Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13538 del 01/07/2016

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 01/07/2016), n.13538

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13257-2014 proposto da:

D. & D.S. SRL, in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTI DI

CRETA 85 INT 12, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PORFILIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO ORLANDO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE di CUPELLO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 491/10/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di L’AQUILA SEZIONE DISTACCATA di PESCARA del 23/09/2013,

depositata il 16/10/2013;

udita la rela2ione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La ” D.S. & D. srl” propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di L’Aquila con la quale – in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per TARSU per gli anni 2004-2009 – è stato respinto l’appello proposto dalla stessa parte contribuente avverso la sentenza di primo grado della CTP di Chieti n.11/01/2012 che ne aveva già respinto il ricorso, sicchè il provvedimento impositivo è stato integralmente confermato.

La sentenza impugnata ha ritenuto che la pronuncia di primo grado, censurata per insufficiente motivazione, “è compiutamente motivata”.

Ha pure ritenuto che sono infondate le eccezioni della parte contribuente concernenti la carenza di motivazione dell’atto impugnato perchè quello “contiene tutti quegli elementi, in fatto ed in diritto, che si richiedono per apprestare e garantire una adeguata difesa dalle pretese dell’ente impositore”. Analogamente (con rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado) per ciò che concerne la pretesa decadenza dal termine per l’annualità 2004.

La parte contribuente ha proposto ricorso affidandolo a quattro motivi.

L’Amministrazione comunale non si è difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Ed infatti con il primo motivo (centrato sia sul vizio di insufficiente motivazione della sentenza che sul vizio di omesso esame di un fatto decisivo) la parte ricorrente si duole della modalità apodittica con cui la pronuncia di appello è stata motivata (sì che non se ne può arguire il percorso decisionale) e dell’omesso esame delle questioni proposte con l’appello (ovvero la nullità delle delibere di giunta di approvazione delle tariffe).

Il motivo è inammissibilmente formulato, e non solo perchè contempla due distinti e logicamente confliggenti ragioni di impugnazione. Ma anche perchè – volendo considerare solo il vizio prospettabile in ragione della vigente formula dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (l’omesso esame di fatto decisivo), a tenore della data in cui la pronuncia impugnata è stata depositata – non contiene l’identificazione di quel “fatto” con riferimento all’omesso esame del quale soltanto può considerarsi integrata la tipologia del vizio in questione. Viceversa, la “pretermissione degli elementi da cui il giudice ha tratto il proprio convincimento” attiene alla tipologia del vizio ormai non più prospettabile (di insufficiente motivazione della sentenza), in considerazione della norma attualmente vigente, così come si evince proprio dalla pronuncia di legittimità che la parte ricorrente ha menzionato a supporto.

Con il secondo motivo (centrato sulla violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 63 e della L. n. 267 del 2000, art. 42) nonchè con il terzo motivo (centrato sulla violazione della L. n. 507 del 1993, artt. 61 – 69 e della L. n. 241 del 1990, art. 3), la parte ricorrente si duole che la CTR non si sia pronunciata sulla questione della competenza della giunta comunale a riguardo della rideterminazione delle tariffe Tarsu e censura l’affermazione del giudice di prime cure a questo riguardo. Censura ancora “l’illegittimità sostanziale delle delibere di approvazione delle tariffe” che il giudice di primo grado afferma “essere state adottate nel rispetto delle norme di legge che le prevedono”.

Entrambi i motivi (da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta inerenza) appaiono inammissibilmente formulati per difetto di attinenza alle ragioni poste a fondamento della sentenza qui impugnata. Come la stessa parte ricorrente ha evidenziato, la CTR non si è affatto occupata della questione ora in esame, sicchè la parte ricorrente ha indebitamente censurato la sentenza di primo grado, che qui non è in argomento, nonchè si è spinta ad affermare l’illegittimità sostanziale delle delibere a cui la stessa parte ricorrente fa riferimento (il cui specifico contenuto non è stato indicato), che non sono – ovviamente – il diretto oggetto del ricorso per cassazione, ma ne potrebbero semmai costituire il parametro ai fini di valutare la correttezza della pronuncia impugnata.

Con il quarto motivo (centrato sulla violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, nn. 161 e 171) la parte ricorrente si duole che la CTR abbia “errato nell’individuare il termine iniziale ai fini dell’individuazione del termine finale di decadenza dell’azione di accertamento”. Poichè anche nella previsione della novella contenuta nella norma indicata nel titolo del motivo il legislatore ha fatto riferimento, come termine iniziale, “all’anno in cui la dichiarazione è stata o doveva essere presentata”, la CTR ne aveva fatto erronea interpretazione, riferendo il termine iniziale a quello di entrata in vigore della L. n. 296 del 2006. Nella specie, la data da cui iniziava a decorrere la decadenza è il 1.1.2005 ed il quinto anno successivo cadeva al 31.12.2009, mentre l’avviso impugnato era stato notificato il 13.2.2010 e perciò fuori termine.

Anche detto motivo appare inammissibilmente proposto, per difetto di autosufficienza. La parte ricorrente prospetta infatti che il termine iniziale di decadenza (a riguardo dell’accertamento dell’obbligazione relativa all’anno 2004) coincida con il 1.1.2005 ma non ne chiarisce in alcun modo la ragione (essendo rimasto del tutto indeterminato quale fosse il termine della dichiarazione relativa all’anno 2004 che la parte ricorrente medesima assume essere il riferimento cronologico per il computo), così come non dettaglia il thema della specifica questione che – a questo proposito – è stata oggetto di controversia nei gradi di merito, sicchè non è possibile esaminare il merito della censura.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 5 dicembre 2015.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, se non –

tardivamente, e perciò inammissibilmente – dalla parte ricorrente;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2016

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