Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13531 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. I, 30/05/2017, (ud. 14/03/2017, dep.30/05/2017),  n. 13531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4062/2015 proposto da:

C.V., C.E., domiciliate in Roma, Piazza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentate e difese dall’avvocato Riccardo Marzo, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Sannicola, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Laura Mantegazza n. 24,

presso il Dott. Gardin Marco, rappresentato e difeso dall’avvocato

Marra Roberto Gualtiero, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 583/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 08/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/03/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 8.9.2014, la Corte d’Appello di Lecce ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di quella Città aveva rigettato la domanda, proposta, con atto del 2.12.2000, da C.V. ed E. nei confronti del Comune di Sannicola. Dopo aver precisato che la domanda era incentrata sulla spettanza dell’indennizzo per imposizione e reiterazione di vincoli d’inedificabilità e non involgeva richieste risarcitorie da comportamento illecito dell’Amministrazione, domanda che la decisione di primo grado non aveva considerato, senza fosse stata censurata l’omessa pronuncia, la Corte ha escluso la spettanza dell’indennizzo, evidenziando, da una parte, che, in base al PRG del 1974, il fondo di proprietà delle C. era destinato in parte a zona C/4 in parte a zona E/4 ed in parte a strada di progetto, che i primi due vincoli avevano carattere conformativo, mentre il terzo non era stato reiterato, e, dall’altra, che la valutazione non implicava l’esame del PUG, che aveva destinato l’area a parco con inedificabilità assoluta, perchè intervenuto nel 2007, nel corso del giudizio.

Per la cassazione della sentenza, hanno proposto ricorso C.V. ed E. con otto motivi, ai quali il Comune ha resistito con controricorso, successivamente illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va, preliminarmente, rilevata l’inammissibilità della memoria delle ricorrenti, depositata fuori termine dalle ricorrenti il 7.3.2017, in riferimento all’adunanza fissata per il successivo giorno 14 (art. 380 bis c.p.c., comma 1).

2 Col primo ed il secondo motivo, le ricorrenti lamentano, sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e della violazione dell’art. 112 c.p.c., la mancata valutazione della domanda di risarcimento del danno già contenuta nell’atto di citazione, poi precisata con atto di riassunzione e memorie ex art. 183 c.p.c. e rigettata dal primo giudice, con statuizione da loro puntualmente criticata in seno all’appello.

3. Col terzo motivo, si denuncia l’omessa pronuncia sul fatto decisivo per il giudizio, nonchè la violazione della L. n. 1187 del 1968, art. 2; artt. 42 e 97 Cost.; 1, prot. Add. 1 CEDU. La Corte distrettuale aveva qualificato come conformativo il vincolo a zona C/4 in totale contrasto con quanto accertato dal CTU, che ne aveva rilevato il carattere sostanzialmente espropriativo per l’impossibilità di qualunque sfruttamento edilizio da parte delle proprietarie, dato che la lottizzazione non era attuabile per le dimensioni del comprensorio esteso oltre 80.000 mq. e per la notevole parcellizzazione del relativo assetto proprietario.

4. Col quarto motivo, le ricorrenti lamentano, in riferimento al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, l’omesso esame circa il fatto decisivo attinente alla natura sostanzialmente espropriativa del vincolo di rinvio o strumentale gravante sulla loro proprietà, dato che l’intervento era attuabile all’esito dell’approvazione di un successivo piano di natura attuativa, che non era mai intervenuta.

5. Col quinto motivo, si denuncia l’omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio relativo alla reiterazione del vincolo sostanzialmente espropriativo per la zona E/4 e la porzione destinata a strada.

6. Col sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sulla domanda risarcitoria formulata, senza considerare che in seno alla citazione introduttiva ed all’atto di riassunzione si era fatto riferimento, proprio, alla “totale incertezza urbanistica” ed al comportamento omissivo del Comune che avrebbe avuto l’obbligo di provvedere mediante regolare pianificazione urbanistica di tipo attuativo (piano particolareggiato), ed invece aveva impedito per circa quaranta anni l’utilizzo della proprietà.

7. Col settimo motivo, le ricorrenti deducono l’omesso esame circa “il fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, attinente alla contraddittorietà tra l’implicito riconoscimento contenuto nella sentenza di primo grado delle circostanze indicate sub a) b) c) d) del primo motivo dell’atto d’appello, e la dichiarata natura conformativa dei corrispondenti vincoli. Omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno e violazione dell’art. 112 c.p.c.”. Il giudice di primo grado ha, incongruamente, ritenuto il vincolo di natura conformativa, pur avendo dato atto che era mancata l’adozione del piano particolareggiato e che era impossibile la presentazione di un piano di lottizzazione.

8. Con l’ottavo motivo, si denuncia l’omesso esame circa il fatto decisivo relativo alla rilevanza del PUG 2007, come ulteriore atto di reiterazione dei precedenti comportamenti illeciti e fonte di ulteriori danni risarcibili e la violazione dell’art. 2043 c.c.. Con il predetto atto, la precedente destinazione “zona C4 turistico residenziale” con indice di edificabilità 3 mc/mq è divenuta “zona V3 parco territoriale”, con vincolo d’inedificabilità assoluta, e conseguente danno.

9. I motivi terzo e quarto, da cui occorre muovere per comodità espositive, sono infondati.

10. Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. funditus Cass. n. 3620 del 2016) la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi va operata in relazione agli effetti dell’atto di pianificazione: ove esso miri ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area. Siffatta valutazione va compiuta, anche quando si tratti di stabilire la natura di un vincolo d’inedificabilità, che non costituisce eccezione a tale regola, sicchè quando è frutto del potere di zonizzazione ha carattere conformativo, in attuazione del principio della funzione sociale della proprietà, mentre quando è imposto a carattere particolare costituisce un vincolo a carattere espropriativo. Nell’ambito della seconda categoria di vincoli – e cioè delle imposizioni non aventi carattere generale ed obbiettivo – il carattere espropriativo è stato ravvisato (cfr. Corte Cost. n. 6/1966) sia nel caso di vincoli preordinati al successivo trasferimento della proprietà del bene sia nel caso in cui i vincoli stessi incidano sul godimento del bene, rimasto in proprietà al privato, “tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso”. 11. Tali principi sono stati riprodotti da Corte Cost. n. 55/1968, che, ferma restando la legittimità, a monte, del potere di zonizzazione, ha dichiarato l’illegittimità delle norme della legge urbanistica (art. 7, nn. 2, 3 e 4) immediatamente operative nei confronti di diritti reali che ponevano vincoli a carattere particolare ed a tempo indeterminato preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi a carico della proprietà privata senza previsione di indennizzo. E’ dunque intervenuta la L. n. 1187 del 1968, il cui art. 2 ha sancito la decadenza quinquennale per le sole indicazioni di p.r.g. “nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportano l’inedificabilità” (disciplina ora abrogata dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 58 e sostituita dall’art. 9 stesso decreto). Successivamente, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 179 del 1999, ha affermato che fuoriescono dallo schema ablatorio-espropriativo e dalle connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente soggetti all’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene (cfr. Cass. n. 3620 del 2016 cit. e Cons. Stato n. 1669 del 2015).

12. Alla stregua dei suddetti principi, l’inclusione del suolo delle C. in un intero comparto omogeneo C/4, ha certamente carattere conformativo, restando perciò solo esclusa l’applicazione dell’art. 39 T.U. (anche alle situazioni pregresse), la quale richiede: a) l’apposizione di un vincolo espropriativo (nei sensi indicati al p. 10) sul terreno delle ricorrenti; b) la formale reiterazione del vincolo prima della sua scadenza originaria (Cass. n. 3610 e n. 3462/2017; 19809/2016; n. 14774/2012). E tuttavia la natura espropriativa viene riferita dalle ricorrenti non già alla previsione del PRG, avente efficacia a tempo indeterminato (Cons. St. n. 3682/2011; n. 940/2008), che conferisce il carattere dell’edificabilità alla zona (ancorchè irrilevante ai fini della summa divisio tra vincoli conformativi ed espropriativi), ma alla necessità della successiva emanazione di strumenti attuativi, per la cui redazione non è fissato alcun termine finale certo (tanto che si lamenta un’inerzia di quarant’anni); situazione che, secondo la giurisprudenza amministrativa invocata dalle ricorrenti, comporta la soggezione di quei vincoli, c.d. “di rinvio” o “strumentali”, a decadenza quinquennale, in quanto tale modus procedendi sposta in avanti le scelte amministrativo-urbanistiche e l’esercizio della relativa discrezionalità, e con esse l’utilizzabilità dei suoli. Ma, sempre secondo la stessa giurisprudenza amministrativa, che qui si condivide (cfr. Cons. Stato 24.3.2009 n. 1765; 30 giugno 1997 n. 761; 7 aprile 1997 n. 343), la decadenza riguarda non le prescrizioni conformative del Piano, ma, come risulta testualmente dalla L. n. 1187 del 1968, art. 2, da cui è stata tratta, le sole “indicazioni incidenti su beni determinati” assoggettate “a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità”; e d’altra parte anche in queste ultime fattispecie, non ha luogo nei casi in cui, proprio come in quello in esame, in alternativa al piano particolareggiato sia prevista dal p.r.g. la possibilità di ricorso ad un piano di lottizzazione ad iniziativa privata, ovvero ad un progetto avente la stessa fonte, che abbia il contenuto e lo scopo di un piano attuativo: in tale evenienza, infatti, la possibilità di una pianificazione di livello derivato ad iniziativa privata esclude la configurabilità dello schema ablatorio e quindi, conseguentemente, la decadenza quinquennale del relativo vincolo (ipotizzabile soltanto ex art. 2 cit. ove il piano di lottizzazione presentato non sia autorizzato nel quinquennio in questione), senza che siano rilevanti i dati (peraltro contestati in fatto dal Comune controricorrente) dell’estensione dell’area interessata e della parcellizzazione delle proprietà. Del resto, che la necessità della lottizzazione per il rilascio delle concessioni edilizie non abbia comportato un vincolo d’inedificabilità del suolo delle ricorrenti è circostanza che è stata accertata inter partes dal Consiglio di Stato, che, con la sentenza n. 5953 del 2006, resa a definizione del giudizio instaurato dalle ricorrenti avverso il provvedimento di diniego al rilascio della concessione edilizia, non ha mancato di evidenziare come “per le aree di proprietà delle ricorrenti lo strumento urbanistico approvato richieda la previa lottizzazione e che questa non operi per diniego del comune o assenza di accordo dei proprietari, non è conclusivamente nè sintomo di violazione di legge del diniego di concessione nè indice di vincolo di inedificabilità assoluta suscettibile di essere dichiarato decaduto dopo il quinquennio onde permettere l’edificazione”.

13. Il quinto motivo è inammissibile. Esso pur testualmente riferito al rigetto della richiesta indennitaria relativa alla zona E/4 ed alla porzione destinata a strada, ribadisce gli argomenti relativi al rigetto delle concessioni edilizie, sicchè non investe la ratio decidendi svolta al riguardo dall’impugnata sentenza, che ha, in parte qua, rigettato la domanda evidenziando la mancata reiterazione del vincolo a strada, ritenuto a carattere espropriativo, e la natura conformativa della destinazione a verde.

14. Anche il settimo motivo è inammissibile: non solo, come riconoscono le stesse ricorrenti, il rigetto del primo motivo d’appello (con cui si lamentava l’asserita contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado) non ha in sè alcuna incidenza formale o sostanziale col merito della decisione, ma la censura non investe, neppure in questo caso, le ragioni addotte al riguardo dalla Corte territoriale.

15. I motivi primo e secondo, da valutarsi congiuntamente, perchè relativi alla domanda risarcitoria, sono infondati. L’esame degli atti consentito a questa Corte in ragione del vizio processuale dedotto (omessa pronuncia su una domanda che si asserisce proposta) consente bensì di ritenere proposta la domanda risarcitoria, in riferimento agli allegati comportamenti omissivi del Comune forieri dell’asserito danno connesso all’incertezza dell’effettiva destinazione urbanistica dell’area ed alla richiesta di compenso-indennizzo, ma la cassazione con rinvio può essere evitata, per esigenze di economia processuale, quando la pretesa, sulla quale si riscontri mancare la pronuncia, avrebbe dovuto essere rigettata o potuto essere decisa nel merito, purchè senza necessità di ulteriori accertamenti in fatto (cfr. da ultimo, Cass. 28/10/2015 n. 21968). 16. Il caso ricorre nella specie. La domanda risarcitoria è infondata, non solo per l’insussistenza del vincolo espropriativo e della decadenza delle prescrizioni di inedificabilità, ipotizzate in ricorso, che escludevano la dedotta incertezza della destinazione urbanistica dell’area, ma, pure, nell’ottica delle C.: opinando con loro, infatti, a fronte dell’inerzia dell’autorità comunale o di reiterare il vincolo (con previsione di indennizzo), ovvero, in alternativa, di provvedere all’integrazione dello strumento pianificatorio (divenuto in tesi parzialmente inoperante) con l’assegnazione di una nuova destinazione, le ricorrenti avrebbero dovuto promuovere gli interventi sostitutivi della Regione (della L. n. 10 del 1977, ex art. 4, comma 7), oppure reagire attraverso la procedura di messa in mora per far accertare l’illegittimità del silenzio.

Solo in caso di persistente inerzia della p.a. può configurarsi la lesione del bene della vita identificabile nell’interesse alla certezza circa la possibilità di razionale e adeguata utilizzazione della proprietà, con conseguente diritto del privato al risarcimento del danno subito (cfr. Cass. n. 8384/2008; 18105/2010; 8530/2010; 5443/16; 3308/2017).

17. L’ottavo motivo va, in conseguenza, rigettato.

18 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 8.000,00, di cui Euro 200,00 per spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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