Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13555 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2903/2014 R.G. proposto da

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12

– ricorrente –

contro

Interedil s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv.

Livia Salvini dall’Avv. Elenio Bidoggia e dall’avv. ODDO Giovanni;

come da procura speciale a margine del controricorso, elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’Avv. Livia Salvini, in Roma, Via

Mazzini n. 9;

-controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 164/26/2012, depositata il 3 dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto l’appello presentato dalla Interedil s.r.l. contro gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti per gli anni 2003, 2004 e 2005, con il metodo analitico-induttivo, basato anche sulle risultanze degli studi di settore oltre che su indagini bancarie, che ha portato a due rilievi: ricavi non dichiarati per Euro 121.830,00; sopravvenienze attive non tassabili, ma non documentate per Euro 173.000,00. Il giudice di appello rilevava che gli avvisi di accertamento era basati in via esclusiva sugli studi di settore, senza però che fosse stato espletato il contraddittorio preventivo con la contribuente.

2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate. 3.Resiste con controricorso la contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto il giudice di appello ha ignorato l’unico motivo di impugnazione con cui l’Ufficio aveva lamentato l’errata individuazione da parte della commissione provinciale della corretta metodologia di accertamento applicata alla fattispecie in esame. Infatti, per la ricorrente l’accertamento è stato effettuato con il metodo analitico-induttivo, pur se muovendo dalle incongruenze emerse dalla applicazione degli studi di settore (ricavo dichiarato Euro 360.999,00 a fronte di un ricavo minimo ammissibile di Euro 514.321,00 e di un ricavo puntuale di riferimento di Euro 681.210,00), dopo la somministrazione di un questionario alla contribuente. Tali risultanze sono state corroborate con accertamenti bancari sui conti correnti della società ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32. Pertanto, la non congruità e la non coerenza dei risultati ha costituito solo la fonte d’innesco di un accertamento analitico-induttivo basato su ulteriori controlli.

1.1.Tale motivo è infondato.

Invero, il giudice di appello ha ritenuto corretta la metodologia di accertamento utilizzata dall’Agenzia delle entrate, ritenendola fondata in via esclusiva sulle risultanze degli studi di settore (“Punto focale, per la decisione della presente controversia, è quello relativo alla correttezza o meno, della metodologia seguita dall’Ufficio nella effettuazione degli accertamenti notificati. In proposito, è emerso dagli atti che nel caso di specie ha fatto difetto il contraddittorio preventivo…”).

Pertanto, vi è stata una risposta espressa negativa alla doglianza palesata con l’appello dalla Agenzia delle entrate, in quanto la Commissione regionale ha rigettato il gravame proposto dall’Ufficio.

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto l’Ufficio, non si è limitato a verificare la incongruenza emersa con l’applicazione degli studi di settore, ma ha inviato alla contribuente un questionario con la richiesta di documentazione, con l’effettuazione di successive indagini bancarie da cui è emerso che, a fronte di ricavi dichiarati per Euro 473.700,00, in realtà i versamenti sia in denaro contante (Euro 95.000,00), sia tramite assegni (Euro 500.530,00), ammontavano ad Euro 595.530,00, sicchè vi era solo una parziale corrispondenza nelle fatture di vendite emesse, con conseguente ripresa a tassazione della somma di Euro 121.830,00, a titolo di ricavi non contabilizzati e non dichiarati. La presunzione legale relativa di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ha consentito di considerare ai fini della determinazione del reddito conseguito sia i versamenti che i prelevamenti. Inoltre, sono state considerate ai fini della determinazione del reddito anche le somme relative ad “altre variazioni in diminuzione” (Euro 173.000,00), in quanto la società non ha adeguatamente dimostrato la rinuncia al “finanziamento soci”, avendo prodotto solo la scheda contabile relativa al conto “finanziamento soci” senza alcun documento giustificativo in ordine alla rinuncia al credito da parte dei soci. La variazione in diminuzione di Euro 173.000,00 è stata considerata indebitamente portata in diminuzione del reddito, proprio perchè non adeguatamente documentata. Le rinunce dei soci ai crediti non costituiscono, infatti, se documentate, sopravvenienze attive ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4. Il primo avviso di accertamento è relativo all’anno 2003 ed ha comportato il disconoscimento della perdita fiscale per Euro 169.927,00, con un maggior reddito imponibile per Euro 124.903,00, con rettifica conseguente delle dichiarazioni successive per gli anni 2004 e 2005; sicchè per l’anno 2004 era annullata la perdita del 2003, e per il 2005, era annullata la compensazione del reddito dichiarato per il 2005 con la parte della perdita riportata nel 2003 e trascritta per l’importo residuo di Euro 99.425,00.

2.1.Tale motivo è fondato.

2.2.Invero, risulta pacificamente dai documenti acquisiti e dalle allegazioni della ricorrente, non contestate in modo specifico dalla contribuente, che gli avvisi di accertamento si sono basati anche sulle risultanze degli studi di settore, che hanno costituito l’innesco per l’accertamento analitico induttivo, che si è sviluppato con le indagini sui conti correnti bancari della società ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32. Solo in tal modo è stato possibile riscontrare una divergenze tra i ricavi dichiarati e le somme relative alle movimentazioni dei conti correnti.

2.3.11 fatto che l’accertamento sia basato sullo studio di settore non esclude, dunque, che esso possa trovare anche altre giustificazioni, come nel caso di accertamenti bancari che fanno emergere una differenza cospicua tra ricavi dichiarati e movimentazioni finanziarie, sia in entrata che in uscita. Si è affermato, quindi, che un accertamento tributario può dirsi fondato su uno studio di settore solo nel caso in cui trovi in esso il suo fondamento prevalente. Ciò non si verifica quando, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, scoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, posti a fondamento dell’accertamento tributario (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31814, Cass., 6 giugno 2019, n. 15344).

2.4.Per questa Corte, a sezioni unite, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass., sez.un., 18 dicembre 2009, n. 26635).

2.5.Pertanto, poichè l’accertamento non è fondato in via esclusiva sugli studi di settore, non era necessario alcun contraddittorio preventivo con la contribuente.

3.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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