e personali) dell’impresa (cfr. Cass. 17.7.2017 n. 17639).

Nel caso in esame, con valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha applicato correttamente i suddetti principi negando la sussistenza dell’attività prevalente ed abituale di lavoro dell’intimata.

Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

Nulla per spese, essendo la parte rimasta intimata.

Ai sensi DEL D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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