Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13524 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. I, 18/05/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 18/05/2021), n.13524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4128/2018 proposto da:

R.M.R., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Defilippi Claudio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, quale successore ex lege dell’Agenzia del

Territorio, in persona del direttore pro tempore, domiciliata in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 841/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

pubblicata il 27/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/03/2021 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO che chiede l’accoglimento

del motivo di ricorso 3).

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – R.M.R. ricorre per tre mezzi, nei confronti dell’Agenzia del territorio, Ufficio provinciale di (OMISSIS), contro la sentenza del 27 giugno 2017 con cui la Corte d’appello di Genova ha accolto parzialmente, limitatamente alla condanna ex art. 96 c.p.c., ridotta nell’ammontare a Euro 1.000,00, la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Massa Carrara che aveva respinto la sua domanda volta a far dichiarare l’illegittimità della modalità di annotazione della cancellazione di un’ipoteca a suo carico, oltre ai danni, perchè lesiva del suo diritto all’immagine personale, alla riservatezza, all’oblio e dall’accesso al credito.

2. – L’Agenzia delle entrate, quale successore ex lege dell’Agenzia del territorio, resiste con controricorso.

3. – Il Procuratore Generale chiede l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. – Il ricorso contiene tre motivi.

4.1. – Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, relativamente alla disciplina del trattamento dei dati personali e diritto all’oblio prevista dal regolamento 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio e dal D.Lgs. n. 196 del 2003 e allegati, contraddittorietà ed incostituzionalità manifesta. Si censura la sentenza impugnata per aver giudicato legittime le modalità di annotazione della cancellazione dell’ipoteca, le quali consentivano di risalire ad una precedente iscrizione di ipoteca giudiziale ad iniziativa del Monte dei Paschi di Siena S.p.A.. Nel corpo del motivo si sostiene che la previsione dettata dall’art. 2886 c.c., che disciplina le formalità per la cancellazione, dovrebbe essere giudicata recessiva, se non a prezzo dell’incostituzionalità della disposizione, rispetto ai diritti di rango costituzionale invocati, in particolare il diritto alla riservatezza, all’oblio e dall’immagine.

4.2. – Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, relativamente all’art. 91 c.p.c. ed al D.M. n. 55 del 2014, censurando la sentenza impugnata per aver disatteso il principio secondo cui, allorquando il valore della causa sia stato in concreto dichiarato, la liquidazione delle spese deve essere rapportata ad esso.

4.3. – Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, relativamente all’art. 96 c.p.c., comma 3, sostenendo che la domanda spiegata non sarebbe stata palesemente infondata, tant’è che “l’autorità di settore, il Garante della Privacy… ha da tempo avviato una consultazione pubblica che ha portato all’emanazione dell’allegato 7 al D.Lgs. n. 196 del 2003. L’esigenza che ha ispirato l’autorità di settore è la medesima che fonda la domanda del R.”. Si sostiene inoltre che l’art. 96 c.p.c., comma 3 non sarebbe applicabile “giacchè presuppone l’accertamento della malafede o della colpa grave della parte soccombente”.

5. – Il ricorso va respinto.

5.1. – Il primo mezzo va disatteso.

5.1.1. – Stabilisce l’art. 2886 c.c., comma 2, che la cancellazione di un’iscrizione o la rettifica deve essere eseguita in margine all’iscrizione medesima, con l’indicazione del titolo dal quale è stata consentita od ordinata e della data in cui si esegue, e deve portare la sottoscrizione del conservatore.

5.1.2. – Nel caso di specie era stata iscritta contro il R. ed a favore del Monte dei Paschi di Siena S.p.A. un’ipoteca giudiziale fondata su un titolo scaturente dall’omesso pagamento, da parte del primo, di talune rate di un mutuo concessogli dalla banca. Dopodichè lo stesso R., sussistendone i presupposti, aveva chiesto ed ottenuto la cancellazione dell’iscrizione, cancellazione eseguita dall’ufficio preposto in conformità alla legge, e cioè mediante la prescritta annotazione.

La tesi del ricorrente si riassume allora in ciò, che l’Agenzia del territorio, nell’effettuare, su sua richiesta, la cancellazione dell’ipoteca, in ossequio, come pacifico, al dettato normativo, avrebbe leso il suo diritto all’oblio, e conseguentemente all’accesso al credito, dal momento che le modalità di cancellazione consentivano di apprendere della precedente iscrizione ipotecaria e dunque permettevano ai terzi di constatare che egli, in un dato momento, ormai trascorso, della sua vita, si era reso moroso nel pagamento di talune rate di mutuo.

Si tratta però di una tesi priva di fondamento.

5.1.3. – Le regole da applicare si desumono agevolmente da una vicenda per molti aspetti analoga, sulla quale questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi, nel corso di un giudizio che ha visto prendere posizione sul tema, in sede di rinvio pregiudiziale, la Corte di giustizia.

Si trattava, in quel caso, di una persona fisica la quale si doleva del fatto che il suo nome comparisse nel registro delle imprese quale amministratore di una società in precedenza fallita e cancellata, circostanza, quest’ultima, che, a detta dell’interessato, avrebbe leso il suo diritto all’oblio, con ricadute sulla sua attività economica, poichè il suo coinvolgimento nel fallimento di detta società, che emergeva dalla consultazione del registro, gli avrebbe impedito di vendere un compendio immobiliare che egli aveva in seguito edificato.

5.1.4. – La Corte di giustizia (CGUE 9 marzo 2017, n. 398), sul rinvio pregiudiziale di Cass. 17 luglio 2015, n. 15096, ha viceversa osservato:

-) che la pubblicità del Registro delle imprese svolge una funzione pubblica essenziale, dal momento che garantisce la certezza del diritto nelle relazioni tra le società ed i terzi e tutela gli interessi di questi ultimi rispetto alle società di capitali, avuto riguardo al rilievo che esse offrono come unica garanzia per i terzi il proprio patrimonio sociale, con la conseguenza che, per garantire il soddisfacimento di tali finalità, la pubblicità legale deve consentire ai terzi di conoscere gli atti essenziali della società interessata, e cioè determinate informazioni che la concernono e in particolare le generalità delle persone che hanno il potere di obbligarla;

-) che, anche molti anni dopo la cessazione della società, possono ancora sorgere questioni per le quali è necessario disporre dei dati delle persone fisiche contenuti nel registro delle imprese, in particolare considerando la molteplicità di diritti e rapporti giuridici facenti capo ad una società che possono coinvolgere i soggetti più diversi, anche appartenenti a diversi Stati membri, eventualmente anche dopo il suo scioglimento, nonchè l’eterogeneità dei termini di prescrizione previsti dai diversi diritti nazionali, da cui discende l’impossibilità di identificare un termine univoco, allo spirare del quale non sia più necessaria l’iscrizione nel registro e la pubblicità dei dati citati;

-) che tale ingerenza nei diritti fondamentali delle persone interessate non appare sproporzionata anche alla luce del diritto al rispetto della vita privata e del diritto alla tutela dei dati personali, entrambi garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, in quanto: a) solamente un numero limitato di dati personali è iscritto nel registro delle imprese; b) è giustificato che le persone fisiche che scelgono di prender parte agli scambi economici attraverso una società di capitali, a fronte della limitazione di responsabilità, siano obbligate a rendere pubblici i dati relativi alle loro generalità e alle loro funzioni in seno alla stessa.

In definitiva, “allo stato attuale del diritto dell’Unione, spetta agli Stati membri determinare se le persone fisiche… possano chiedere all’autorità incaricata della tenuta del registro di verificare, in base ad una valutazione da compiersi caso per caso, se sia eccezionalmente giustificato, per ragioni preminenti e legittime connesse alla loro situazione particolare, decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società interessata, limitare l’accesso ai dati personali che le riguardano, iscritti in detto registro, ai terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione” (CGU E 9 marzo 2017, n. 398).

5.1.5. – Sulla scia di tale decisione questa Corte ha affermato il principio secondo cui: “Alla stregua del quadro normativo e dei compiti istituzionalmente perseguiti dalle Camere di commercio con la tenuta del registro delle 24 imprese, è legittima, rispondendo ad un obbligo legale, l’iscrizione e la conservazione nel registro stesso delle informazioni relative alla carica di amministratore e di liquidatore, ricoperta da un soggetto in una società, ove pure in seguito questa sia stata dapprima dichiarata fallita e, poi, cancellata dal registro delle imprese, prevalendo le esigenze della pubblicità commerciale sull’interesse del privato ad impedirla, in funzione delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali che l’istituzione del registro delle imprese soddisfa” (Cass. 9 agosto 2017, n. 19761).

5.1.6. – Ora, il principio in tal senso affermato deve a maggior ragione trovare applicazione con riguardo al caso in esame.

Premesso che è la legge, attraverso il citato art. 2668, ad individuare il meccanismo attraverso cui la cancellazione si attua (il che, alla luce della sentenza della Corte di giustizia, e del precedente di questa Corte, già di per sè chiude il discorso), contemplando una forma di pubblicità negativa, mediante la quale, si rende pubblica l’irrilevanza sopravvenuta di una precedente formalità, che da quel momento deve considerarsi come non esistente, merita ulteriormente osservare che:

-) per un verso, a fronte del rilievo, evidentemente fondamentale per i fini della sicurezza dei traffici giuridici, della pubblicità immobiliare, il sacrificio di un ipotetico diritto all’oblio del soggetto nei cui confronti è disposta la cancellazione dell’iscrizione di ipoteca giudiziale sarebbe irrisorio, e non certo tale da richiedere, nel quadro della consueta operazione di bilanciamento tra il diritto all’oblio ed altri diritti di pari rango, un più radicale intervento di cancellazione: ed invero, mentre nel caso deciso dalla citata Cass. 9 agosto 2017, n. 19761, ciò che emergeva dal registro delle imprese era il fallimento pregresso della persona fisica amministratrice della società, circostanza che può comportare tuttora un effetto di stigma – tale da ledere, per usare il lessico di un tempo, “la propria dignità, anche se fittizia, contro gli attacchi della verità” (Cass. 13 maggio 1958, n. 1563) -, quantunque l’ordinamento abbia da tempo operato nel senso dell’eliminazione delle conseguenze personali del fallimento, nel caso dell’ipoteca giudiziaria, seguita dalla annotazione della cancellazione dell’iscrizione, i registri immobiliari danno conto della pregressa formazione di un titolo giudiziale riconducibile alla previsione dell’art. 2818 c.c., tale da giustificare l’iscrizione, ma danno altresì conto che quel titolo è poi rimasto travolto, così da legittimare la cancellazione: vaI quanto dire che la cancellazione testimonia che il debitore ha infine pagato il suo debito, o che comunque presupposti per l’iscrizione ipotecaria non sussistevano;

-) per altro verso, soprattutto, il sistema della pubblicità ipotecaria, sulla scia dell’impianto del code civil, chè il nostro sistema delle garanzie da quello deriva, ha come è noto natura costitutiva, ex art. 2808 c.c., secondo cui l’ipoteca “si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari”, di guisa che una cancellazione, per così dire materiale, un’abrasione dell’iscrizione, che non lasciasse traccia del passato, sarebbe inconcepibile (salvo, parrebbe, a non ripensare ab imis l’intero istituto), giacchè l’effetto non sarebbe il semplice venir meno dell’iscrizione, a partire da quel momento, con l’estinzione dell’ipoteca (art. 2878 c.c., n. 1), ma l’eliminazione dell’ipoteca ora per allora dal mondo del diritto, tale in definitiva da falsare i fatti, facendo tabula rasa di ciò che pure è stato: molti sono gli esempi che potrebbero farsi con riguardo alle conseguenze derivanti da una radicale cancellazione, tra i quali basterà rammentare gli effetti sulle revocatorie, cui ha fatto riferimento il Procuratore Generale nella sua requisitoria.

5.1.7. – Ben si comprende, dunque, che il Garante abbia sempre disatteso, da lunghi anni, istanze concernenti la trascrizione di un’ipoteca o di un pignoramento (v. p. es. doc. web n. 1066118 del 6 settembre 2002 e n. 1085666 del 30 dicembre 2003, nonchè Provvedimento del 16 novembre 2016, n. 482).

5.1.8. – E’ errato il richiamo da parte del ricorrente al regolamento 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio ed al D.Lgs. n. 196 del 2003.

Quanto al primo, è appena il caso di notare che esso è inapplicabile ratione temporis alla controversia in esame. Ma, al di là di quest’aspetto, il punto è che da quel regolamento si trae l’esatto contrario di quanto il ricorrente vorrebbe leggervi.

Il diritto all’oblio è disciplinato dall’art. 17 del Regolamento UE n. 679 del 2016, il quale prevede il diritto dell’interessato di “ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo”. Ma il comma 3 della disposizione stabilisce che il diritto alla cancellazione non può essere riconosciuto all’interessato quando il trattamento dei dati personali sia necessario, tra l’altro, per l’adempimento di un obbligo di legge o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri. E cioè la norma afferma che, all’esito del necessario bilanciamento tra interessi contrapposti, il diritto alla cancellazione dei dati personali soccombe quando vi siano ragioni superiori, quali quelle indicate dalla norma, tra cui la previsione normativa dettata in funzione di un pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici potere. Nel qual caso i termini del bilanciamento sono stabiliti a monte dal legislatore.

Insomma, la soluzione della Corte di giustizia di cui si è poc’anzi detto si rafforza, nel quadro di applicazione del Regolamento 2016/679/UE. Quanto al Codice della privacy, esso non contiene un’espressa previsione del diritto all’oblio, che è stato ricostruito per via essenzialmente pretoria, per lo più quale articolazione succedanea del diritto all’identità personale: nel qual caso con l’esigenza di cui si è detto del già menzionato bilanciamento, che ineluttabilmente si risolve, secondo quanto già detto, in senso sfavorevole al ricorrente.

5.2. – Il secondo mezzo è inammissibile.

La tesi del ricorrente, come si è visto, si compendia in ciò, che, avendo egli indicato il valore della causa ai fini della determinazione del contributo unificato in Euro 26.000,00, il giudice non avrebbe potuto applicare, come invece aveva fatto, il successivo scaglione previsto.

In proposto, tra i diversi profili di inammissibilità della censura, è sufficiente limitarsi al richiamo della consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale peraltro già si era rifatta la Corte territoriale, secondo cui il valore della causa dichiarato ai fini del contributo unificato ha rilevanza esclusivamente fiscale e non spiega, quindi, alcun effetto vincolante in ordine ai profili processuali (Cass. 10 aprile 2017, n. 9195, quanto all’individuazione del quantum oggetto di domanda; Cass. 16 maggio 2017, n. 12031 e Cass. 20 dicembre 2007, n. 26988, ai fini della competenza per valore; Cass. 17 dicembre 2019, n. 33457, con specifico riguardo alla liquidazione delle spese di lite).

Di guisa che il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.

6. – Il terzo mezzo è inammissibile.

Erra anzitutto il ricorrente ad affermare che l’art. 96 c.p.c., comma 3 non sarebbe applicabile “giacchè presuppone l’accertamento della malafede o della colpa grave della parte soccombente”.

Difatti, la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass. 18 novembre 2019, n. 29812; Cass. 24 settembre 2020, n. 20018).

Dopodichè, questa Corte ha più volte ribadito, con riguardo alla primigenia formulazione dell’art. 96 c.p.c., che, ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero in difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo il controllo motivazionale, nei limiti in cui esso è oggi consentito (Cass. 29 settembre 2016, n. 19298; Cass. 8 settembre 2003, n. 13071), e cioè con riguardo al superamento della soglia del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Il principio deve essere applicato nei medesimi termini con riguardo all’accertamento di fatto concernente la sussistenza di una condotta di abuso del processo.

Nel caso di specie la motivazione non manca.

Dunque il motivo è inammissibile.

7. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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