Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13533 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 20/05/2019), n.13533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14802/2017 proposto da:

UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE ANDREOLI 2, presso

lo studio dell’avvocato LUCIANO PALLADINO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANLUCA MARIA ROSSI;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

contro

F.A., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato FRANCESCO

LAURETTA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 226/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 28/04/2017 R.G.N. 764/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/02/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per inammissibilità in

subordine rigetto di entrambi ricorsi;

udito l’Avvocato GIANLUCA ROSSI;

udito l’Avvocato FRANCESCO LAURETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato risolto dalla data del licenziamento il rapporto tra F.A. e Unicredit s.p.a. che è stata condannata al pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata in venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

1.1. Il giudice di appello, premesso che la condotta addebitata al F. era riferita all’episodio del 24 gennaio 2013 mentre analogo episodio, verificatosi qualche giorno prima (4 gennaio 2013), era stato evocato solo al fine di rimarcare la gravità dell’episodio successivo – unico oggetto di contestazione -, ha ritenuto, in concreto, la sanzione inflitta sproporzionata all’entità dell’addebito, con applicazione della tutela di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 5, nel testo novellato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Unicredit s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi; Unicredit s.p.a. ha depositato controricorso avverso ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi di ricorso principale.

1. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente principale, denunziando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., L. 15 luglio 1966, n. 604, artt. 1 e 2, nonchè dei “principi univoci” espressi dalla Suprema Corte, censura la sentenza impugnata per avere escluso che la condotta contestata configurasse giusta causa di licenziamento.

2. Con il secondo motivo, denunziando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, incongruità e contraddittorietà di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere, in sintesi, da un lato riconosciuto la gravità dei fatti addebitati e, dall’altro, cercato di sminuirne la portata, specie sotto il profilo soggettivo, valorizzando a tal fine elementi che asserisce essere incongrui o illogici.

Sintesi dei motivi di ricorso incidentale

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale F.A., denunziando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2106 c.c., dell’art. 44 c.c.n.l. Associazione Bancaria Italiana e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970 cit., art. 18, comma 4, censura la sentenza impugnata per avere escluso la applicabilità della tutela reintegratoria. Assume a tal fine non necessario che la condotta oggetto di addebito fosse specificamente e tassativamente sanzionata dal contratto collettivo con una misura conservativa essendo consentito al giudice di valutare la sussumibilità della stessa anche in fattispecie genericamente formulate. Secondo il ricorrente, infatti, una diversa opzione interpretativa del disposto della L. n. 300 del 1970 cit., art. 18, comma 4, nel testo novellato ex lege n. 92 del 2012, comporterebbe la ingiustificata conseguenza di far ricadere sul piano della tutela del lavoratore gli effetti della genericità delle previsioni collettive in tema di condotte sanzionabili e di relativa gradazione.

4. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla insussistenza del fatto contestato per carenza di danno all’immagine della banca, ai beni aziendali e di pregiudizio all’attività lavorativa e alla serenità dei colleghi.

Esame dei motivi di ricorso principale.

5. Il primo motivo di ricorso principale è infondato.

5.1. La sentenza muove dall’assunto, conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 26/03/2018 n. 7426; Cass. 13/12/2010 n. 25144), secondo il quale i concetti di giusta causa di licenziamento e di proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono clausole generali, vale a dire disposizioni di limitato contenuto che richiedono di essere concretizzate dall’interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione però che la contestazione in tale sede contenga una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli “standards” esistenti nella realtà sociale e non si traduca in una richiesta di accertamento della concreta ricorrenza degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo, accertamento che è riservato ai giudici di merito.

5.2. Data questa premessa le argomentazione sviluppate dalla ricorrente principale in relazione a singoli profili, che si andranno ad evidenziare, non ricostruiscono alcuno specifico standard esistente nella realtà sociale o principi fondamentali del nostro ordinamento rispetto ai quali l’attività di integrazione della clausola generale da parte del giudice di merito si rivela in contrasto. Le pronunzie di legittimità evocate dalla parte ricorrente, alle quali è sostanzialmente affidata la dimostrazione della esistenza di principi che si asseriscono in contrasto con i parametri ai quali ha fatto riferimento la Corte di merito, non offrono elementi di supporto alle censure sviluppate.

5.3. La sentenza impugnata, infatti, in termini chiari ed inequivoci, ha riconosciuto il disvalore delle condotte ascritte al dipendente in relazione all’episodio contestato, evidenziando come il comportamento del F. fosse stato adottato anche in violazione delle più elementari regole della buona educazione e come lo stesso dovesse considerarsi “grave” stante la manifesta sproporzione delle reazioni avute dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni ordinariamente esercitate. Ha ritenuto, tuttavia, che tali episodi di “intemperanza” andavano inquadrati nell’ambito del più ampio contesto della problematicità dei rapporti con la datrice di lavoro, della particolare situazione di malessere nella quale versava il lavoratore e, soprattutto, dell’assenza di precedenti disciplinari nell’ambito di un rapporto di lavoro durato circa ventisei anni. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo il giudice del merito ha considerato che il comportamento addebitato costituiva manifestazione del carattere del F., incline a somatizzare il disagio e a lasciarsi andare a manifestazioni impulsive e che ciò escludeva la configurabilità della colpa grave. La valutazione complessiva degli elementi richiamati ha indotto il giudice di merito a ricondurre nell’ambito della “eccezionalità” il comportamento del dipendente, con implicita valutazione di inidoneità dello stesso ad autorizzare una prognosi sfavorevole sotto il profilo del vincolo fiduciario.

5.4. Tanto premesso, ribadito che la sentenza impugnata non mette in alcun modo in discussione, sul piano oggettivo, il disvalore della condotta ascritta, la valutazione di non proporzionalità della sanzione espulsiva è frutto di accertamento – che il giudice di merito è tenuto ad effettuare con riferimento alle circostanze del caso concreto (Cass. 18/09/2012 n. 15654; Cass. 23/02/2012 n. 2720; Cass. 01/03/2011 n. 5019; Cass. 20/08/2003 n. 12273) onde accertare la reale gravità dell’addebito, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, accertamento sindacabile in sede di legittimità solo per vizio motivazionale (v. tra le altre, Cass. 25/05/2012, n. 8293; Cass. 19/10/2007, n. 21965), non validamente dedotto dall’odierna ricorrente principale.

6. Invero il secondo motivo di ricorso, che denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, incongruità e contraddittorietà della motivazione, non è articolato in conformità del mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis, richiedendosi a tal fine la denunzia di omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, fatto neppure formalmente individuato nel rispetto delle indicazioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, come prescritto (Cass. Sez. Un. 7/4/2014 n. 8053).

Esame dei motivi di ricorso incidentale.

7. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.

7.1. La statuizione del giudice del reclamo che riconosce la sola tutela cd. indennitaria in presenza di licenziamento ritenuto illegittimo per difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva è conforme alla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito che in tema di licenziamento disciplinare, qualora vi sia sproporzione tra sanzione e infrazione, spetta la sola tutela risarcitoria ove la condotta in addebito non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa; in tal caso il difetto di proporzionalità ricade, difatti, tra le “altre ipotesi” di cui al novellato comma 5 della L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla cit. L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento ed è accordata la tutela indennitaria cd. forte (Cass. 12/10/2018 n. 25534; 17/10/2018 n. 26013; Cass. 16/7/2018 n. 18823; Cass. 25/5/2017 n. 13178; Cass. 6/11/2014 n. 23669).

7.2. A tale indirizzo si ritiene di dare continuità dovendo rimarcarsi, in contrasto con gli assunti difensivi dell’odierno ricorrente, che la prospettazione di una disparità di trattamento in tema di tutela applicabile, connessa alla tipizzazione o meno operata dalle parti collettive delle condotte di rilievo disciplinare, costituisce, come sottolineato da alcune voci di dottrina, espressione di una libera scelta del legislatore, fondata sulla valorizzazione e il rispetto dell’autonomia collettiva in materia.

8. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Premesso che alla fattispecie in esame, secondo quanto già chiarito sub paragrafo 6, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, si rileva che la deduzione di “omesso esame” è affidata alla deduzione di circostanze le quali, in disparte ogni valutazione attinente alla decisività delle stesse, sono evocate senza il rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e tanto è sufficiente a determinare il mancato accoglimento della censura.

9. Al rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale segue la compensazione delle spese del giudizio.

10. Sussistono i presupposti per l’applicabilità nei confronti di entrambe le parti ricorrenti del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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