Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13530 del 18/05/2021
Cassazione civile sez. III, 18/05/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 18/05/2021), n.13530
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 34907/19 proposto da:
-) A.D., elettivamente domiciliato a Roma, presso la
Cancelleria della Corte di cassazione, difeso dagli avvocati
Domenico Forlano, e Marco Miglino, in virtù di procura speciale
apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) Prefettura di Brescia;
– intimato –
avverso l’ordinanza del Tribunale di Brescia 9.5.2019 n. 2349;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16 dicembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. A.D., cittadino (OMISSIS), venne espulso dall’Italia con decreto del Prefetto di Brescia n. 159/19. Il provvedimento venne adottato in quanto il suddetto A.D. era privo di permesso soggiorno (poichè revocato un anno prima) e pluripregiudicato.
2. A.D. impugnò il decreto di espulsione dinanzi al Tribunale di Brescia, il quale con ordinanza 9.5.2019 n. 2349 rigettò l’impugnazione.
Ritenne il Tribunale che:
-) correttamente l’Autorità amministrativa avesse ritenuto il ricorrente pericoloso per l’ordine pubblico, in quanto condannato due volte in sede penale per fatti connessi al traffico di stupefacenti;
-) correttamente l’Autorità amministrativa avesse ritenuto che la circostanza che il ricorrente avesse in Italia una famiglia (con moglie e due figli, uno dei quali minore) non ostasse alla sua espulsione;
-) il ricorrente, infatti, non aveva dimostrato quali difficoltà il coniuge od i figli avrebbero dovuto affrontare, in caso di sua espulsione.
3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da A.D. con ricorso fondato su due motivi.
L’Amministrazione è rimasta intimata.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo il ricorrente prospetta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.
Sostiene che il tribunale non avrebbe “valutato alla stregua del dovuto bilanciamento” il diritto alla vita privata e familiare del ricorrente.
A fondamento della censura deduce una serie di circostanze di fatto, ed in particolare:
-) il ricorrente vive in Italia da vent’anni;
-) le condanne penali inflitte gli non sono ancora divenute definitive;
-) una delle due sentenza penale di condanna aveva espressamente ritenuto “non pericoloso socialmente” l’imputato, e per questa ragione aveva disposto non doversi provvedere all’espulsione;
-) l’odierno ricorrente era stato condannato in sede penale per la fattispecie criminosa di cui al D.P.R. n. 369 del 1990, art. 73, comma 5, e cioè “una fattispecie di lieve entità”.
1.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per due indipendenti ragioni.
In primo luogo è inammissibile a causa della assoluta inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacchè esso non assolve l’onere di indicare come e dove le circostanze fattuali di cui si pretende di discutere nella presente sede sarebbero state introdotte nel giudizio di merito, nè quale sia la loro localizzazione negli atti di causa.
In secondo luogo il motivo è inammissibile perchè censura un tipico apprezzamento di fatto, e cioè il giudizio di bilanciamento tra le condizioni familiari dell’espulso la sua pericolosità sociale.
2. Col secondo motivo il ricorrente denuncia, congiuntamente, sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo.
La censura investe l’affermazione con cui il tribunale ha ritenuto che sarebbe stato onere dell’odierno ricorrente dimostrare in supporto da lui dato ai figli o alla famiglia. Sostiene il ricorrente che la propria famiglia è coesa ed unita e che comunque la sua integrazione nella famiglia “in re ipsa”.
2.1. Anche questo motivo è manifestamente inammissibile sia per palese violazione dell’onere di indicazione, richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, sia perchè prospetta una questione di puro fatto, quale è lo stabilire se il ricorrente sia o non sia integrato nella propria famiglia; ovvero se questa possa o non possa subire irreparabile pregiudizio per effetto del suo allontanamento.
3. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.
L’inammissibilità del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17).
PQM
la Corte di cassazione:
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di A.D. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 16 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021