Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13534 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 30/05/2017, (ud. 15/03/2017, dep.30/05/2017),  n. 13534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8802/2013 proposto da:

F.E.A.M.F., (c.f. (OMISSIS)), nella

qualità di erede di F.F., elettivamente domiciliata

in Roma, Via Cosseria n. 2, presso lo Studio Placidi, rappresentata

e difesa dagli avvocati Liuzzi Antonella, Liuzzi Marino, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Taranto, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Pontefici n. 3, presso

l’avvocato Valentino Capece Minutolo, che lo rappresenta e difende,

giusta procura speciale per Notaio avv. F.R. di

(OMISSIS);

– resistente –

e contro

F.A., Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,

S.M.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 74/2012 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE

DISTACCATA di TARANTO, depositata il 20/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/03/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

con sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 74/2012, depositata il 20 febbraio 2012, veniva rigettato l’appello principale proposto da F.E.A.M.F. avverso la decisione n. 1113/2006, con la quale il Tribunale di Taranto l’aveva condannata, quale unica erede non rinunciante all’eredità del defunto imprenditore edile F.F., al pagamento, a favore del Comune di Taranto, della somma di Euro 36.289,80, a titolo di risarcimento dei danni per le inadempienze contrattuali poste in essere dal suo dante causa, nell’esecuzione del contratto di appalto dell’8 novembre 1972, avente ad oggetto la costruzione di una scuola elementare nel rione (OMISSIS);

la medesima pronuncia accoglieva, invece, l’appello incidentale proposto dall’ente pubblico, condannando la F. al pagamento della maggiore somma di Euro 170.563.54, oltre rivalutazione ed interessi;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso F.E.A.M.F. nei confronti del Comune di Taranto, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (intervenuto volontariamente in prime cure), di F.A. e S.M.S. (eredi rinuncianti all’eredità di F.F.), affidato a quattro motivi, e che gli intimati non hanno svolto attività difensiva;

la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.;

Considerato che:

con il primo e secondo motivo di ricorso – denunciando la violazione degli artt. 1175, 1218, 1227, 1375 e 2043 c.c., nonchè la contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale avrebbe, per un verso, ritenuto insindacabile il potere discrezionale dell’amministrazione – dopo la rescissione del contratto di appalto per inadempimento dell’appaltatore, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F, – di indire, o meno, una nuova gara e di stabilirne il tempo, per altro verso, avrebbe apoditticamente escluso che vi fosse agli atti la prova della sussistenza di almeno uno dei limiti all’insindacabilità di detto potere, costituiti dal rispetto del dovere del neminem laedere per violazione di un diritto assoluto e del canone generale di correttezza e buona fede, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.;

a parere della istante, una volta accertata la sindacabilità di tale valutazione, quanto meno sotto uno dei due profili suindicati, il giudice di appello avrebbe, invero, dovuto ravvisare nella condotta del Comune di Taranto, concretatasi nella indizione di una nuova gara per il completamento dei lavori dopo quattro anni dalla rescissione del contratto originario, una violazione di principi suddetti e ritenere di conseguenza, sussistente un concorso di colpa dell’ente, ai sensi dell’art. 1227 c.c.;

le doglianze sono infondate;

in tema di appalto di opere pubbliche, nel giudizio promosso dalla amministrazione committente – nella specie con domanda riconvenzionale nel giudizio proposto dall’appaltatore – dopo la rescissione del contratto ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F, per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alle inadempienze dell’appaltatore, non è – per vero deducibile un concorso di colpa dell’amministrazione medesima, per non avere questa tempestivamente bandito una nuova gara per il riappalto dei lavori, in considerazione, tra l’altro, dell’insindacabilità del suo potere discrezionale di indire o no una nuova gara e, in caso affermativo, di stabilirne tempi e modalità (cfr. Cass. 09/02/1976, n. 424; Cass. 15/10/2004, n. 20324; Cass. 18/07/2013, n. 17067);

è bensì vero, infatti, che l’insindacabilità dell’esercizio di detto potere da parte del giudice ordinario incontra un limite esterno nel dovere di “neminem laedere”, quando venga in considerazione la lesione di diritti assoluti, nonchè un limite interno nel canone generale di correttezza e buona fede, e tuttavia, è evidente che il solo ritardo nel bandire la nuova gara – in quanto rientrante nella suddetta sfera di discrezionalità della p.a. – non può integrare la violazione del dovere di correttezza e di buona fede, mentre non è stata neppure allegata la lesione di un diritto assoluto;

con il terzo motivo di ricorso denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1223 e 1227 c.c. e art. 2 Cost., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la ricorren6te lamenta che la Corte d’appello abbia inteso porre a suo carico anche i maggiori costi affrontati dal Comune di Taranto per la nuova gara, avendo l’ente prescelto – in luogo dell’aggiudicazione sulla base del criterio del ribasso sulla base d’asta, in forza del quale l’appalto era stato in origine aggiudicato al dante causa della F. – il sistema dell’aggiudicazione con offerta al rialzo, nella specie pari al 157, 463% del prezzo base d’asta;

ad avviso della istante, l’opzione a favore di un criterio che comportava, per l’ente, al fine di assicurarsi il completamento delle opere non eseguite dal primo appaltatore, un maggiore esborso, anzichè – con i sistema dell’offerta in ribasso – un prezzo più conveniente, non avrebbe potuto, per contro, determinare un pregiudizio risarcibile da parte dell’appaltatore originario (e per esso deceduto, della sua erede), essendo tale pregiudizio ascrivibile ad una scelta volontaria della stessa stazione appaltante;

tanto premesso, è evidente che nei contratti passivi per la p.a., nei quali – per ragioni di pubblico interesse ancorate alla necessità di contenere la spesa pubblica la medesima deve cercare di privilegiare sistema che le consenta di realizzare il migliore risultato con il minore esborso possibile, in adempimento dei doveri di buona amministrazione, di economicità e di efficienza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost., della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 1), lo stabilire un criterio di aggiudicazione sulla base dell’offerta al rialzo sul prezzo base d’asta, contrasta con i principi suesposti che devono sempre ispirare l’esercizio dei pubblici poteri, e sia, pertanto, illegittima, atteso che la finalità dell’aggiudicazione della gara di appalto è, invero, innegabilmente quella di individuare l’offerta migliore e più conveniente per a o.e. (Cass, 25/05/2015, n. 10743); è, pertanto, del tutto evidente che costituisca una violazione dei principi di correttezza e di buona fede – sulla cui violazione sotto il profilo in esame la Corte territoriale non ha in alcun modo motivato porre in giudizio, a carico dell’originario appaltatore, il maggior costo per il completamento delle opere dovuto ad una scelta del criterio, illegittimo, di aggiudicazione operata dalla stessa stazione appaltante;

il quarto motivo di ricorso (recepimento acritico delle risultanze della c.t.u. da parte del giudice d’appello) resta assorbito dall’accoglimento del precedente;

in accoglimento del terzo motivo di ricorso, l’impugnata sentenza deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti.

PQM

 

accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta il primo e secondo motivo di ricorso e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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