Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13539 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 18/05/2021), n.13539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27869-2018 proposto da:

N.A.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato ERIKA GIOVANNETTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ROBERTO MILIA, GIULIANO MILIA;

– ricorrente –

contro

CANTINA DI MIGLIANICO SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA S.R.L., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 80, presso lo studio

dell’avvocato SEVERINO GRASSI, rappresentata e difesa dall’avvocato

OSVALDO GALIZIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 158/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/03/2018 r.g.n. 417/2017.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza pubblicata il 15.3.2018, ha respinto il gravame interposto da N.A.B., nei confronti della Cantina di Miglianico Soc. Coop. Agricola S.r.l., avverso la pronunzia resa dal Tribunale di Chieti il 22.12.2016, con la quale era stato rigettato il ricorso del N. diretto ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimato al medesimo dalla società datrice di lavoro e “la immediata reintegrazione nell’attività lavorativa precedentemente resa, con adozione di ogni conseguente provvedimento di legge”;

che per la cassazione della sentenza N.A.B. ha proposto ricorso articolando un motivo;

che la Cantina di Miglianico Soc. Coop. Agricola S.r.l. ha resistito con controricorso;

che sono state comunicate memorie nell’interesse della società; che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: “la violazione e falsa applicazione della L. n. 142 del 2001, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”, perchè “l’impianto motivazionale reso nella sentenza gravata appare contraddittorio e frutto di una non corretta comprensione delle peculiarità del caso discusso”, non avendo considerato che la giurisprudenza ha “confermato che la delibera di esclusione del socio da una società cooperativa è sufficiente a determinare l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento”;

che va, innanzitutto, rilevato che la sentenza impugnata è stata solo parzialmente prodotta (come da verifica anche del fascicolo d’ufficio): vi sono soltanto la parte in fatto ed il dispositivo e mancano totalmente le pagine relative alla parte motiva (al riguardo, si vedano, tra le molte, Cass. nn. 14426/2018; 25407/2016), rilevanti, all’evidenza, per stabilire se le censure sollevate siano fondate o meno;

che il ricorso sarebbe comunque inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6 codice di rito, per la mancata produzione degli “accordi e contratti collettivi”, neppure indicati, dei quali si lamenta la violazione (in ordine alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009; circa il comma 1, n. 6medesimo articolo, v., tra le altre, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non sarebbe stata, comunque, in grado di poter apprezzare la veridicità delle doglianze svolte dal ricorrente;

che, per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.450,00 di cui Euro 5.250,00 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza di presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

 

 

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