Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13546 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

P.R.E. e P.S., elettivamente domiciliate in

Lucera, via Firenze 8 presso lo studio dell’Avv. Carlo Alberto

Cozzolino che le rappresenta e difende per procura speciale in calce

al ricorso

– ricorrenti-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentata e difesa.

– controricorrente-

per la cassazione della sentenza n. 51/25/12 della Commissione

tributaria regionale della Puglia, sezione di Foggia, depositata il

16 marzo 2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 febbraio 2020 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

Fatto

RILEVATO

che:

a seguito di verifica operata dalla Guardia di Finanza, su richiesta della curatela fallimentare della Raffy Costruzioni s.r.l., venivano emessi a carico della società fallita, avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2006 e 2008 e, conseguentemente, sulla base della presunzione della distribuzione di utili extrabilancio, avvisi per le stesse annualità, aventi a oggetto l’IRPEF, a carico delle due socie P.R.E. e P.S.;

le impugnazioni degli atti impositivi, proposte dalle due socie, venivano rigettati dalla Commissione tributaria provinciale e la decisione, impugnata con distinti appelli dalle contribuenti, confermata, previa riunione delle impugnazioni, dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe;

il Giudice di appello riteneva che, a fronte dell’omessa presentazione della dichiarazione IVA e dell’omesso pagamento dell’imposta, ricorrevano tutti i presupposti perchè l’Amministrazione finanziaria procedesse ad accertamento induttivo e che il reddito era stato correttamente rideterminato, tenendo in conto i costi sostenuti nei limiti della documentazione prodotta, con particolare riferimento alla comunicazione telematica proveniente dalla stessa Società;

avverso la sentenza propongono ricorso, affidato a unico motivo, P.R.E. e P.S.;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, comma 2, e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016 n. 168, art. 1bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016 n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1 con l’unico motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, le ricorrenti denunciano la sentenza impugnata di omessa pronuncia, con violazione dell’art. 112 c.p.c. Secondo la prospettazione difensiva il Giudice di appello avrebbe obliterato l’esame e, conseguentemente, la soluzione, degli specifici motivi di appello proposti e concernenti l’illegittimità dell’applicazione della presunzione di utili in favore deì soci conseguenti a un accertamento induttivo in capo alla Società nonchè la circostanza che la società aveva chiuso l’esercizio sociale in perdita, ragion per cui non si era proceduto ad alcuna distribuzione di utili;

le stesse ricorrenti, in seno all’illustrazione del motivo (v.pag.10 del ricorso); espongono che tali questioni erano state dedotte nelle memorie illustrative depositate presso la Commissione provinciale di Foggia, nel ricorso in appello e nelle memorie illustrative depositate in appello;

alla luce di ciò e dall’esame degli stessi ricorsi introduttivi, allegati al ricorso per cassazione, emerge, pertanto, che le domande (recte motivi di appello) delle quali si lamenta l’omessa pronuncia non sono state ritualmente introdotte in giudizio con la proposizione del ricorso introduttivo;

ne consegue che la censura va rigettata, avendo il Giudice di appello, correttamente, non pronunciato su un motivo di impugnazione da ritenersi inammissibile, siccome nuovo rispetto a quanto richiesto con il ricorso introduttivo;

costituisce, invero, orientamento consolidato di questa Corte (v.Cass. n. 19616 del 24/07/2018; id n. 22662 del 2014; id.n. 13934 del 2011) il principio secondo cui “nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione, nella memoria del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2″;

in conclusione, il ricorso va rigettato e le ricorrenti, soccombenti, condannate in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese processuali liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 5,600,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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