Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13529 del 30/05/2017

Cassazione civile, sez. I, 30/05/2017, (ud. 07/03/2017, dep.30/05/2017),  n. 13529

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20035/2014 proposto da:

S.G. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro

tempore, S.F., in proprio e nella qualità di erede di

S.G., e D.P.M.L., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Piediluco n. 9, presso l’avvocato Di Gravio Paolo, che li

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Società per la Gestione di Attività – S.G.A. S.p.a., e per essa

quale mandataria con rappresentanza Intesa SanPaolo Group Services

S.c.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Flaminio n. 76,

presso l’avvocato Maccallini Carlo, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Fallimento della Società S.G. S.n.c. di S.F.

& C., nonchè dei soci S.G., S.F. e

D.P.M.L., in persona dei Curatori fallimentari dott.ri

C.G. e B.T., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tullio

Ascarelli n. 287, presso l’avvocato La Cesa Luigi, rappresentato e

difeso dall’avvocato Di Pietro Roberto, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

Trevi Finance N. 2 Spa;

– intimata –

avverso la sentenza n. 403/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/03/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha chiesto che la

Corte dichiari inammissibile il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza in data 5 giugno 2013, il Tribunale di Avezzano ha dichiarato la risoluzione e l’annullamento del concordato preventivo, omologato nel 1997, a cui erano stati ammessi la S.G. snc e i soci illimitatamente responsabili, S.F. e G. nonchè D.P.M., ed ha pronunciato, contestualmente, il loro fallimento.

2. Avverso la pronuncia del Tribunale hanno proposto reclamo i falliti davanti alla Corte d’appello dell’Aquila che l’ha respinto, condannandoli al pagamento delle spese processuali.

2.1. Secondo la Corte territoriale, premessa la natura mista del concordato (che, in parte, doveva essere adempiuto con il versamento immediato di una somma di denaro ed, in altra parte, doveva essere eseguito con la cessione dei beni immobili della società e dei soci illimitatamente responsabili, per la cui garanzia sarebbero stati dati gli stessi beni dei debitori e in ordine al realizzo dei quali sarebbe stato nominato il liquidatore giudiziale), ed esclusa la sua trasformazione dall’originario assetto (da concordato remissorio a concordato con cessione dei beni), la risoluzione si imponeva per l’omesso versamento della somma indispensabile per le ulteriori spese necessarie per procedere alla liquidazione dei beni dati in garanzia dalla società e dai soci.

2.2. In secondo luogo, premessa l’immediata applicabilità, ai concordati in corso di esecuzione, della legge di riforma di cui ai D.Lgs. n. 5 del 2006, e D.Lgs. n. 169 del 2007, nella specie non sarebbe stato superato il termine dell’anno rispetto all’ultimo adempimento previsto dal concordato, consistito nell’esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compirebbero non soltanto con la vendita dei beni dell’imprenditore ma anche con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto e l’esecuzione effettiva dei pagamenti.

2.3. Tuttavia, nella specie, i beni relativi alla cessione sarebbero stati sottratti alla massa concordataria con un fondo patrimoniale istituito dai soci della società debitrice, con atto trascritto, sicchè – attraverso la sottrazione dei cespiti con il fondo patrimoniale rogato nel 2012 – si sarebbe imposta la risoluzione del concordato per inadempimento emergendo, anche prima della liquidazione di tutti i beni, il venir meno della sua funzione, per l’insufficienza delle somme ricavabili dalla liquidazione, osservabile sul piano oggettivo ed a prescindere dall’imputazione dell’inadempimento, e considerata la sua gravità, non essendosi neppure proceduto ad iniziare la vera e propria attività liquidatoria.

2.4. Appariva, infine, sussistente lo stato d’insolvenza della società, anche dalle relazioni della G. di F. e del Commissario Giudiziale perciò, necessario sdoppiare le figure del Commissario giudiziale.

3. Contro tale decisione la S.G. snc e i soci illimitatamente responsabili, S.F. e G. nonchè D.P.M., hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

4. Il creditore SGA SpA e, per essa, quale mandataria con rappresentanza, Intesa Sanpaolo SpA, nonchè il curatore dei fallimenti riuniti della società e dei soci, hanno resistito con controricorso e con memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 1.

5. Il PG, nella persona del dr. Luigi Salvato, ha concluso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, affinchè la Corte dichiari inammissibile il ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo mezzo (Violazione dell’art. 160 LF; erronea, contraddittoria e omessa motivazione su un punto determinante della controversia; violazione dell’art. 112 c.p.c., e L. Fall., artt. 137 e 186), i ricorrenti si dolgono della non corretta valutazione della natura del concordato (come avente “natura mista”) che sarebbe stato, invece di “natura remissoria”, così come si ricaverebbe da vari indici, ricavabili dalla sentenza che ha omologato il concordato, e dalla stessa attività interpretativa e qualificatoria del Tribunale nel corso della vita della procedura.

1.1. La Corte territoriale, inoltre, non si sarebbe resa conto che i termini delle attività concordatarie “c’erano, eccome” ed essi sarebbero “tutti spirati inesorabilmente”, per cui non si sarebbe potuto “nè risolvere, nè tantomeno annullare il concordato proposto da essi ricorrenti come remissorio”.

2. Con il secondo (Violazione della L. Fall., art. 137, comma 3, e art. 186), i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte territoriale, non accogliendo il reclamo da loro proposto, avrebbe violato la L. Fall., art. 137, comma 3, richiamato dall’art. 186, avallando una risoluzione del concordato e trasformandolo da remissorio con garanzia in concordato mediante cessione dei beni e misto.

3. La Curatela fallimentare ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte territoriale (ed il PG, nelle sue conclusioni scritte, depositate ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, in data 13 febbraio 2017, ha convenuto con l’eccezione sollevata dalla difesa del curatore) in quanto tardivo.

3.1. La Curatela, infatti, ha sottolineato che la cancelleria della Corte d’Appello di L’Aquila, in data 22 aprile 2014, ha inviato (alle ore 10:45), a mezzo PEC, la sentenza del giudice distrettuale al difensore dei falliti (avv. Di Gravio), il quale ha notificato il ricorso per cassazione solo il 23 luglio 2014, ossia oltre il termine di trenta giorni previsto dalla L. Fall., art. 18, comma 14.

4.1. A tal riguardo, la disciplina dettata dalla riforma della legge fallimentare di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006 (e succ. modificazioni) è immediatamente applicabile alla procedura di concordato preventivo che, benchè omologato sotto il vigore della precedente regolazione, si trovi ancora in corso di esecuzione al momento della sua entrata in vigore (Sez. 1, Sentenza n. 20757 del 2012)).

4.2. Di conseguenza, in quanto richiamati dalla L. Fall., art. 186, comma 3, al concordato preventivo, si applicano – in quanto compatibili – la L. Fall., artt. 137 e 138, sicchè – in virtù dell’art. 137, comma 5, e art. 138, comma 2, la sentenza che risolve ed annulla il concordato è reclamabile ai sensi della L. Fall., art. 18.

4.3. Perciò, in applicazione del principio di diritto posto da questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10525 del 2016) (e secondo cui “la notifica del testo integrale della sentenza reiettiva del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, effettuata ai sensi della L. Fall., art. 18, comma 13, dal cancelliere mediante posta elettronica certificata (PEC), D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16, comma 4, conv., con modif, dalla L. n. 221 del 2012, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione in cassazione L. Fall., ex art. 18, comma 14, non ostandovi il nuovo testo dell’art. 133 c.p.c., comma 2, come novellato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla L. n. 114 del 2014, secondo il quale la comunicazione del testo integrale della sentenza da parte del cancelliere non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.”), deve affermarsi la tardività dell’odierno ricorso per cassazione notificato oltre il termine di trenta giorni, avuto riguardo al giorno in cui la sentenza da impugnare è stata notificata dalla cancelleria, in via telematica, mediante spedizione della stessa a mezzo PEC, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, (conv. nella L. n. 221).

5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso seguono sia la condanna, delle parti ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali (liquidate come da dispositivo) e l’enunciazione della sussistenza del presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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