Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13534 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. III, 18/05/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17359-2018 proposto da:

C.M., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dagli avv.ti MARCO SAVERIO SPOLIDORO, ELISABETTA COSTA, GIANLUCA

ROZZA;

– ricorrenti –

contro

GRUPPO EXECUTIVE SOCIETA’ CONSORTILE A. R.L., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE, 20, presso lo studio

degli avv.ti GIANNI ORIGONI, GRIPPO, CAPPELLI & PARTNERS STUDIO,

rappresentato e difeso dagli avvocati DANIELE VECCHI, ROSARIO

ZACCA’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1637/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.M. e C.G., quali soci dell’estinta società (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, proposero domanda di arbitrato nei confronti di Gruppo Executive Società Consortile a r.l. chiedendo la dichiarazione di nullità del contratto, concluso fra (OMISSIS) e la convenuta, con cui era stato previsto il corrispettivo per prestazioni di autotrasporto al di sotto dei limiti minimi fissati dalla L. n. 298 del 1974 e la condanna al pagamento in base alla tariffa di legge. Si costituì la parte convenuta eccependo il difetto di legittimazione attiva degli attori e chiedendo comunque il rigetto della domanda.

2. Il Collegio Arbitrale adito dapprima dichiarò con lodo parziale la sussistenza della legittimazione attiva degli attori in quanto successori della società e quindi, con lodo definitivo, condannò la società convenuta al pagamento della somma di Euro 69.812,80.

3. Avverso entrambi i lodi propose impugnativa Gruppo Executive.

4. Con sentenza di data 29 marzo 2018 la Corte d’appello di Milano accolse l’impugnativa dichiarando la nullità dei lodi per mancanza di titolarità del diritto azionato. Osservò la corte territoriale, con riferimento al motivo di impugnazione avente ad oggetto l’esclusione della successione in favore dei soci a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese operata d’ufficio ai sensi dell’art. 2490 c.c., comma 6 a causa del mancato deposito del bilancio da parte del liquidatore per tre anni consecutivi, che, alla stessa stregua dell’inerzia del liquidatore nel caso di mancato inserimento nel bilancio finale di liquidazione della posta attiva ancora incerta, anche nel caso di omesso deposito del bilancio per tre annualità consecutive la società aveva scelto, per mezzo del suo liquidatore, di restare inerte rispetto alle potenziali poste attive e che la cancellazione ex lege costituiva la conseguenza di un comportamento omissivo, ma pur sempre consapevole e volontario.

Aggiunse che il liquidatore aveva così preferito portare a conclusione il procedimento estintivo della società, sia pure in base ad un meccanismo ex lege, pur in assenza dell’escussione della posta attiva. Osservò ancora che “nel caso di specie a nulla rileva che tale posta attiva sia stata coltivata in più occasioni, anche in pendenza del procedimento estintivo, atteso che la giurisprudenza sopra richiamata afferma la sussistenza della presunzione di rinuncia anche nell’ipotesi in cui sia pendente un giudizio diretto ad ottenere l’accertamento e la condanna al pagamento del credito”.

5. Hanno proposto ricorso per cassazione C.M. e C.G. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. Il Collegio ha proceduto in camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 – bis convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale. Il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni motivate ritualmente comunicate alle parti. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 1, artt. 2490 e 2729 c.c., nonchè art. 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, premesso che alla luce di Cass. Sez. U. n. 6070 del 2013 si è verificata la successione dei soci nei rapporti attivi e passivi afferenti alla società, che la sentenza impugnata attribuisce alla mancata inclusione del credito nel bilancio finale, o alla mera pretesa, efficacia di presunzione legale di rinuncia del credito, con rovesciamento dell’onere della prova. Aggiunge che la mancata inclusione del credito nel bilancio di liquidazione non costituisce indizio grave e preciso di rinuncia, potendo dipendere da una pluralità di cause, diverse dalla volontà di rinuncia, e che in presenza di presunzione semplice il rispetto dell’obbligo di motivazione impone una motivazione che consenta di ricostruire con un minimo di razionalità il percorso argomentativo. Osserva ancora che nel caso di specie vi era stata ulteriore attività diretta al recupero del credito in quanto prima della cancellazione dal registro delle imprese disposta dal Tribunale, da cui era conseguita l’estinzione della società, era stato intimato il precetto per il pagamento dell’importo di cui al decreto ingiuntivo revocato dal Tribunale e successivamente alla cancellazione era stata accolta l’opposizione avverso l’intimato precetto.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 1, art. 2490 c.c., comma 6 e art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la presunzione di rinuncia al credito non può operare quando la volontà del liquidatore manchi del tutto e la cancellazione sia stata disposta d’ufficio, mancando in questo caso la scelta del liquidatore (il quale nella specie aveva comunque continuato a pretendere il pagamento del credito controverso), e che Cass. Sez. U. n. 6070 del 2013 si riferisce ad un caso di liquidazione volontaria. Aggiunge che la mancata approvazione di tre bilanci annuali di liquidazione non è espressione di alcuna volontà del legale rappresentante della società, ma soltanto dell’inerzia dei soci o della loro conflittualità, ovvero di altre cause che nulla hanno a che vedere con la volontà di non escutere determinati crediti.

3. I motivi, da valutare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di improcedibilità proposta dalla controricorrente per mancata attestazione della conformità all’originale della notificazione telematica della sentenza. La controricorrente non ha disconosciuto la conformità della copia informale all’originale, ma si è limitata a denunciare l’assenza di asseverazione. La mera denunzia di tale assenza, che non si accompagni al detto disconoscimento, è inidonea a determinare l’improcedibilità del ricorso (cfr. Cass. Sez. U. 25 marzo 2019, n. 8312).

3.1. Deve premettersi che il principio di diritto enunciato da Cass. sez. U. 12 marzo 2013, n. 6070 è quello della successione dei soci nei rapporti giuridici attivi della società estinta a seguito di cancellazione dal registro delle imprese. I diritti ed i beni si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o di comunione indivisa. Come chiarito da Cass. 22 maggio 2020, n. 9464, a tale regola fanno eccezione i casi di intervento di remissione del debito da parte della società, fattispecie che deve essere allegata e provata da chi la opponga. Si tratta di negozio abdicativo unilaterale e recettizio, il quale può avere anche carattere tacito e manifestarsi mediante un comportamento concludente (che abbia un contenuto assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto di credito). Quando quindi Cass. Sez. U. 12 marzo 2013, n. 6070 intende la scelta della cancellazione dal registro, senza prima svolgere alcuna attività volta a far accertare o liquidare il credito, come tacita manifestazione di volontà di rinunciare al credito, si sta invero riferendo alla manifestazione tacita di remissione del debito. Tale conclusione implica due passaggi: dapprima un giudizio di fatto, esercitato mediante presunzione semplice, circa l’esistenza ed il contenuto della volontà negoziale; in secondo luogo il giudizio di diritto caratterizzato dalla sussunzione della fattispecie nella categoria di negozio abdicativo.

Come affermato da Cass. n. 9464 del 2020, “sarebbe dunque errato presumere sempre iuris et de iure, in presenza di una cancellazione richiesta dal liquidatore della società ed operata in corso di causa, una rinuncia della stessa al diritto azionato”. Non può sfuggire che la corte territoriale, affermando che al mancato deposito del bilancio da parte del liquidatore per tre anni consecutivi, quale presupposto di fatto della cancellazione di ufficio dal registro delle imprese, corrisponde la rinuncia al diritto di credito, ha introdotto una presunzione in grado di stabilire un’inversione dell’onere della prova non prevista dalla legge e dunque in violazione dell’art. 2728 c.c., comma 1. Come si è detto, resta onere di chi opponga, al fenomeno successorio in capo ai soci, la rinuncia al diritto di credito provare la relativa fattispecie e la parte non può essere dispensata dalla prova per il sol fatto che vi sia stato il mancato deposito del bilancio per tre anni. Anche nel caso della cancellazione volontaria, secondo quanto precisato dalle Sezioni Unite nel 2013, non è la mera scelta della cancellazione dal registro a fondare la presunzione, ma tale evenienza unitamente ad altre circostanze, quali le mere pretese o un diritto di credito per il quale sia mancata l’attività destinata a renderlo liquido. Si tratta quindi di presunzione semplice, e non della presunzione legale iuris tantum di cui all’art. 2728, comma 1.

Deve a questo punto distinguersi il piano processuale della prova da quello di diritto sostanziale. Una cosa è l’inferenza presuntiva ricavabile dall’omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi, altra cosa è la natura di comportamento concludente di tale contegno omissivo in funzione dell’affidamento che esso può ingenerare quanto all’esistenza di una volontà di remissione del debito. Si avrà pertanto che, dal contegno omissivo in discorso, mentre il giudice dovrebbe inferire in chiave probatoria l’esistenza della rinuncia, il debitore, quale destinatario di quest’ultima, dovrebbe, sulla base di una oggettiva e socialmente riconoscibile concludenza, inferire la volontà abdicativa. A quest’ultimo proposito non può sfuggire che, come evidenziato sempre da Cass. n. 9464 del 2020, è necessario che la tacita remissione del debito sia ricevuta dal debitore (cfr. art. 1236 c.c.), mentre tale caratteristica non è immanente alla cancellazione dal registro, la quale è rivolta ad una pluralità indifferenziata di destinatari. Si tratta di un comportamento non rivolto ad alcun destinatario che lascia aperto il problema della cognizione effettiva da parte del debitore. Non a caso, come si è appena detto, per le Sezioni Unite nel 2013, non è la mera scelta della cancellazione dal registro a fondare la presunzione, ma tale evenienza unitamente ad altre circostanze, quali le mere pretese o un diritto di credito per il quale sia mancata l’attività destinata a renderlo liquido.

Ciò premesso, va detto che Cass. 6 aprile 2018, n. 8582, richiamando analoga conclusione di Cass. 25 ottobre 2016, n. 21517, ha affermato che dalla mancata presentazione per oltre tre anni consecutivi del bilancio annuale, da cui consegue la cancellazione d’ufficio, non emerge un’inequivoca volontà abdicativa della posizione attiva da parte della società. Il Collegio intende dare continuità a tale indirizzo, anche alla luce della considerazione che nel caso di cancellazione officiosa per l’omissione reiterata nel triennio non è possibile scorgere, dietro alla cancellazione, un’univoca manifestazione di volontà di rinuncia, come potrebbe invece astrattamente essere nel caso in cui con la cancellazione volontaria la società abbia scelto di addivenire all’immediata estinzione. Tale conclusione deve tuttavia essere resa coerente alla natura del sindacato di legittimità. Al riguardo va precisato quanto segue.

Sulla base dei due piani sopra evidenziati (processuale e sostanziale) ed alla luce di quanto osservato, il fatto noto rappresentato dall’omissione del liquidatore non è sussumibile nella figura normativa della presunzione semplice e non può dunque costituire la premessa dell’inferenza presuntiva. Qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri identificativi della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3, competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 26 giugno 2008, n. 17535; 4 agosto 2017, n. 19485; 16 novembre 2018, n. 29635). Ricorre pertanto in tale frangente un’ipotesi di errata applicazione della fattispecie legale della presunzione semplice.

Considerando invece il piano di diritto sostanziale, deve concludersi nel senso che il mero contegno omissivo in discorso, senza ulteriori circostanze caratterizzanti il caso concreto, non è qualificabile come negozio di remissione del debito (ad analoghe conclusioni, con riferimento alla mancata evidenziazione nel bilancio di società estinta dei crediti, giungono Cass. 26 gennaio 2021, n. 1724 e 14 dicembre 2020, n. 28439). Anche nel caso del contegno concludente (qui di carattere omissivo) opera un meccanismo inferenziale (alla stessa stregua della presunzione quale mezzo di prova nel processo), perchè si tratta di inferire da un comportamento un determinato significato, oggettivo e socialmente riconoscibile, come affermato da una classica dottrina (che, al riguardo, richiama il criterio posto dall’art. 476 per l’accettazione tacita dell’eredità). La mera omissione di deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi non è qualificabile come comportamento negoziale abdicativo del credito per l’assenza dell’inferenza necessaria di una volontà in tale senso, diretta al debitore, sul piano tipico della valutazione astratta e generale.

E’ appena il caso di aggiungere che la circostanza evidenziata in controricorso (e poi in memoria) della contumacia del liquidatore nel giudizio di opposizione a precetto non può essere valutata nella presente sede di legittimità in quanto non oggetto di accertamento da parte del giudice di merito, il quale ha anzi evidenziato, pur non conferendovi rilievo, che la posta attiva era “stata coltivata in più occasioni, anche in pendenza del procedimento estintivo”.

Il giudice di merito dovrà accertare se, rispetto alla circostanza dell’omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi, ricorrano ulteriori circostanze che permettano di sussumere la fattispecie dal punto di vista processuale in un procedimento presuntivo semplice e consentano di qualificare la fattispecie di diritto sostanziale nei termini di una remissione del debito.

3.2. Il giudice di merito, cui va rinviata la causa, deve in conclusione attenersi al seguente principio di diritto: “il mero omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi, da cui consegua la cancellazione d’ufficio della società dal registro delle imprese, non costituisce presunzione grave, precisa e concordante di rinuncia al credito di cui la società era titolare e non è qualificabile come negozio di remissione del debito”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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