Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13531 del 20/06/2011

Cassazione civile sez. II, 20/06/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 20/06/2011), n.13531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.M., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Giampà Franco del foro

di Rovereto e domiciliato presso la cancelleria della Suprema Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

L.E.;

– intimato non costituito –

avverso la sentenza della Corte di appello di Trento n. 119/2005

depositata il 13 aprile 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 23

febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che – in assenza della parte

ricorrente – ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.M. evocava, dinanzi al Tribunale di Rovereto, L. E. esponendo di avere stipulato contratto preliminare di compravendita con il convenuto, in data 7.5.2001, relativo all’immobile sito in (OMISSIS)) al prezzo di L. 30.000.000, oltre alla permuta di un appartamento che l’attore, promissario acquirente, si era impegnato a realizzare nell’ambito della ristrutturazione del predetto bene, precisando di avere consegnato al promittente venditore, alla stipula del preliminare, la somma contante di L. 30.000.000. Aggiungeva che nei mesi a seguire aveva sopportato tutte le spese necessarie alla progettazione per la ristrutturazione dell’immobile e nel corso di due incontri fissati nel dicembre 2001 avanti al notaio, volti alla stipula del contratto definitivo, aveva scoperto l’esistenza di un pignoramento gravante sull’immobile promesso, per cui le parti avevano concordato di definire il rogito per il mese di gennaio 2002, con la previsione di detrarre l’importo portato dalla iscrizione pregiudizievole dalle rifiniture dell’appartamento offerto in permuta al promittente venditore, ma successivamente il L. mutava volontà e dichiarava di non essere disposto a stipulare il definitivo, avendo intenzione di cedere il bene a terzi a condizioni per lui più vantaggiose.

Tanto premesso, l’attore chiedeva la pronuncia di una sentenza che tenesse luogo del contratto non concluso ex art. 2932 c.c., relativamente al predetto immobile.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il quale eccepiva preliminarmente l’incompetenza del giudice adito per la presenza nel preliminare di vendita di una clausola compromissoria, nel merito, deduceva l’inadempimento della controparte e la nullità del preliminare per indeterminabilità dell’oggetto di vendita, il Tribunale adito accoglieva la domanda attorea e pronunciava sentenza ex art. 2932 c.c., trasferendo l’immobile al N., con condanna del convenuto alle spese processuali.

In virtù di rituale appello interposto dal L., con il quale ribadiva l’asserita incompetenza del Tribunale adito stante la clausola arbitrale contenuta nel preliminare di vendita, nel merito, assumeva l’erroneità della decisione per non essere stato riconosciuto dal giudice di prime cure l’essenzialità del termine di tre mesi previsto dal contratto per la stipula del definitivo, non affrontata la questione della nullità del contratto, nonchè l’arbitrarietà del termine di 18 mesi per la consegna dell’appartamento dato in permuta da computarsi dall’inizio dei lavori e rilascio delle concessioni edilizie, la Corte di appello di Trento, nella resistenza dell’appellato, accoglieva il gravame e rigettava la domanda attorea.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale evidenziava che l’interpretazione restrittiva della clausola compromissoria contenuta nel contratto preliminare, offerta dal giudice di prime cure ed esaminata a seguito di tempestiva eccezione sollevata dal L., non fosse da condividere in quanto trattandosi di arbitrato irritale, l’arbitro da nominare avrebbe assunto la veste di mandatario ed avrebbe potuto avvalersi di tutti i mezzi giuridici idonei alfa definizione del rapporto, avendo le parti con la clausola implicitamente rinunciato ad avvalersi della tutela giurisdizionale per ottenere l’osservanza di qualsiasi diritto scaturente dal contratto in contestazione.

Aggiungeva che detta interpretazione rispettava l’effettiva volontà delle parti contraenti, tanto che il Tribunale nel decidere la controversia, nel merito, era stato costretto a svolgere attività interpretativa del contratto, che dal tenore della clausola emergeva essere riservata al giudizio arbitrale.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Trento ha proposto ricorso per cassazione il N., che risulta articolato su un unico motivo sebbene sviluppato sotto duplice profilo.

L’intimato non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo, articolato sotto un duplice profilo riferibile ora all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ora al n. 5, il ricorrente deduce la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione circa il deferimento al collegio arbitrale della controversia e la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 1 e 345 c.p.c.. Più specificamente, il N. critica l’impugnata sentenza, sostenendo che la Corte di merito ha male interpretato il contenuto della clausola compromissoria, di cui a preliminare di vendita, siccome con essa le parti avevano inteso devolvere ad arbitri amichevoli – compositori non ogni controversia, ma solo le liti che fossero insorte in ordine all’applicazione ovvero all’interpretazione del contratto. La presente controversia esulando da detto ambito, per essere la domanda introdotta attorea volta ad ottenere una pronuncia ex art. 2932 c.c.. In altre parole, il tema introdotto dall’attore atterrebbe alla esecuzione del contratto e non già alla sua interpretazione, per cui andrebbe discusso in sede contenziosa, mentre la contrapposta eccezione di merito relativa alla risoluzione del contratto, proprio perchè sollevata dal convenuto direttamente al giudice ordinario, senza avanzare alcuna richiesta di deferirne la decisione a collegio arbitrale, costituirebbe ipotesi di implicita rinuncia alla medesima clausola. La corte territoriale sarebbe pertanto incorsa in errore avendo ritenuto di competenza del collegio arbitrale anche la pronuncia di sentenza in luogo di contratto.

Rileva, inoltre, che il L. solo in sede di appello aveva proposto la sua eccezione di improponibilità, anche con riferimento alle proprie difese di merito, e ciò in contrasto con il divieto dell’art. 345 c.p.c., questione sulla quale non vi sarebbe stata alcuna pronuncia della corte di merito. Il motivo di doglianza è, per un verso inammissibile, e, per altro verso, infondato.

Quanto al primo profilo, va rilevata l’assoluta carenza della indicazione delle singole norme legali che regolano l’ermeneutica contrattuale e che si assumono violate: indicazione questa, pur richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 4 a pena di inammissibilità del ricorso, e che non può ritenersi fatta con il generico riferimento a quella disciplina.

Quanto al secondo profilo si osserva che la corte di merito ha risolto la questione controversa esponendo le ragioni del suo approdo con motivazione chiara, esaustiva ed immune da vizi logici, conclusivamente affermando che la pretesa azionata dall’attore, attuale ricorrente, contro il L., è improponibile rientrando nella previsione della clausola contenuta nel contratto preliminare di vendita, ove testualmente si legge: “qualunque contestazione o vertenza sull’interpretazione del presente preliminare, dovrà essere risolta con giudizio arbitrale”. Il ricorrente confuta tale decisione deducendo argomentazioni che non possono però essere riesaminate in questa sede di legittimità, con le quali smentisce siffatta interpretazione del contenuto della clausola proponendo la propria esegesi, in tesi corretta, senza neppure prospettare se e quali canoni di ermeneutica contrattuale sarebbero stati violati dal giudice d’appello.

In sostanza, sollecita la rilettura del testo della clausola, chiedendo che ne venga ricostruito il tenore alla luce delle sue argomentazioni. La sua critica si concreta pertanto in una quaestio voluntatis, con cui si lamenta che la corte di merito non ha colto il senso della clausola arbitrale. Di converso, l’interpretazione del giudice del gravame è sindacabile in cassazione solo se inficiata da difetto di motivazione o da vizi logici o errori di diritto, riconducibili ad errata applicazione dei criteri sanciti dagli artt. 1362 e ss. cod. civ., che, come si è rilevato, nella specie neppure sono stati enunciati.

E’ indubbio, infatti, che spetta al solo giudice del merito interpretare il contenuto del suddetto patto e di delineare in conseguenza l’ambito della cognizione degli arbitri, dal momento che il percorso che deve essere condotto al fine di accertare il significato, sia grammaticale che logico delle espressioni usate, si fonda sulla ricostruzione della loro comune volontà, e se risulta rispettosa delle regole di ermeneutica citate e sia correttamente motivata, tale indagine non è sindacabile in sede di legittimità (per tutte Cass. 14 aprile 1994 n. 3504; nn. 5549/2004, 18917/2004, 14557/2004). Nella specie, come si è rilevato, la conclusione della corte territoriale scaturisce da una duplice ermeneusi che è stata condotta, correttamente e neppure censurata nella prospettiva che ne avrebbe consentito il controllo in questa sede, sia sulla natura dell’azione introdotta con la domanda, che è stata interpretata, anche alla stregua della causa petendi illustrata nell’atto introduttivo del giudizio, come inerente all’applicazione del contratto cui la clausola accedeva, sia sul tenore della nozione giuridica del concetto di “applicazione” del contratto per la quale operava la rinuncia alla giurisdizione.

Il ricorrente critica soprattutto questa interpretazione, censurandola sul rilievo che l’azione da lui esercitata, siccome tesa alla pronuncia di sentenza in luogo del contratto (definitivo), non rientrava nell’ambito applicativo della clausola, vale a dire fra le liti inerenti l'”interpretazione” del contratto. Nondimeno la sua censura resta infondata anche in questa prospettiva, dal momento che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, il collegio arbitrale, al quale con una clausola siano state deferite le controversie in materia di interpretazione o di applicazione del contratto, è competente a decidere anche in materia di inadempimento o di risoluzione del contratto stesso poichè detto patto, in assenza di espressa volontà contraria, deve essere interpretato in senso lato, con riferimento a tutte le controversie relative a pretese aventi causa nel contratto (cfr. per tutte Cass., Sez. 1^, 22 dicembre 2005, n. 28485; Cass., Sez. 1^, 2 febbraio 2001 n. 1496;

Cass., Sez. 2^, 20 febbraio 1997, n. 1559).

In altri termini, il giudice del gravame ha coerentemente ritenuto che, per la latitudine della clausola, e segnatamente per la carenza di una espressa volontà in contrario, all’ambito oggettivo della stessa appartenesse ogni questione controversa che al contratto si ricollegasse.

Dall’impostazione che precede – avendo la corte di merito risolto la questione dell’improcedibilità della domanda sulla base di una diversa interpretazione della clausola compromissoria – il secondo profilo della censura mossa dal ricorrente alla sentenza impugnata appare superato ed assorbito, a nulla rilevando che il L. abbia solo in sede di gravame specificato l’eccezione anche in relazione alla propria linea difensiva.

Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve, dunque, essere respinto.

Nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di Cassazione non essendo parte intimata costituita.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA