Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13554 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Lui – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2642/2014 R.G. proposto da

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12

– ricorrente –

contro

P.A., rappresentato e difeso, congiuntamente e

disgiuntamente, dall’Avv. Maria Cristina Anelli e dall’Avv. Giuseppe

Antonio Madeo, come da procura speciale in calce al controricorso,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Domenico

Condello, in Roma, Via Cardinal De Luca n. 1;

-controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 66/43/2013, depositata il 31 maggio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto da P.A., gestore di un bar e di una attività collaterale di riparazione di altri beni di consumo, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pavia che aveva rigettato il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento, emesso con il metodo analitico-induttivo, fondato anche sui risultati degli studi di settore, per l’anno 2006. L’Agenzia delle entrate aveva rideterminato i redditi in Euro 191.226,00, con maggiori ricavi per Euro 72.903,00, un reddito di impresa per l’attività di bar per Euro 101.484,00 a fronte di quello dichiarato pari ad Euro 28.581,00. In particolare il giudice di appello rilevava che il contribuente aveva tenuto scritture contabili formalmente corrette e che non era sufficiente ai fini dell’accertamento di un maggiore reddito di impresa la mera applicazione di percentuali di ricarico diverse da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza. L’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto indicare ulteriori elementi per avvalorare l’irragionevolezza della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, tenendo, però, conto del luogo di ubicazione dell’esercizio. Inoltre, il maggior ricavo accertato dall’Ufficio era superiore di circa tre volte quello risultante dallo studio di settore.

2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate. 3.Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d”, in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto che l’accertamento è stato svolto con il metodo analitico-induttivo, quindi anche (ma non solo) fondato sulla base dello studio di settore. La Commissione regionale ha effettuato una valutazione degli indizi parcellizzata e frazionata, mentre avrebbe dovuto considerarli nel loro complesso, con una valutazione globale. E sufficiente, poi, anche un solo indizio, purchè grave e preciso. Lo studio di settore ha rappresentato solo la conferma delle conclusioni cui era giunto l’Ufficio.

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto la motivazione della decisione della Commissione regionale è meramente apparente. In realtà, il giudice di appello non ha tenuto conto in alcun modo delle circostanze di fatto addotte dalla Agenzia delle entrate, costituite dalla considerevole quantità degli acquisti di merci (Euro 62.996,99), dalle spese sostenute (beni strumentali per Euro 150.000,00), dai capitali impiegati e dai lavoratori utilizzati (due persone oltre il titolare per spese pari ad Euro 19.103,00), sicchè il reddito della attività da bar era assolutamente modesto. Infatti, poichè il reddito complessivo era di Euro 28.581,00 e quello relativi alla attività collaterale (riparazione di altri beni di consumo) era di Euro 22.218,00), era irrisorio il reddito derivante dalla sola attività di bar (Euro 6.363,00).

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “insufficiente motivazione circa un fatti controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto di una serie di elementi costituiti dai capitali impiegati, con acquisti di merci per Euro 62.996,00, beni strumentali per Euro 150.000,00, utilizzo di due lavoratori per la somma di Euro 19.103,00, con una gestione antieconomica dell’impresa. Inoltre, è stata applicata ai prodotti da bar una percentuale di ricarico irrisoria. 4.Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, perchè il giudice di appello non ha dichiarato l’inammissibilità della domanda risarcitoria introdotta nel giudizio di secondo grado dal contribuente per conseguire il pagamento di danni derivanti dalla asserita ingiusta pretesa tributaria. Se dalla motivazione del giudice di appello si dovesse ritenere che vi è stato l’accoglimento della domanda di danni, vi sarebbe stata una pronuncia di accoglimento su una domanda nuova, quindi inammissibile ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

5.Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduca la “nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto, in via subordinata, si deduce che la domanda di risarcimento dei danni, ove ritenuta ammissibile, sarebbe infondata nel merito, non essendo stati indicati in motivazione i presupposti di cui all’art. 96 c.p.c., della responsabilità per lite temeraria.

6.Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto “in via ulteriormente subordinata”, ove la domanda del contribuente fosse stata avanzata per l’accertamento di una responsabilità extracontrattuale, e quindi si fondasse sulla violazione di norme sostanziali, i giudici di appello non hanno indicato la sussistenza dei presupposti nè dell’art. 96 c.p.c. nè dell’art. 2043 c.c.

7.11 secondo motivo, che va esaminato prioritariamente per ragioni logiche, è fondato.

7.1.Invero, la motivazione del giudice di appello, pur essendo presente graficamente, non reca alcun elemento concreto che consenta di ricollegarla alla fattispecie in esame, essendo talmente vaga e generica da potere essere utilizzata per qualsiasi controversia, sì da essere inficiata da nullità ai sensi dell’art. 132 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

Infatti, la motivazione che è del tutto carente anche in ordine alla indicazione dei fatti di causa, muove dall’assunto che il contribuente ha tenuto correttamente le scritture contabili. Richiama, poi, una massima giurisprudenziale, in base alla quale non è sufficiente ai fini dell’accertamento del maggiore reddito di impresa il solo rilievo dell’applicazione della percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza. Non si indica nè quale sia l’attività svolta dal contribuente, nè la percentuale di ricarico da lui applicata, nè quella ritenuta applicabile dalla Agenzia delle entrate. La Commissione regionale, poi, ritiene necessaria la sussistenza di “elementi ulteriori, gravi precisi e concordati” per “avvalorare l’irragionevolezza della percentuale di ricarico applicata dal contribuente. Aggiunge che deve tenersi conto del luogo di ubicazione dell’esercizio, ovviamente non indicato. Termina il ragionamento con la deduzione che “emerge dagli atti che il maggior ricavo accertato induttivamente dall’Ufficio è superiore di circa tre volte rispetto a quello risultante dallo studio di settore”; anche in questo caso senza alcun riferimento ai dati contabili e senza tenere conto che un accertamento analitico-induttivo, fondato anche sugli studi di settore, può comportare un aumento notevole dei redditi effettivi rispetto a quelli dichiarati.

7.2.La sentenza del giudice di appello è stata depositata il 31-5-2013, sicchè trova applicazione il nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012, sicchè il vizio di motivazione è relegato solo all’omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti.

7.3.Per questa Corte, a sezioni unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

7.4.Inoltre, per questa Corte, in tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass., sez. 5, 20 gennaio 2015, n. 920); sicchè la concisione della motivazione non può prescindere dall’esistenza di una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione (Cass., sez. 3, 15 novembre 2019, n. 29721). La mancata esposizione dei fatti rilevanti della causa e l’estrema concisione della motivazione in diritto danno luogo a nullità della sentenza quando rendono impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (Cass., sez. 5, 24 marzo 2006, n. 6660).

7.5.Nella specie, come detto, la motivazione è pressochè assente.

Invero, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., sez. 5, 7 aprile 2017, n. 9105; Cass., sez. 5, 20 luglio 2012, n. 12664).

8.1 restanti motivi restano assorbiti.

9.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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