Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1354 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. I, 22/01/2020, (ud. 03/07/2019, dep. 22/01/2020), n.1354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18064-2018 r.g. proposto da:

B.B., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Alberto Raimondi, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Trento, Via Giovanelli n. 2;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante

pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, depositata in

data 16.4.2018;

udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio del

3/7/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Catania – decidendo sulle domande di protezione volte al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, dopo il provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale di Catania – ha confermato quest’ultimo provvedimento, rigettando, pertanto, il ricorso del richiedente B.B., di nazionalità nigeriana.

Il tribunale ha ricordato che il richiedente proveniva dall'(OMISSIS) e che il ricorrente aveva raccontato di essere stato costretto a lasciare il suo paese perchè minacciato dallo zio di essere utilizzato come sacrificio umano. Il tribunale ha, dunque, ritenuto non credibile il racconto del richiedente e, comunque, non sussistere una persecuzione statale in danno del ricorrente, così da escludere il reclamato status di rifugiato e ha, altresì, evidenziato che il richiedente non aveva neanche dimostrato di aver richiesto inutilmente la protezione all’autorità statale; ha, inoltre, escluso, in relazione alla richiesta protezione sussidiaria, una situazione di danno grave alla persona collegato ad una situazione di conflittualità interna all'(OMISSIS), paese di provenienza del richiedente. Il tribunale ha, infine, evidenziato che non poteva essere riconosciuta neanche la protezione umanitaria, posto che in Nigeria non vi era in atto un’emergenza umanitaria e che, comunque, non era accoglibile neanche la richiesta di asilo politico, ai sensi dell’art. 10 Cost., la cui tutela è invero assorbita dalle altre forme di protezione internazionale ed umanitaria già riconosciute nel nostro ordinamento.

2. Il provvedimento datato 16.04.2018 è stato impugnato da B.B. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si evidenzia che dal racconto del richiedente (da intendersi intrinsecamente attendibile) era emerso un serio e concreto pericolo per la vita e l’incolumità dell’odierno ricorrente e che, comunque, il racconto era stato sufficientemente circostanziato e dettagliato, quanto ai luoghi e alle persone che avevano assistito al tentativo di sua soppressione come sacrificio umano.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8. Si osserva da parte del ricorrente che, nel paese di origine del richiedente, i sacrifici umani hanno il significato di richiamare la benevolenza degli spiriti e delle divinità e che, pertanto, il tribunale aveva errato nel non aver riconosciuto la richiesta protezione internazionale.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta errata e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1.

4. Con il quarto motivo la parte ricorrente si duole dell’erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5.

5. Con il quinto mezzo si denuncia errata e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla richiesta protezione umanitaria.

6. Il ricorso è inammissibile.

6.1 Già il primo motivo è inammissibile per come formulato.

Osserva la Corte che, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente intende introdurre, invero, un’inammissibile rivalutazione del giudizio di credibilità del ricorrente, profilo sul quale, peraltro, il tribunale ha argomentato in modo adeguato e scevro da criticità rilevabili in questo giudizio di legittimità.

Sul punto non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;

l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più in particolare, va precisato che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Ciò detto, le doglianze proposte dal ricorrente risultano, all’evidenza, inammissibili in questo contesto decisorio.

6.2 Ma anche il secondo motivo di doglianza è inammissibile. Si pretende, da un lato, una rivalutazione contenutistica del fatto posto come ragione dell’espatrio e, dall’altro, non si carpisce neanche la ratio decidendi posta a sostegno del diniego della reclamata protezione internazionale, e cioè che il pericolo di grave danno alla persona non era stato neanche oggetto di denuncia o segnalazione da parte del richiedente alle locali autorità, sicchè non risulta neanche invocabile la ricorrenza di un pericolo non statuale, ma non adeguatamente contenuto dalle autorità di polizia ovvero giudiziarie.

6.3 Il terzo motivo è inammissibile in ragione della sua evidente genericità di formulazione e perchè, al solito, non centra la ratio decidendi della motivazione che, in punto di diniego della reclamata protezione sussidiaria, si fonda su un giudizio – non contrastato adeguatamente – di non pericolosità interna dell'(OMISSIS).

6.4 Il quarto motivo è inammissibile per le medesime ragioni già spiegate in riferimento al secondo motivo, in quanto il ricorrente non intercetta la ratio decidendi della motivazione che nega la richiesta protezione internazionale per il rilievo della mancata richiesta da parte del richiedente della protezione statuale nei confronti dell’articolato pericolo di morte per il sacrificio umano descritto in premessa.

6.5 Il quinto motivo è inammissibile sia perchè formulato genericamente in relazione ad un non meglio precisato pericolo alla vita del richiedente in caso di rimpatrio sia perchè non censura la ratio decidendi che si fonda principalmente sulla valutazione di non credibilità del ricorrente.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio in ragione della mancata difesa da parte dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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