Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13544 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 18/05/2021), n.13544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1201-2020 proposto da:

D.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIO NOVELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ope legis in

ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 754/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 17/05/2019 R.G.N. 1908/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/01/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza n. 754/2019 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da D.A., cittadino della (OMISSIS), e così ha confermato il provvedimento che aveva respinto la domanda di protezione internazionale e umanitaria.

2. La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato che:

a) il ricorrente ha riferito di essere mussulmano di etnia pular e di avere subito, insieme al fratello, violenze e soprusi da parte di appartenenti alla opposta etnia malinkè; in particolare, ha dichiarato di svolgere l’attività di saldatore e che il fratello aveva un’officina, dove fu riparata l’autovettura di un “uomo potente” di etnia malinkè, che poi si rifiutò di pagare la riparazione; ne nacque una lite violenta; di notte arrivò un gruppo di uomini di etnia malinkè; il fratello fu picchiato e l’officina fu distrutta come pure la loro casa, dove fu rubato un costoso motore; minacce di morte furono scritte sui muri della casa;

b) tale narrazione non è credibile, in quanto poco circostanziata e non corredata da alcuna prova; non è plausibile che il ricorrente e il fratello si fossero rifugiati nel giardino di casa, come riferito, anzichè fuggire in un luogo più sicuro; la vicenda è privata e non è dimostrato che in caso di rimpatrio il richiedente potrebbe subire un danno grave o irreparabile o che le autorità locali non siano in grado di fornire alcuna protezione;

c) in sostanza, il D. si sarebbe determinato a lasciare il proprio Paese esclusivamente a causa della paura di eventuali e non comprovate ripercussioni da parte di un gruppo di uomini armati;

d) tanto esclude la fondatezza della domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

e) quanto all’ipotesi di cui all’art. 14 cit., lett. C le fonti consultate ((OMISSIS), Amnesty International) danno atto di una situazione di normalizzazione politico-istituzionale in (OMISSIS), anche se le condizioni di vita della popolazione restano purtroppo precarie a causa di tensioni sociali nascenti da conflitti etnico-religiosi;

f) quanto alla domanda di protezione umanitaria, il ricorrente non ha allegato situazioni soggettive o oggettive tali da integrare uno stato di particolare vulnerabilità soggettiva.

3. Per la cassazione di tale sentenza D.A. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.

4. Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva, essendosi limitato al deposito “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

5. Il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 per avere la sentenza affermato, in modo molto sintetico, che le dichiarazioni del richiedente sarebbero “intrinsecamente generiche e poco circostanziate”, omettendo di contestualizzare la vicenda alla luce della situazione socio-politica della (OMISSIS), dove – secondo le fonti più recenti e accreditate – si riscontra una divisione etnica della popolazione tra le etnie malinkè (circa il 35% della popolazione) ed i pular (circa il 40%).

2. Il secondo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per non avere la Corte di appello adeguatamente indagato – attraverso la consultazione di fonti aggiornate – che sussiste in (OMISSIS) una grave situazione relativa all’impossibilità di ricevere tutela da parte delle forze dell’ordine (nel verbale di audizione il richiedente aveva dichiarato che metà degli appartenenti alla polizia è di etnia malinkè e di fatto non fornisce protezione ai cittadini dell’opposta etnia).

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non avere il giudice di appello dato conto dell’esperimento di un’effettiva istruttoria in ordine alla situazione in (OMISSIS) mediante il reperimento di documentazione attuale ed aggiornata, invece prodotta dalla difesa dell’appellante.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per assenza di una adeguata indagine sulla situazione di vulnerabilità del richiedente, desumibile dalla situazione socio-politica-economia della (OMISSIS), dove peraltro il richiedente ha perso tutta la famiglia.

5. Il ricorso è fondato per quanto di ragione. I primi tre motivi vertono sul mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e il quarto motivo sul diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari. In particolare, con i primi tre motivi il ricorrente si duole che il giudizio di non credibilità, essenzialmente basato sul solo rilievo sul carattere non sufficientemente circostanziato della narrazione e sull’assenza di prova, abbia precluso illegittimamente un adeguato approfondimento istruttorio in merito alle violenze subite dagli appartenenti alla etnia pular ad opera degli appartenenti alla etnia malinkè. Lamenta che i report consultati non sono aggiornati e che non sono stati analizzati quelli invece indicati dal ricorrente, anche con riferimento all’impossibilità di tutela da parte delle autorità locali.

6. Va innanzitutto ribadito che, in tema di protezione internazionale, la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo si deve basare su una disamina complessiva della vicenda persecutoria narrata; quando poi residuino dubbi rispetto ad alcuni dettagli della narrazione, può trovare applicazione il principio del “beneficio del dubbio”, come si desume dal D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3 letto alla luce della giurisprudenza della CEDU, perchè la funzione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale, è quella – del tutto autonoma rispetto alla precedente fase amministrativa – di accertare la sussistenza o meno del diritto del richiedente al riconoscimento di una delle forme di asilo previste dalla legge (Cass. n. 7546 del 2020).

7. La Corte territoriale, nell’apprezzamento della credibilità del richiedente, non si è attenuta al principio di procedimentalizzazione legale della decisione, là dove, a fronte della postulata inattendibilità del narrato, ha essenzialmente dato rilievo all’assenza di dettagli e riscontri obiettivi. In altri termini, la sentenza non esprime un giudizio di inattendibilità intrinseca del narrato, del quale non sono evidenziate gravi e decisive incoerenze o illogicità, soffermandosi unicamente sull’assenza di dettagli della narrazione e sul difetto di prova dei fatti dedotti.

8. Una volta escluso che la sentenza, in base agli argomenti utilizzati, abbia espresso un autentico giudizio di negazione della credibilità intrinseca della narrazione, deve ritenersi che spettasse al Giudice di merito procedere al controllo di credibilità estrinseca, che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito.

9. Come già affermato da questa Corte, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. n. 19716 del 2018). Solo ove le dichiarazioni del richiedente siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non è richiesto un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione nel Paese di origine (Cass. n. 16925 del 2018, n. 7333 del 2015).

10.Quanto all’acquisizione delle informazioni sul contesto socio – politico del Paese di rientro, trattasi di indagine che deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericoli dedotti, sulla base delle fonti di informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della scelta (Cass. n. 16202 del 2012). L’obbligo di cooperazione istruttoria che incombe sul giudice della protezione internazionale (Cass. S.U. n. 27310 del 2008; n. 26056 del 2010) deve riguardare, in particolare, la specifica situazione di rischio di persecuzione o di pericolo qualificato, rappresentata dal richiedente e non genericamente ed esclusivamente la condizione generale del paese.

11. Inoltre, come più volte affermato da questa Corte, la verifica delle condizioni socio-politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità (Cass. n. 28990 del 2018), ossia mediante la consultazione di fonti informative ufficiali aggiornate alla data della decisione. La sentenza impugnata, invece, non indica in alcun modo l’epoca delle due fonti menzionate ((OMISSIS) e Amnesty International), dando atto peraltro che proprio tali fonti testimoniano l’esistenza di tensioni sociali nascenti da conflitti etnico-religiosi in (OMISSIS).

12.Nell’accoglimento dei primi tre motivi resta assorbito l’esame del quarto.

13. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione collegiale per il riesame dell’appello, in applicazione dei principi sopra riportati. Il Giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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