Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13535 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 20/05/2019), n.13535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18619/2017 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 36,

presso lo studio dell’avvocato IOLANDA PICCININI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALMERINDO PROIETTI SEMPRONI;

– ricorrente principale – controricorrente al ricorso incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3344/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/06/2017 R.G.N. 1017/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/02/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA CIRIELLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per inammissibilità ricorso

principale in subordine rigetto, assorbito ricorso incidentale;

udito l’Avvocato IOLANDA PICCININI e l’Avvocato ALMERINDO PROIETTI

SEMPRONI;

udito l’Avvocato ENZO MORRICO per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3344 del 13.6.2017 depositata il 16.6.2017, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la originaria domanda di L.S., volta ad impugnare il licenziamento disciplinare intimato da Poste Italiane Spa in data 30 luglio 2015, per una serie di addebiti relativi alle gravi irregolarità in cui sarebbe incorsa la lavoratrice nelle operazioni di rimborso di 13 Buoni Fruttiferi Postali (di seguito BFP) intestati alla Sig.ra V.V., per un importo complessivo di Euro 90.607.74, tutti in dislocazione e tutti sottoscritti presso l’ufficio postale di (OMISSIS) negli anni ‘80″, relativamente ai quali la V. aveva, precedentemente, subito e denunciato un furto.

1.1.- Il primo giudice aveva ritenuto che, pur essendo fondati alcuni addebiti, (mancanza dei documenti originari, mancata attesa del nulla osta prima del rimborso del 5.3.2015, mancato rilievo delle anomalie relative al documento di identità ed al certificato di residenza presentato dalla sedicente V., rimborso del 20 marzo nonostante la segnalazione contraria del direttore) non fossero gravi i danni economici e di immagine effettivamente causati dalla condotta dell’appellata e non ricorresse, pertanto, la fattispecie prevista dall’art. 54, par. 5 lett, c) Poste italiane, richiamata nella lettera di contestazione, con conseguente insussistenza del giustificato motivo soggettivo.

1.2. La Corte territoriale, per quanto qui rileva, pur concordando con la interpretazione della norma contrattuale fornita dal giudice di primo grado, secondo la quale è necessario ricorrano il pregiudizio e il danno per integrare gli estremi del giustificato motivo soggettivo di licenziamento di cui all’art. 54 ccnl, e che tale danno rivesta i caratteri della attualità e della effettività, ha ritenuto la sussistenza di tutti gli elementi della norma contestata; segnatamente, secondo la corte, la condotta tenuta dalla lavoratrice, irregolare, negligente e irrispettosa degli obblighi di servizio, ha prodotto un pregiudizio alla sicurezza e alla regolarità del servizio oltre che dei danni patrimoniali e un danno all’immagine della società datrice di lavoro; sulla scorta di tali rilievi la corte ha ritenuto i fatti di una gravità tale da compromettere il rapporto fiduciario tra datore e lavoratore, rammentando la giurisprudenza di legittimità relativa al valore esemplificativo delle elencazioni delle ipotesi di giusta causa contenute nei contratti collettivi, e dando conto del fatto che non sarebbero reperibili nelle norme collettive applicabili al rapporto di lavoro comportamenti paragonabili per gravità a quelli posti in essere dalla lavoratrice, puniti con sanzione conservativa.

2. Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso L.S., deducendo due motivi principali ed uno subordinato, concludendo affinchè questa corte disponga l’annullamento della stessa e la decisione della causa nel merito o il rinvio per tale decisione ad altro giudice di appello.

2.1. Poste italiane ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a tre motivi cui resisteva, a sua volta, la ricorrente principale con controricorso illustrato da successiva memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo di ricorso la lavoratrice ha censurato la decisione della Corte di Appello che, nella sua prospettazione, sarebbe incorsa ex art. 360 c.p.c., n. 3, nel vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 54 CCNL, degli art. 2, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 111 Cost. e degli artt. 1362 e segg., L. n. 604 del 1966, art. 5 e art. 2697 c.c..

3.1.- In particolare, la Corte di appello, pur dopo aver correttamente respinto i cinque motivi di reclamo proposti da Poste italiane avrebbe erroneamente accolto il sesto motivo relativo alla gravità dei fatti e alla proporzionalità del licenziamento.

Per tal via, nella prospettazione difensiva, la corte sarebbe pervenuta ad un’erronea applicazione dell’art. 54 paragrafo cinque, C del contratto collettivo che prevede il licenziamento in caso di “irregolarità, trascuratezza o negligenza ovvero per inosservanza di leggi o di regolamenti o degli obblighi di servizio, dalle quali sia derivato pregiudizio alla sicurezza o alla regolarità del servizio con gravi danni alla società o a terzi”.

La corte, segnatamente, dopo aver correttamente ricostruito la norma contrattuale (che sanziona con il licenziamento solo le condotte qualificate dal prodotto pregiudizio alla sicurezza e alla regolarità del servizio con gravi danni, che devono essere anche attuali ed effettivi) ed avere respinto i primi cinque motivi di reclamo sottopostile dal datore di lavoro, nell’accogliere l’ultimo motivo, relativo a due sole operazioni di rimborso (rispettivamente di Euro 18.992,20 del 5 marzo 2015, e di Euro 9975,93, del 12 marzo 2015) avrebbe errato nel ravvisare, nel caso concreto, la sussistenza di un danno grave ed effettivo.

Tale danno non sarebbe ravvisabile e neppure sarebbe stato contestato, secondo la ricorrente; ed infatti, per il rimborso del 12 marzo 2015 sarebbe stato provato solo l’incasso minore di Euro 2775,93, giacchè, per la restante somma, pur dedotta, Poste Italiane era stata considerata dalla stessa corte di appello decaduta dalla relativa prova; inoltre quanto al rimborso per la maggior somma di Euro 18.992,20, del 5 marzo 2015, (ove la contestazione datoriale si incentrava sull’avere la lavoratrice emesso i due buoni cartacei attingendo i dati dell’anagrafica aziendale e aver modificato l’anagrafica senza avvedersi dell’anomalia della doppia carta di identità) la corte d’appello, per un verso, valorizzando la possibilità per la ricorrente di interrompere l’operazione di rimborso, sarebbe andata oltre i limiti della contestazione disciplinare, con una violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. (giacchè la contestazione non valorizzava alcuna relazione causale tra i fatti contestati alla lavoratrice e il danno scaturente dal rimborso limitandosi a stigmatizzare la condotta e non l’evento dannoso), per altro verso non avrebbe considerato che il danno si sarebbe comunque verificato, a prescindere dalla condotta della lavoratrice, giàcche risultava emesso e pervenuto – sia pure nelle more dell’operazione – il nullaosta da parte dell’Ufficio Postale di (OMISSIS) competente.

Da tali elementi, nella prospettazione difensiva, discenderebbe l’insussistenza del danno economico grave, poichè il solo rimborso di Euro 2709,00 non si potrebbe qualificare come tale.

Oltre a ciò, nella prospettazione difensiva della ricorrente, la corte sarebbe incorsa in errore anche quanto alla affermata sussistenza del danno all’immagine per il datore di lavoro, poichè tale danno, solo dedotto da Poste Italiane, non sarebbe stato provato, risulterebbe privo dei caratteri della effettività e attualità e, in ogni caso, non sarebbe attribuibile esclusivamente alla condotta della dipendente vista la presenza del nulla-osta e le altre carenze organizzative del datore (che non aveva provato di aver esperito alcun accertamento quanto al nullaosta medesimo, pur se considerato falso, ed il cui sistema informativo non aveva allertato la dipendente quanto alle denunce di furto dei BPF, o quanto alla falsità della carta di identità).

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, anche in relazione all’art. 1455 e della L. 300 del 1970, art. 18, comma 4 (art. 360 c.p.c., n. 3) e art. 2106 c.c., con riferimento alle previsioni del CCNL, in cui sarebbe incorsa la corte, allorchè ritenendo sussistente il grave danno nonostante non ve ne fossero i presupposti, avrebbe escluso la applicabilità di una sanzione conservativa; avrebbe, altresì, errato la corte nel ritenere comunque giustificato il licenziamento, anche ove non fosse stato sussistente il grave danno, in ragione della gravità della condotta; tale conclusione, secondo la ricorrente, sarebbe in contrasto con il principio di matrice giurisprudenziale che delinea la tassatività delle fattispecie punibili con sanzioni conservative e la tassatività delle “giuste cause o dei giustificati motivi” (cfr. pag. 22 e 23 del ricorso).

Avrebbe, inoltre, errato la corte escludendo che l’inadempimento rivestisse una scarsa importanza, tal da essere sanzionato con sanzione conservativa, in violazione dell’art. 1455 c.c. e art. 2106 c.c. e precludendo alla lavoratrice, in ragione di tale erronea interpretazione, la tutela indennitaria.

3.3. Con il terzo motivo la ricorrente ha riproposto, in via subordinata, la domanda con la quale, sul rilievo dell’assenza del notevole inadempimento nella condotta della lavoratrice, aveva precedentemente chiesto l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento ai fini del riconoscimento della tutela indennitaria di cui all’art. 18, comma 5, concludendo perchè questa corte, annullata la sentenza di appello, resa in sede di reclamo, alternativamente decida la causa nel merito, confermando la sentenza di primo grado resa nella fase di opposizione (in subordine, riconoscendo la tutela indennitaria di cui all’art. 18, comma 5) o rinvii la decisione nel merito ad altro giudice secondo il principio di diritto da fissare.

4. Nel controricorso con ricorso incidentale, Poste Italiane, dopo aver dedotto l’infondatezza dei motivi principali, ha proposto a sua volta ricorso per la cassazione della sentenza di appello, rispetto ai profili in cui nel grado rimase soccombente, il cui esame risulta condizionato dall’accoglimento del ricorso principale.

4.1. Con il primo motivo la controricorrente ha dedotto che la Corte di appello avrebbe errato, in violazione dell’art. 421 c.p.c., artt. 115,414 e 416 c.p.c., nel ritenere tardiva e non autorizzata la produzione documentale dalla quale doveva evincersi l’effettivo prelievo, da parte della truffatrice, della somma di Euro 7200,00; infatti tale prova documentale era stata fornita in adempimento ad una ordinanza del 12.3.2017 con la quale lo stesso collegio aveva chiesto chiarimenti sulla prova del prelievo, esercitando i propri poteri officiosi di cui all’art. 421 c.p.c..

4.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato la controricorrente ha dedotto la violazione di legge in cui la corte di appello sarebbe incorsa, in relazione agli artt. 342434 e 112 c.p.c., nel dichiarare inammissibile il quarto motivo di reclamo, con il quale la società ivi reclamante censurava la decisione del primo giudice che aveva ritenuto infondati alcuni addebiti (relativi al mancato rilievo delle anomalie del fax proveniente dall’ufficio di (OMISSIS), contenente il nulla osta a procedere al rimborso) per difetto di specificità, nonostante tale motivo, riportato dalla controricorrente (pag. 38-39 e 40 del controricorso con ricorso incidentale) indicasse con chiarezza le ragioni di diritto e gli elementi di fatto posti a fondamento dello stesso.

4.3. Con il terzo motivo la controricorrente ha illustrato il vizio di violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice territoriale, in relazione agli art. 54 cit. del CCNL e art. 1362 c.c., nel ritenere che la norma contrattuale cit. contemplasse, tra gli elementi della fattispecie legittimante il licenziamento, un danno caratterizzato dalla effettività ed attualità, pur in assenza nel testo del contratto di una esplicita indicazione al riguardo.

4.4. Con ulteriore motivo, sempre formulato per il caso di accoglimento del ricorso principale, la controricorrente ha chiesto che questa corte dichiarasse comunque risolto il rapporto determinando il solo indennizzo economico ex art. 18, comma V Statuto Lavoratori e limitando la condanna economica in considerazione di quanto altrimenti percepito dalla ricorrente dopo la risoluzione del rapporto (cd. aliunde perceptum).

5. Il ricorso principale è infondato.

5.1. I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, traducendosi gli stessi in una critica alla sentenza di appello incentrata sulla erronea applicazione della norma contrattuale di cui all’art. 54 CCNL cit. al caso concreto, in assenza dei presupposti, e sulla erronea affermazione della gravità del comportamento della lavoratrice, ai fini della sussistenza del giustificato motivo soggettivo, piuttosto che per una sanzione conservativa.

Dalla mera lettura del ricorso, invero, emerge che la ricorrente propone all’esame della corte doglianze per alcuni versi inammissibili poichè coinvolgenti profili di fatto, consistenti nella ricostruzione del giudizio concreto di gravità del danno, e presupponenti una nuova e diversa valutazione della contestazione disciplinare, rispetto a quella coerentemente svolta dalla corte territoriale con adeguata motivazione, e comunque infondate, in quanto tese a sollecitare una diversa interpretazione del dato normativo e contrattuale rispetto a quella fornita dalla corte territoriale in aderenza ai principi di diritto vivente (e sviluppata, sulla base di elementi probatori non contestati, all’esito di una ricostruzione del quadro normativo conforme alle norme e alle regole sulla interpretazione dei contratti collettivi, in aderenza ai principi stabiliti da questa corte, cfr. Cass. n. 26738 del 2014).

5.2. La corte di appello ha correttamente valutato i fatti pacificamente accertati, quali l’avere la lavoratrice commesso diverse irregolarità, puntualmente richiamate (cfr. pag. 5 e 6 della sentenza, ove si puntualizza l’omesso rilievo quanto al doppio documento di identità della presunta signora V., alle anomalie del certificato di residenza da cui poteva evincersi dedurre la falsità) e avere proceduto al rimborso nonostante esplicitamente avvertita dal proprio superiore della truffa in atto; da tali elementi concreti, la cui nuova valutazione in questa sede è preclusa, la corte ha desunto che il comportamento della lavoratrice, oltre a configurare gli elementi richiesti dalla fattispecie di cui all’art. 54 cit. CCNL, rivestisse una tale gravità da minare il rapporto fiduciario (anche a prescindere dal grave danno richiesto dalla fattispecie contrattuale di cui all’art. 54 ccnl, ritenuto tuttavia comunque ravvisabile).

5.3 Sotto il primo profilo, la corte ha correttamente interpretato la norma dell’art. 54 CCNL, riportata dalla sentenza impugnata, che commina il licenziamento con preavviso nell’ipotesi di “irregolarità, trascuratezza o negligenza, ovvero per inosservanza di leggi o di regolamenti o degli obblighi di servizio dalle quali sia derivato pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con gravi danni alla società o a terzi, o anche con gravi danni alle persone”.

5.3.1. Come è noto, la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicchè, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (art. 1362 c.c. e segg.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, nè del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti” (Cass. n. 6335 del 2014).

5.3.2. Il giudice territoriale ha ravvisato nel caso concreto l’applicabilità della fattispecie contrattuale di cui all’art. 54 CCNL cit., evidenziando come la condotta pacificamente tenuta fosse irregolare, negligente, irrispettosa degli obblighi di servizio e quindi corrispondente alla enunciazione della norma che valorizza, ai fini del licenziamento, la condotta che produce pregiudizio alla sicurezza e alla regolarità del servizio.

Ritenendo necessario l’elemento del danno per la integrazione della fattispecie contrattuale, la corte ha poi considerato sufficiente, al riguardo, oltre al danno di Euro 2775,93, giudicato danno economico non irrilevante, anche quel pregiudizio alla sicurezza e alla regolarità del servizio, che ha ravvisato nel mancato rilievo della doppia carta di identità, con registrazione della carta fasulla, come pure l’ulteriore distinto danno all’immagine della società, individuato nella sfiducia e nel discredito sofferti nella indistinta cerchia di soggetti legati alla signora V., e alla V. stessa, titolare dei BPF incassati in maniera truffaldina.

5.4. La corte ha poi fornito una ulteriore interpretazione del licenziamento, quando ha evidenziato che comunque il fatto configura un grave inadempimento, che determina il venire meno del rapporto fiduciario secondo la giurisprudenza di legittimità, facendosi carico di verificare la esistenza di norme contrattuali contemplanti analoghe fattispecie punite con sanzioni conservative, ed escludendola proprio in ragione della ritenuta gravità dei fatti e delle condotte negligenti e irregolari tenute dalla lavoratrice.

5.5. Neppure è riscontrabile la pretesa violazione del canone processuale che impone la “corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato”, così come rubrica l’art. 112 c.p.c., poichè la Corte territoriale, interpretando l’atto di contestazione disciplinare, ha ritenuto che in esso fosse contenuta la contestazione della condotta presa in esame dalla fattispecie contrattuale quale grave pregiudizio alla regolarità e sicurezza del servizio.

Si tratta di interpretazione di atti che è competenza del giudice del merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005), con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015).

Nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c., può dunque dirsi consumata, perchè nel caso all’attenzione del Collegio nella sostanza non si discute effettivamente di una pronuncia omessa o resa ultra petita, quanto piuttosto dell’interpretazione della domanda e del suo contenuto (v. Cass. n. 7932 del 2012); in tal caso non è sufficiente che l’interpretazione offerta di giudici di merito alle domande di cui al ricorso non corrisponda alle attese della ricorrente per determinare la cassazione della sentenza impugnata, ove la diversa qualificazione sia sorretta – come nella specie – da adeguata motivazione (Cass. n. 14650 del 2012; Cass. 22893 del 2008; Cass. n. 14751 del 2007).

5.6. Quanto, ancora, alla dedotta tassatività delle fattispecie punibili con licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudice di appello si è conformato all’insegnamento di questa corte che ha da tempo affermato come non si possa ritenere tassativa la elencazione contenuta nei CCNL in quanto l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicchè “non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore” (Sez. L, Sentenza n. 2830 del 12/02/2016, Rv. 638720-01; Sez. L -, Sentenza n. 27004 del 24/10/2018 (Rv. 651246-01).

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto. Il ricorso incidentale è espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento del ricorso principale e resta perciò assorbito.

6.1. Al rigetto del ricorso principale segue la condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura minima del 15% ed accessori come legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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