Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13532 del 04/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/06/2010, (ud. 23/02/2010, dep. 04/06/2010), n.13532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27760/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

B.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 141/2006 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di BOLOGNA del 5/12/06, depositata il 03/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate propone, nei confronti di B.P. (che resiste con controricorso), ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento Irpef relativo il 1996 – emesso in relazione ad accertamento di maggior reddito a carico della Praxis s.r.l., della quale il B. risultava essere l’unico socio, presumendo la distribuzione occulta a suo favore degli utili sociali non contabilizzati, la C.T.R. Emilia Romagna confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso del contribuente), rilevando che nella stessa data era stato rigettato dalla medesima commissione l’appello proposto dall’Ufficio avverso altra sentenza della C.T.P. di Ravenna che aveva ritenuto l’illegittimità dell’accertamento di maggior reddito nei confronti della società.

2. Il terzo motivo di ricorso (col quale si vizio di motivazione per avere i giudici d’appello motivato la propria decisione unicamente con un richiamo alla sentenza decisa nei confronti della società, senza neppure verificare se essa fosse passata in giudicato e senza valutare le censure proposte dall’appellante), da esaminare prioritariamente per ragioni logiche, è manifestamente fondato.

In proposito, rilevato che nella specie la motivazione è sostanzialmente assorbita completamente dal rinvio ad altra decisione, occorre premettere che una sentenza può fare riferimento ad altra precedente decisione sia per rinviare per relationem alle argomentazioni di questa, sia per l’esistenza di un preciso rapporto tra la sentenza motivanda e quella richiamata, nel qual caso la motivazione della sentenza operante il riferimento non è costituita dalle argomentazioni esposte in quella richiamata, ma dal riferimento stesso all’esistenza di essa e dalla esposizione del rapporto sussistente tra le due decisioni (pregiudizialità, preclusione da giudicato, stare decisis o altro).

Con riguardo al primo caso, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità si è posta il problema dei limiti di ammissibilità della motivazione per relationem soprattutto con riguardo ai rapporti tra sentenza di appello e sentenza di primo grado, sostenendo che la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame è legittima purchè il giudice di appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pur sinteticamente, le ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto, mentre deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello quando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di impugnazione (v. tra numerose altre Cass. n. 3547 del 2002, n. 2196 del 2003, n. 20454 del 2005, n. 2268 del 2006 e n. 3636 del 2007).

Per quanto concerne invece il rinvio per relationem non alla sentenza di primo grado bensì (come nella specie) ad altra sentenza pronunciata in un diverso processo (ad esempio, sentenza pronunciata dal medesimo giudice sulla stessa questione o tra le stesse parti), deve ritenersi che la motivazione che si esaurisca solo nel predetto rinvio e non sia autonoma dalla sentenza richiamata sia insufficiente, non potendo obbligarsi le parti a ricercare fuori del processo, nella sentenza oggetto del rinvio, le ragioni della decisione che esse hanno viceversa diritto di conoscere solo attraverso la lettura della sentenza che eventualmente effettui il rinvio, e, su questa linea, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto sufficiente la motivazione nella quale il giudice aveva fatto esplicito riferimento ad una propria precedente decisione relativa ad una controversia simile, essenzialmente sulla base del rilievo che il suddetto rinvio non aveva esaurito la motivazione della sentenza, nella quale, invece, la relativa “ratio decidendi” era stata esplicitata in modo chiaro e con specifico riferimento alla fattispecie esaminata (v. Cassa delle Ammende. n. 15949 del 2001).

Con riguardo alla seconda ipotesi (richiamo alla precedente decisione perchè condizionante la sentenza motivanda, che sembrerebbe di fatto invocata nella specie dai giudici d’appello) è appena il caso di rilevare che, ritenuta la sussistenza di un rapporto in base al quale la definizione della controversia resta necessariamente condizionata da una precedente decisione, il giudice assolve al proprio obbligo motivazionale solo se (a differenza di quanto accaduto nella specie), accertato il passaggio in giudicato della decisione “pregiudicante”, espliciti e motivi (sul piano giuridico e non meramente logico) la natura del rapporto tra le due decisioni, dovendo altrimenti il suddetto giudice, nella ricorrenza dei relativi presupposti, disporre la sospensione ex art. 295 c.p.c., ovvero motivare autonomamente e sufficientemente la propria decisione (ossia a prescindere da quella ritenuta in qualche misura “pregiudicante”).

Il terzo motivo deve essere pertanto accolto, con assorbimento degli altri e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità, a diversa sezione della C.T.R. Emilia Romagna.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2010

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