Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13525 del 01/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/07/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 01/07/2016), n.13525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27243-2012 proposto da:

M.L., C.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, PIAZZA S. ANDREA DELLA VALLE, 3, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO MELLARO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIUSEPPE FREDIANI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCO POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA, C.F. (OMISSIS) – avente

causa della Cassa di Risparmio di Lucca Pisa Livorno S.p.a. C.f.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MICHELE MARIANI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 460/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/06/2012 r.g.n. 1328/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato SOZZI CARLO per delega Avvocato MARESCA ARTURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.L. adiva il Tribunale di Lucca in funzione di giudice del lavoro ed esponeva di aver svolto attività lavorativa in favore della Cassa di Risparmio di Lucca s.p.a. sino al 1/7/2000, con inquadramento, da ultimo, quale responsabile del Servizio Tesoreria Esattoria, nella 4^ area professionale 1 livello retributivo, pur avendo svolto mansioni corrispondenti alla superiore qualifica di IV area professionale quadro super 2 livello retributivo, a far tempo dal 1/8/95. Sul rilievo della violazione dei dettami sanciti dall’art. 2103 c.c. per avere la società previsto, con provvedimento in data 13/7/95, in relazione alla posizione di responsabile, l’inferiore qualifica di impiegato di grado primo (capo ufficio), chiedeva condannarsi la società al pagamento delle differenze retributive spettanti per il titolo descritto, nonchè dell’indennità di reggenza prevista dall’art. 26 del contratto integrativo aziendale. La Cassa di Risparmio di Lucca s.p.a.

contestava la domanda chiedendo fosse respinta.

Con sentenza resa pubblica il 24/6/08 il Tribunale, in parziale accoglimento del ricorso accertava il diritto dell’attore all’inquadramento nella qualifica di quadro di grado 1^ – 2 livello retributivo, dalla decorrenza richiesta e condannava la convenuta al pagamento delle differenze retributive nonchè alla indennità di reggenza sino al dicembre 1997.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Firenze che condannava la s.p.a. Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa, Livorno (già Cassa di Risparmio di Lucca) al pagamento dell’indennità di reggenza sino al 30/11/97, rigettando nel rèsto le pretese azionate dal M..

Nel pervenire a tali conclusioni, osservava in estrema sintesi la Corte territoriale, che legittima era da ritenersi la modifica unilaterale disposta dall’istituto di credito con la quale l’ufficio cui era addetto il ricorrente era stato classificato come non più di pertinenza di un quadro di 1^ livello bensì di impiegato di grado P (capo ufficio); tanto in aderenza ai dettami del c.c.n.l. 12/7/91 che demandava ai contratti integrativi l’individuazione di qualifiche aziendali che dessero diritto all’inquadramento nella qualifica di quadro, conferendo altresì al concessionario, la facoltà di variazione dell’organico in relazione alle proprie esigenze.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il M. con tre motivi.

Resiste con controricorso il Banco Popolare Soc. Coop. avente causa della s.p.a. Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa, Livorno che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. del c.c.n.l. 12/7/95 e del contratto integrativo aziendale del 18/10/94 nonchè dell’art. 2103 c.c. Si critica la sentenza impugnata per aver interpretato solo talune norme del contratto integrativo aziendale che sancivano in capo al datore di lavoro una discrezionalità nella revisione della collocazione dei posti, senza raccordare dette disposizioni con i c.c.n.l. del 1/7/91 e del 12/7/95. Si lamenta che i giudici dell’impugnazione non abbiano tenuto conto che le prescrizioni contenute nei richiamati c.c.n.l. ed in quello del 1988, erano state vulnerate da una decisione, quale quella assunta unilateralmente dal datore di lavoro con la comunicazione 13/7/95, senza che fosse intercorsa alcuna preventiva negoziazione con le 00. SS. stipulanti e senza che fossero variati la consistenza e/o i compiti dello sportello cui sarebbe stato adibito quale responsabile, il ricorrente. Si deduce che la contrattazione nazionale del 1991 e quella successiva del 1995, successiva al c.i.a. del 18/10/94 prevedeva che il concessionario – datore di lavoro – potesse variare l’organico solo in senso quantitativo con riferimento ai soggetti addetti ad ogni singolo sportello, e non declassare unilateralmente uno sportello con la conseguenza di penalizzare la figura professionale che vi fosse addetta.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e della L. n. 190 del 1985, art. 6. Si deduce che, incontestato lo svolgimento di mansioni superiori dal 1/8/95 rispetto a quelle svolte in precedenza sotto la direzione dello stesso responsabile, trasferito poi ad altro ufficio, l’esegesi delle disposizioni elaborata dalla corte distrettuale, violava il disposto di cui all’art. 2103 c.c. Con il terzo mezzo di impugnazione è dedotta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la Corte di merito approfondito le fonti contrattuali che interessavano il caso, tralasciando di considerare che un contratto integrativo aziendale non può travalicare la delega conferitagli dal c.c.n.l. per la disciplina di dettaglio di un istituto stabilito nei suoi caratteri essenziali da quello nazionale.

I motivi, che per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, possono essere congiuntamente esaminati, sono privi di fondamento.

Occorre premettere che la Corte distrettuale ha modulato il proprio incedere argomentativo alla stregua delle fonti normative che disciplinano ratione temporis la fattispecie delibata, correttamente individuate nel c.c.n.l. 12/7/91 (le cui disposizioni, in relazione alla questione dedotta in lite, sono state riprodotte nel successivo c.c.n.l. 12/7/95) e nel contratto integrativo del 18/10/94.

Ha richiamato le disposizioni di cui all’art. 3, all. 2 c.c.cn.l.

12/7/91, in base al quale veniva demandata alle parti sociali in sede di stipula dei contratti integrativi aziendali, l’individuazione dei requisiti connessi alla qualifica di quadro. Ha puntualizzato che l’art. 2 c.c.n.l. cit. delegava la contrattazione integrativa a disciplinare le materie relative all’organico del personale, stabilendo che potesse essere variato in relazione alle esigenze del Concessionario.

Ha, quindi, riportato il tenore dell’accordo integrativo aziendale in data 18/10/94 all. 3 che, in attuazione della delega conferita dalla contrattazione collettiva di primo livello, prevedeva: alla lettera a), la consistenza organica dei posti di quadro e di capo ufficio;

alla lettera b) la possibilità di variazione del numero dei posti in rapporto alle esigenze del concessionario; alla lettera c) l’individuazione delle singole strutture organizzative cui sono adibiti i quadri di 1 grado, di 2 grado ed i capi ufficio, e alla lettera d), la possibilità di revisione di tale collocazione dei posti a giudizio del Concessionario.

Ha argomentato, poi, che se il richiamo alle esigenze del Concessionario disposto dall’art. 2, comma 4 c.c.n.l. quanto alla variazione del numero dei posti in organico, era compatibile con una modifica pattizia dello stesso in quanto demandata alla contrattazione delle parti sociali, la facoltà prevista dal contratto integrativo aziendale era del tutto inequivoca nel senso di conferire al solo Concessionario, il potere di operare una revisione della collocazione dei posti, individuando le strutture organizzative cui corrispondono le diverse qualifiche di quadro o di capo ufficio.

Ha, infine, dedotto – in considerazione del rilievo che alla data in cui il M. aveva iniziato lo svolgimento della propria attività lavorativa presso il Servizio Tesoreria Esattoria distaccata di (OMISSIS), tale ufficio non era più classificato come di pertinenza di un quadro di 1 grado, in ragione della disposizione unilaterale assunta dal datore di lavoro con provvedimento 13/7/95 –

che non era configurabile lo svolgimento di mansioni superiori.

Gli approdi ai quali sono pervenuti i giudici dell’impugnazione, sono il frutto di corretta applicazione delle predette disposizioni, resa all’esito di un’interpretazione delle disposizioni contrattuali collettive condotta alla stregua di criteri coerenti con i dettami sanciti dall’art. 1362 c.c. e segg. e con i principi enunciati da questa Corte in subiecta materia.

In proposito è bene rammentare come l’art. 2095 cc. si limiti a suddividere i lavoratori in quattro categorie (dirigenti, quadri, impiegati e operai), e, con l’abrogazione dell’ordinamento corporativo, per effetto dell’art. 96 disp. att. c.c., solo la contrattazione collettiva abbia il potere di determinare posizioni differenziate per qualifiche e gradi all’interno di ciascuna categoria.

Compete dunque, all’autonomia negoziale delle associazioni sindacali – non solo in forza dello specifico disposto dell’art. 2071 c.c., comma 2, art. 2095 c.c., comma 2 e art. 96 disp. att. c.c., ma anche come espressione del principio costituzionale di libertà sindacale –

la determinazione dei requisiti necessari per l’appartenenza alle categorie fondamentali dei prestatori di lavoro nonchè per l’attribuzione agli stessi delle singole qualifiche, anche attraverso stipulazione di contratti collettivi particolari per determinati ambiti territoriali o suddivisioni dei vari settori produttivi;

tant’è che, per costante insegnamento di questa Corte, nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi dalle tre fasi successive, di accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, e raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (ex plurimis, Cass., n. 26234/2008; Cass. n. 17896/2007).

Nell’ottica descritta mette conto rilevare altresì, quanto è stato affermato da questa Corte in fattispecie relativa alla applicazione della disciplina collettiva in tema di promozioni per i dipendenti delle aziende di credito. Si è ritenuto che qualora tale disciplina rimetta il giudizio di merito, sulle attitudini e sulle capacità professionali, esclusivamente al datore di lavoro, il giudice, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost., non può sostituirsi ad esso, potendo sindacarne l’operato solo se la mancata promozione sia espressione di deliberata violazione delle regole di buona fede e correttezza che devono presiedere allo svolgimento del rapporto di lavoro (ex plurimis, Cass. n. 5477/2012, Cass. n. 8350/2003).

Può dunque, ritenersi, nel solco dei principi che governano la materia, in estrema sintesi richiamati, che la pronuncia impugnata sia del tutto esente dalle censure all’esame, avendo proceduto ad una accurata disamina delle disposizioni contrattuali collettive disciplinanti la fattispecie concreta, non arrestandosi ad un esame parziale nè esclusivamente letterale, delle clausole contrattuali, ma valutandole globalmente anche in relazione all’esigenza della contrattazione collettiva in questione di apprestare una disciplina completa della realtà lavorativa del settore che è chiamata a regolare, nel rispetto del principio di rango costituzionale, della libertà di iniziativa economica riservata al datore di lavoro (Cass. n. 703/1999; Cass. n. 9713/1997; Cass. n. 1263/1990).

Essa si sottrae, pertanto, non solo alla critica di violazione dei dettami di cui all’art. 2103 c.c. con riferimento alle mansioni superiori che si deducono svolte alla stregua di un rilievo comparativo rispetto a quelle espletate dal precedente titolare dell’ufficio cui era stato conferita la qualifica di quadro, ma anche alla ulteriore censura riferita alla mancata considerazione che un contratto integrativo aziendale non può travalicare la delega conferitagli dal contratto collettivo nazionale.

Si è infatti già detto in ordine alla congruità della disposizione del contratto integrativo rispetto ai dettami del c.c.n.l. in materia di delega al concessionario, sia della dotazione organica, sia della collocazione di questa dotazione (aspetti fra loro necessariamente connessi). Può soltanto aggiungersi, per esigenze di completezza espositiva, che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il rapporto fra contratti collettivi – come è da qualificare anche il contratto aziendale – di diverso livello deve essere risolto in base non già a principi di gerarchia e di specialità proprie delle fonti legislative, nè di òquello cronologico (della prevalenza del contratto posteriore nel tempo), ma sulla base della effettiva volontà delle parti sociali, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutte pari dignità e forza vincolante (vedi ex aliis, Cass. n. 12098/2010, Cass. n. 9052/2006).

E, significativo della rilevanza che deve assegnarsi alla contrattazione integrativa aziendale, appare il disposto di cui alla L. n. 148 del 2011, art. 8 che, proprio sul presupposto della considerazione che i cd. contratti di prossimità sono i più idonei a “fotografare” la specifica realtà aziendale, ha ribadito espressamente che le specifiche intese aventi ad oggetto la regolamentazione della materia inerente alla organizzazione del lavoro e della produzione, possono fare riferimento anche alle mansioni del lavoratore, alla classificazione ed all’inquadramento del personale (cfr. L. n. 148 del 2011, art. 8).

In definitiva, per quanto sinora detto, la pronuncia impugnata si è attenuta ai principi enunciati, negando riconoscimento al diritto azionato dal lavoratore alla stregua dei principi sanciti dalla contrattazione collettiva nazionale ed integrativa aziendalè, che avevano modificato l’assetto organizzativo del Servizio Tesoreria Esattoria cui era stato addetto il ricorrente, secondo le esigenze del Concessionario, già da epoca anteriore all’inizio della sua attività lavorativa.

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

L’alterno esito dei giudizi di merito, comprovanti l’obiettiva difficoltà dell’apprezzamento dei fatti, giustifica, infine, la compensazione fra le parti, delle spese inerenti al presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2016

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